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Dopo i “misteri”, la sorpresa. Stiamo parlando del civico 36 di via Matteotti a Bassano del Grappa, ovvero del locale adibito ad uso commerciale dell’immobile da giorni al centro di una tempesta mediatica per le rivelazioni sull’inchiesta per presunto abuso edilizio che vede indagati la proprietaria Marina Bragagnolo, il responsabile dei lavori di scavo Francesco Dal Moro e il coordinatore alla sicurezza per la progettazione Stefano Giunta.
Una spy story che parla anche di presunti scavi abusivi nei sotterranei del negozio, con cunicoli e gallerie estese “sotto bar e negozi” e di una non meglio specificata caccia underground, con tanto di metal detector, ad un altrettanto indefinito tesoro dei Nazisti: una vicenda sospesa tra la cronaca giudiziaria e la fantascienza alla “Voyager”.
La “sorpresa” è quella che molti bassanesi si sono trovati davanti agli occhi passando davanti al cantiere più chiacchierato degli ultimi anni.
La vetrina del cantiere di via Matteotti tappezzata di documenti sull'iter degli scavi
Da ieri infatti la vetrina del locale è tappezzata di carte: tutte fotocopie di atti -richieste, permessi, accertamenti, autorizzazioni - che hanno accompagnato l’iter dei lavori, e in particolare degli scavi nell’interrato, dal 2001 al 2010 e che la proprietà dell’immobile ha deciso di rendere pubblici sull’improvvisata bacheca.
Un albo pretorio a dir poco “sui generis” collocato dietro la vetrata dello spazio commerciale in ristrutturazione, dove è rimasta ancora l’insegna dell’ultimo negozio ospitato nel locale, che si chiamava - ironia della sorte - “La Galerie”.
“Quanto esposto in questo sito - dichiara un avviso dei proprietari - rappresenta la minima parte della documentazione complessiva in nostro possesso.”
“Sono state omesse - scrive un secondo avviso in vetrina - numerose perizie relative all’immobile, nelle quali si esclude categoricamente il pericolo statico, per motivi legali e di riservatezza.”
La documentazione esposta è ampiamente incompleta: manca infatti ogni evidenza e riferimento sul provvedimento di sequestro giudiziario del cantiere - oggi dissequestrato - eseguito un anno e mezzo fa a seguito dell’indagine della Forestale sulle presunte escavazioni illecite scattata nel 2008.
Ma il materiale in pubblica visione è comunque interessante.
L’inizio della storia, secondo la ricostruzione proposta, risale al 1 marzo 2001 con la richiesta all’Area Tecnica del Comune - da parte dei proprietari Marina e Lorenzo Bragagnolo - “di poter eseguire lavori di escavazione per verificare la consistenza delle fondazioni delle strutture portanti.”
E’ da questo momento che l’attività del cantiere guarda sempre più verso il basso. La comunicazione di inizio lavori è dell’11 luglio 2002, mentre il 31 maggio 2004 viene comunicata al Comune l’effettuazione di ulteriori “sondaggi per l’individuazione di eventuali perdite di canalizzazioni esistenti, nonché della consistenza dei terreni sottostanti e delle strutture di fondazione.”
Quattro anni dopo, il 18 dicembre 2008, viene presentato il “Piano di Sicurezza e Coordinamento” - il cui coordinatore alla sicurezza per la progettazione è l’ing. Stefano Giunta - con “lavori di rimozione del materiale di riempimento di una cantina e di un vano scala interrati finalizzati alla definizione della loro estensione.”
L’intervento è preceduto da una nota dell’Area Urbanistica del Comune, che nell’istruttoria tecnica relativa alla denuncia di inizio attività dei nuovi scavi (19 novembre 2008) definisce la pratica “formalmente corretta.”
Un secondo documento dell’Urbanistica, datato 27 aprile 2010, prende atto di un verbale di accertamento dei suoi uffici - compiuto il 6 ottobre 2009, e quindi a inchiesta giudiziaria già avviata - “da cui non risultano irregolarità edilizie.”
Se vi siete persi o annoiati tra date e documenti, non vi preoccupate: nella vetrina del civico 36 ci sono anche carte, per così dire, più “intriganti”.
C’è innanzitutto la riproduzione di una planimetria dell’edificio interessato estratta dal catasto asburgico e soprattutto la spiegazione, in sei fogli stampati in caratteri molto piccoli, del funzionamento del metal detector “Fisher Gemini 3”, che è stato effettivamente usato nel corso dei lavori.
Tuttavia, sulla bacheca di vetro non c’è nessuna indicazione del vero scopo per il quale, durante gli scavi nell’interrato, l’insolito strumento si è reso necessario.
Quanto basta per far scattare voli di fantasia, o quantomeno qualche ipotesi suggestiva.
Ma leggendo attentamente le istruzioni sul detector, apprendiamo che il modello in questione viene solitamente utilizzato per la “localizzazione di tubazioni interrate”.
Dall’oro di Hitler alla scoperta del tubo?
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