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Laura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it
Un posto a tavola a Bassanonet per Beppe Bigazzi
Un “a tu per tu” con l’esperto di cultura alimentare allontanato di recente dalla trasmissione “La prova del cuoco”
Pubblicato il 05-03-2010
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Un incontro con Beppe Bigazzi popolare gastronomo, giornalista, scrittore e conduttore TV reso negli ultimi tempi “meno popolare” da un’uscita sull’uso di cucinare felini. Bigazzi è stato prontamente allontanato dai vertici RAI dalla trasmissione “La prova del cuoco” dopo quattordici anni di buon sodalizio a base di editoriali e tante ricette. Ha accettato la decisione con amarezza, ma senza sollevare polemiche, “la Legge è Legge”, ha dichiarato anche nell’intervista. E si è parlato anche di altro. Con tutto quello che bolle in RAI...
Libertà di informazione significa anche dare voce a tutte le parti in causa. La vicenda che recentemente l’ha vista protagonista in prima persona ha lasciato degli strascichi pesanti. Indubbiamente la sua all’interno del programma “La prova del cuoco” è stata un’uscita infelice. Come ha reagito agli insulti che le sono piovuti addosso da ogni dove? Se ne può trarre un insegnamento “buono”?
Beppe Bigazzi
Non ho reagito, anche perché insulti non “mi sono piovuti addosso da ogni dove”; da ogni dove mi è piovuta addosso la comprensione, la vicinanza, l’affetto di moltissime persone semplici che hanno capito che parlavo degli anni intorno alla seconda guerra mondiale, quando vivevo in campagna.
Guardando attentamente il filmato che la riguarda su youtube sembra di capire che l’apoteosi sulla pietanza a base di gatto sia stata fatta da lei al passato, ha detto più volte “si faceva, era,...”. Il fatto che abbia dichiarato di averla apprezzata può essere legato, scusi l’impertinenza, alla sua età?
So bene che per alcuni l’italiano è di difficile comprensione:
a) io ho parlato di quando ero ragazzo, anni ‘30 e ‘40. Ho citato proverbi, su richiesta della conduttrice ho detto che l’ho mangiato in umido (molti hanno trasformato questo in “Bigazzi ha dato la ricetta del gatto”). Non ho dato una ricetta, ho detto come era stato cucinato da mia madre. Solo degli ignoranti che non sanno come si scrive una ricetta possono aver affermato “Bigazzi ha dato la ricetta per cucinare il gatto”. Si vedano gli ultimi miei libri, in particolare “365 giorni di buona tavola” Giunti Editore Firenze. Le ricette sono dettagliatissime, cultivar dell’olio, provenienza e stagionalità dei prodotti.
b) ho parlato delle fredde e limpide e pure acque del Ciuffenna che scendevano dal Pratomagno. In altre parti d’Italia il gatto veniva posto sotto la neve: ma è solo un ricordo di un’epoca e di una civiltà, quella contadina, ormai passata.
In campagna d’inverno ai tempi dei miei nonni, e sto parlando di una campagna di inizio novecento mantovana, non vicentina, mi hanno raccontato che capitava di vedere portare in tavola il gatto al posto del coniglio. Erano però periodi di ristrettezze, di fame e di necessità, è bene sottolinearlo
Io ho parlato proprio di quegli anni come indica era un piatto… si mangiava… e non solo in campagna: a Parma il gatto era la lepre dei tetti, un proverbio piemontese dice “se i salmì potessero parlare sarebbe un gran miagolare”.
Legge dell’ipocrisia nella levata di scudi e nella decisione di allontanarla dalla trasmissione “La prova del cuoco”? Mi pare che le ricette presentino spesso piatti a base di carne. Una gallinella, un pesce, un coniglio o un agnellino, possono così dichiaratamente non essere considerati “animali da affezione”?
La Legge indica il gatto fra gli animali di affezione. E la Legge è Legge. E le leggi dovrebbero essere applicate: oggi il gatto è diverso da quelli degli anni ‘30 o ‘40 del secolo scorso. Il gatto, nella famiglia contadina, non era altro che un “ausiliare” che mangiava i topi nel granaio, cacciava libero e felice nei campi, sugli alberi .Oggi – si veda l’articolo di Danilo Mainardi su Sette di due settimane fa e si legga Conrad Lorenz – il gatto vive in appartamento, cullato e amato, ma anche sterilizzato o castrato, non mangia più topi, ma croccantini, non esce più, ed è fortemente stressato, curato, coccolato, ma prigioniero fra quattro mura. Si può amare solo ciò che si conosce, altrimenti siamo solo degli amorevoli oppressori.
Per sgombrare il campo da equivoci deve sapere che personalmente se posso salto le file di formiche e che aiuto gli scarafaggi che mi capita di trovare kafkianamente rivolti all’insù. Oggi stiamo tutti lontanissimi dai processi di macellazione, troviamo la carne ben distesa e spesso irriconoscibile nei banchi frigo dei supermercati: è solo questa “rimozione” che ci consente, anche in tanti altri campi, di tradire l’etica, basta l’occhio che non vede?
Sì. E c’è di più. Si dice che viviamo in una società globalizzata. Bene allora si sappia che i bovini sono sacri in India, che negli USA ci sono ristoranti, e scatolette che servono carni di serpente, in Giappone si mangiano balene, in Australia vermi e coccodrilli, in Cina cani, in Sud America si mangiano roditori grossi come maiali, e si possono, per i cattolici, mangiare anche di venerdì.
L'uomo è un essere dalle molteplici vite e dalle innumerevoli sensazioni “una creatura complessa e multiforme, che porta con sé strane eredità di pensiero e di passioni”, ha detto Wilde. La caccia è la manifestazione di una di queste
La caccia, come tutte le attività umane, se fatta con senso di responsabilità, conoscenza della natura, è un eccellente strumento di conservazione della natura stessa. I cacciatori non hanno mai sparato alle api o alle mosche, o ai mosconi. Eppure nel 2008 sono state uccise il 50% delle api dai nicotenoidi usati per il mais (nicotenoidi oggi proibiti dal Ministero delle Politiche Agricole) le rondini sono diminuite perché sono quasi scomparsi gli insetti di cui si cibavano. Le parole sono armi, bisogna usarle bene: negli anni ‘70 i verdi individuarono nei cacciatori i responsabili della drastica riduzione di selvatici. Selvatici che erano decimati dai prodotti chimici per l’agricoltura.
Lei conosce bene il nostro territorio. L’identità Vicenza-gatto si è manifestata, specie negli ultimi tempi, in un’infinità di espressioni: il gatto è diventato un simbolo utilizzato nello sport, nella musica e nel teatro, è stato l’emblema del festival ambientalista e della rassegna di cartoon, è un dolce, la casa degli scout, lo si ritrova nelle insegne di locali e bar, è diventato il titolo di una rivista e trasforma il Gioco dell’oca nel Giro del gato. I vicentini ribadiscono in questo modo il loro attaccamento verso il felino. Altro che “magnagati”, non trova?
Il gatto è stato mangiato fino agli anni ‘40 del secolo scorso: in quasi tutta Italia, ma era un altro gatto ben diverso da quello di oggi.
Lei ha sempre manifestato un grande attaccamento ai prodotti della terra e alla tradizione contadina. Cosa pensa del via libera dell’Unione Europea agli OGM?
Tutto il male possibile. La scienza non deve essere utilizzata per produrre mostri; per valutare le conseguenze sull’uomo occorrono decenni e decenni. Ricordo che secondo il Club di Roma, anni ‘60-‘70, il mondo rischiava di morire di fame per mancanza di prodotti agricoli. I prodotti chimici per l’agricoltura erano la risposta contro la fame. Risposta che ha reso sterili milioni di ettari negli USA, in Canada. Oggi gli OGM vengono presentati come la soluzione della fame: sono invece il problema. Bisogna pensare a migliorare la distribuzione, la coltivazione tradizionale, ridurre drasticamente gli sprechi a livello di sistema e a livello familiare. Si sa che il 40% della spesa del sabato finisce nella spazzatura? Si sa che il 30/40% del pescato non ha mercato e perciò viene ributtato in mare, morto? Si sa che il mercato richiede solo certe varietà di pesce e non altre? E’ sempre la conoscenza che fa la differenza. Concludo con un distillato di saggezza degli indiani delle grandi pianure degli USA, i Lakota del nord e sud Dakota: “la terra l’abbiamo in uso non ci appartiene, dobbiamo lasciarla ai nostri figli”.
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