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Giochiamo a Bridge

Nord-Sud-Ovest-Est: gli aspetti del risultato finale della ristrutturazione del Ponte che, osservati dai quattro punti cardinali, fanno quantomeno invocare il diritto alla perplessità

Pubblicato il 15-04-2021
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E così, egregi lettori, dopo oltre sette anni di avvincenti racconti della Pontenovela (il primo dei miei quasi 400 articoli sull'argomento, come ho già avuto modo di scrivere, risale all'8 febbraio 2014, con il famoso appello “Sos Ponte di Bassano” lanciato dall'hair stylist e appassionato di canoa Ilario Baggio), il libro si sta per chiudere.
Sta per finire la posa del pavimento sul “piano di calpestio”, è iniziato anche l'allestimento dell'impianto di illuminazione, quest'ultimo a cura degli Alpini dell'ANA Montegrappa, dopodiché il monumento sarà finalmente restituito alla città.
Il Comune sta organizzando quella che sarà un'intera stagione di eventi dedicati alla riapertura del Ponte restaurato, compresa la cerimonia inaugurale che prima o poi avrà anche un data certa: ma questa è un'altra storia.

Il Ponte, come si presenta oggi, fotografato dal drone (foto di Fulvio Bicego)

C'è insomma un clima di distensione generale, dopo le tumultuose e controverse vicende che hanno contraddistinto l'intervento di “ripristino e consolidamento” del Ponte in tutti questi anni, favorito dall'entusiasmo del condiviso e smemorato senso di appagamento per la conclusione oramai vicinissima dei lavori.
È venuto quindi il momento, in questa fase di piacevole relax, di giocare un po' a Bridge.
E non solo perché “bridge” in inglese significa “ponte”, ma anche perché il gioco del Bridge è contraddistinto dal fatto che viene giocato da due coppie di giocatori, che i partner si siedono uno di fronte all'altro e che i giocatori vengono indicati secondo la loro posizione al tavolo di gioco: Nord e Sud contro Ovest ed Est. Vale a dire i quattro punti cardinali osservando dai quali è possibile compiere un esame critico sul risultato finale della restituzione del monumento ai bassanesi. Non fraintendetemi: non voglio fare il capzioso e il pedante e non voglio fare ulteriormente le pulci su una vicenda che in tutti questi anni ha letteralmente fuso la mia tastiera. Il Ponte adesso è bello, riassestato, risollevato, rosseggiante. Scoppia cioè nuovamente di salute. Non è perfetto perché la perfezione, ovviamente, a questo mondo non esiste. Ma per un intervento di ristrutturazione che ha comportato un quadro complessivo di spesa di circa 9 milioni di euro (quasi 20 miliardi delle vecchie lire) è naturale che si esiga il miglior risultato possibile. E ci sono invece alcuni aspetti che - a fronte dello spiegamento di risorse economiche e di competenze tecniche impiegate nell'opera - lasciano quantomeno invocare il diritto alla perplessità.

Iniziamo dunque da Nord e Sud. Come ho già ampiamente scritto nel mio articolo di ieri “Il Ponte storto”, il piano di calpestio del Ponte, a restauro ormai praticamente finito, è inclinato e pende verso nord. Ciò comporta la differenza di livello tra le due file di balaustre e un andamento in leggera “discesa” delle travi di sostegno del tetto tra il lato a valle e il lato a monte, come si può notare osservandole con attenzione dalle due spalle del manufatto, e cioè da Ovest e da Est. Il dislivello c'è ed è stato confermato dall'assessore ai Lavori Pubblici Andrea Zonta, che ha tuttavia rimarcato il fatto che “la differenza tra nord e sud” c'era anche prima dell'intervento di ristrutturazione ed in forma più marcata, retaggio della ristrutturazione eseguita dopo l'alluvione del 1966. Come riferito da Zonta, il gap di livello tra i due lati del Ponte è stato ridotto, ma le deformazioni del legno dell'impalcato sottostante erano quelle che erano e di più non si poteva fare. Come direbbe il saggio: cussìta a xe.
Non essendo chi vi scrive un ingegnere o un architetto, io non sono nessuno per sollevare motivati dubbi tecnico-operativi, ma - da cittadino prima ancora che da giornalista - mi chiedo come sia stato possibile che il progetto esecutivo e le varianti in corso d'opera non abbiano potuto prendersi carico anche di questo problema.
Il precedessore di Zonta Roberto Campagnolo, tramite un messaggio inviatomi ieri sera, ricorda che “i dati sul recupero delle deformazioni sono stati resi pubblici dopo il sollevamento mettendo a confronto i due laser scanner fatti prima e dopo”.
In altre parole, la questione delle “deformate” riassestate solo parzialmente affonda le radici all'epoca della precedente amministrazione e Zonta, da questo punto di vista, non può che allargare le braccia.
Ma non è tutto, perché l'incompleto raddrizzamento del Ponte non è solo una questione di Nord e Sud e non riguarda solamente le sue linee “orizzontali”.

Un architetto - e quindi non un passante ignorante in materia - mi ha infatti segnalato che il Ponte è “storto” anche sul piano verticale. Sarebbe stato “tirato troppo” e di conseguenza sempre sul piano di calpestio presenta una curvatura abbastanza accentuata verso monte, opposta quindi alla spinta dell'acqua. Anche in questo caso si tratta dello sviluppo di una anomalia pre-esistente: già prima del restauro il manufatto ligneo presentava infatti una “pancia” sul piano di camminamento conseguente all'alluvione del '66 e successivamente mai più ripristinata. Per evitare ulteriori deformazioni, nel restauro degli anni '60 furono installati i famosi pali subacquei “Benoto” a monte delle quattro stilate allo scopo di ancorare saldamente il Ponte con tiranti. Ma la curvatura è rimasta ed è tuttora presente, anche se parzialmente ridotta a seguito della ristrutturazione attuale.
Ma che il Ponte di Bassano non sia “dritto” lo conferma in maniera inequivocabile anche la foto - che ho pubblicato sopra e che pubblico anche in calce a questo articolo per la visione in ingrandimento - scattata con il suo drone da Fulvio Bicego.
Qui il monumento è immortalato al completo, dall'alto in perpendicolare, compreso fra tutti e quattro i punti cardinali. Nell'immagine, corredata anche di due linee parallele di raffronto, è evidente una leggera ma prolungata deformazione “in rientranza” sul lato nord, tra la prima e la quarta stilata. Di conseguenza il perimetro del tetto deborda anche dalla linea parallela sul lato opposto. Assieme alle altre anomalie descritte più sopra, sono i “disallineamenti” che questo progetto e intervento di restauro non è riuscito a ripristinare.
Ieri l'assessore Zonta ha dichiarato che “per raddrizzare perfettamente il Ponte bisognava smontarlo e poi rimontarlo”. E anche fonti vicine all'Ufficio Lavori Pubblici confermano che per rendere “piano” il piano di calpestio, eliminando quindi l'inclinazione e la curvatura, bisognava smontare completamente il Ponte e togliere tutte le travi deformate dell'impalcato per sostituirle con travi nuove e dritte.

Qui finisce la nostra partita di Bridge. E alla luce di quanto appena scritto, mi sento di rilanciare nuovamente il pubblico processo di riabilitazione per il professor Toshikazu Hanazato, il super-esperto giapponese che a Bassano nel gennaio del 2015, suscitando niente di più che una perplessa e divertita curiosità, aveva suggerito di smontare il Ponte pezzo per pezzo e ricostruirlo con pezzi risanati, come si fa per il restauro delle grandi strutture in legno, ponti e pagode, nel suo Giappone.
In realtà, con la variante di progetto, il principio di Hanazato è stato applicato per la parte inferiore del Ponte e cioè per la ricostruzione delle fondamenta e delle quattro stilate, che sono state completamente smontate e quindi altrettanto completamente rifatte, pezzo per pezzo, anima di acciaio inox compresa. Mentre per la parte superiore, quella del piano di calpestio, gli elementi non sono stati smontati e sostituiti coi risultati che adesso vediamo.
Del senno di poi son piene le fosse, ma è innegabile che la soluzione prospettata dal professore dell'Estremo Oriente avrebbe risolto tutte le irregolarità pregresse ed attuali del monumento simbolo di Bassano del Grappa.
Onore e gloria quindi all'incompreso architetto nipponico e direttore dell'ICOMOS (Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti) per il Giappone, nonché docente ordinario alla Facoltà di Architettura del Dipartimento di Ingegneria dell'Università Mie di Tokyo, da me affettuosamente ribattezzato il professor Ikea o, se preferite, il professor Staka Eritaka Itoki.

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