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Emergenza energetica e tasse. Il giornalista del Corriere della Sera Dario Di Vico commenta i grandi temi economici della campagna elettorale

Pubblicato il 21-08-2022
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«Venite a chiedere a me cosa pensano gli imprenditori del Veneto di questa campagna elettorale? Mi sembra un po’ strano».
Mi stoppa subito al telefono Dario Di Vico, giornalista economico di lungo corso e già vicedirettore del Corriere della Sera. In realtà è un’altra la logica di quest’intervista ad uno degli osservatori che più a lungo si è occupato delle trasformazioni visibili e sotterranee del tessuto manifatturiero del Nordest.
Ha ragione Di Vico, soprattutto da un territorio economico come quello di Bassano si riescono a sondare in tempo reale le preoccupazioni di artigiani e imprenditori di fronte ad una campagna elettorale che porterà ad un nuovo governo in un autunno tra i più complicati degli ultimi anni.

Dario Di Vico (Corriere della Sera)

Per comporre un quadro d’insieme, non solo locale, risulta molto utile sentire dunque anche il parere aggiornato di chi guarda da fuori il Veneto ma che comunque conosce a fondo i meccanismi di funzionamento dell’impresa italiana e soprattutto di quella nordestina.

Di fronte a questa strana campagna elettorale di agosto, con mille problemi all’orizzonte, le imprese come stanno guardando la sfida per il governo del Paese?
«C’è una questione urgentissima da affrontare, talmente urgente che riguarda il governo in carica. Lunedì con questi prezzi del gas molte aziende potrebbero decidere di non aprire. Siamo in una situazione senza precedenti. Rischiano di aprire i capannoni sapendo in anticipo di perdere soldi. Non è un problema solo delle aziende energivore, tra qualche tempo lo diventerà anche per i supermercati o per chi gestisce le catene del freddo».

Il governo Draghi ha davanti a sé poco più di un mese, poi se ne occuperà qualcun altro.
«Nel frattempo sulla questione del prezzo del gas si può ancora fare qualcosa in Europa. Tedeschi e olandesi si sono opposti. Un governo di ordinaria amministrazione non ha la forza per un braccio di ferro sul gas, un endorsement di tutti i leader di partito potrebbe tuttavia dare una spinta per supportare l’azione di Draghi a Bruxelles».

Il tema dell’energia non è entrato in campagna elettorale. Forse è troppo divisivo.
«Siamo nella fase dei nomi e della compilazione delle liste, poi verranno i programmi da 150 pagine e solo alla fine i partiti si focalizzeranno su 2 o 3 temi chiave. I partiti sono pieni di contraddizioni sul tema dell’energia. Il partito dato oggi in vantaggio, Fratelli d’Italia, sostiene il rigassificatore di Piombino ma il sindaco della città, iscritto a Fratelli d’Italia, è contrario. L’autonomia dal punto di vista energetico è nell’interesse di tutti i partiti. La sovranità energetica metterebbe tutti d’accordo».

Nel frattempo le proposte in discussione sono tutte sul campo fiscale. Sostenibili o meno, sono un grande cavallo di battaglia soprattutto del centrodestra.
«Il tema delle tasse non è banale, la proposta della Flat Tax è dirompente. Ma qual è la proposta del centrodestra unito? Perché la Lega ne propone una integrale al 15%, la Meloni parla invece di una tassa piatta ma solo dopo un certo scaglione di reddito. Vedremo poi se sono praticabili, intanto bisogna chiedere alle coalizioni uno sforzo per semplificare e rendere chiare agli elettori le proposte economiche in programma».

Costo del gas, inflazione galoppante, rischi di lockdown energetici. Dal Nordest non arrivano più solo rivendicazioni fiscali. È cambiata anche la geografia del consenso in questa area del Paese?
«Rispetto a qualche tempo fa il governo Draghi ha senza dubbio cambiato una cosa. Nessuno più contesta il nostro ruolo in Europa e la permanenza nell’euro, perché abbiamo dimostrato che il nostro sistema produttivo può giocarsi un ruolo di primissimo piano nelle catene del valore globali, nel rapporto commerciale con Germania e Francia, all’interno delle regole economiche e finanziarie europee. È questo il campionato economico in cui deve giocare il Nordest».

Nonostante tutto, almeno fino alle rilevazioni estive, siamo ai massimi storici nell’export e in tanti altri indicatori.
«Il Nordest non è più solo una zona del mondo che fa da fornitore alla grande industria internazionale, non ha più un ruolo solo ancillare che aveva un tempo. In molti settori, elettrodomestici e automotive per fare un esempio, la componentistica che arriva dai distretti del Nordest produce molta più innovazione tecnologica rispetto alla parte finale della catena commerciale dove si assemblano i pezzi. Innovazioni sui materiali, sul controllo dei consumi, sulla tecnologia operativa. Quindi il terzo tema politico che arriva dal Nordest, oltre ad energia e fisco, riguarda la rappresentanza di una nuova industria manifatturiera che si gioca la competizione nelle catene del valore globali con l’innovazione, la ricerca e la sfida sulle competenze».

Un altro tema complicato e non semplice da maneggiare in campagna elettorale riguarda l’ecobonus. Anche in Veneto ha dato una spinta poderosa all’economia del mattone. Cosa succederà?
«Sarà interessante capire che effetti ha avuto sul mondo dell’edilizia, perché nessuno ancora lo sa. Ne è uscito migliorato? Io penso di sì. Certamente, come avviene in tutte queste occasioni, in parte si è inserita anche una sorta di pirateria imprenditoriale, magari improvvisata al momento. Resta il fatto che ha innescato una domanda importante e ridato vitalità ad un settore in crisi. Si poteva fare meglio? Ormai il grosso è stato fatto. Vedremo quando saranno disponibili i dati definitivi, come è cambiato il segmento dell’edilizia, come è migliorato, quanto si è innovato».

Per chiudere, qual è lo scenario politico che il mondo delle imprese, non solo a Nordest, non vorrebbe trovarsi ad affrontare dopo il 25 settembre?
«Sicuramente non vorrebbe trovarsi di fronte ad un dibattito sterile ed ideologico sul sovranismo, posto che è più probabile che vinca il centrodestra. Siamo un sorvegliato speciale d’Europa, chiunque vinca si muoverà in un percorso preciso dettato dalla realizzazione del PNRR. Sarebbe un’occasione sprecata per il centrodestra impostare ancora un rapporto conflittuale con l’Europa sulla base di schemi “antichi”. Diverso è invece uno scenario in cui si discute con l’Europa su questioni concrete, il tetto del gas o il 2035 come data irrevocabile per la conversione elettrica».

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