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Redazione
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Il verbo "fare" nell'architettura e nel design
Pubblicato il 22-05-2009
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Alcune domande per conoscere meglio la personalità dell'architetto e designer...
Come definisce la sua professione?

Il lavoro dell’architetto, del designer e comunque di chi fa della “composizione” (così si definisce l’attività intellettuale frutto del pensiero creativo) un punto di riferimento per la propria ricerca intellettuale e umana, è sempre stato un grande interrogativo che ancora oggi cerco di indagare. Mi chiedo sempre, senza mai trovare una risposta definitiva, se esiste un metodo certo e assoluto per esprimere quelle certezze che noi, compositori dello spazio, grandi o piccoli non importa, sentiamo nel profondo del nostro bisogno di “fare”. Ecco, se devo riassumere tutto in una semplice e drammatica parola direi che il nostro lavoro è proprio “fare”.
Qual’è stato il primo approccio verso quella che sarebbe diventata la sua grande passione?
Cito un aneddoto che mia madre è solita raccontare a conoscenti ed amici: già dalla prima infanzia i miei compagni di gioco furono i Lego, la musica, tanti fogli, giornali e riviste di ogni tipo che provvedevo a scarabocchiare… e matite e pennarelli e colori a non finire. All’età di tre anni, dopo aver costantemente ridisegnato e ricostruito coi Lego qualsiasi oggetto capitatomi a tiro, andai da mia mamma con una bella pila di disegni e le dissi: “Io farò l’architetto”. Considero questo il mio primo approccio spontaneo!
Cos’è che non va, secondo lei, nel sistema dell’architettura e del design oggi?
Se per sistema intendiamo quello che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno quando usciamo di casa o apriamo una rivista, (e questa forse è la cosa più semplice che abbiamo a disposizione per parlare del mio lavoro di progettista con le persone) ciò che non va, purtroppo, è molto di ciò che vediamo, sentiamo e usiamo,,, o che siamo costretti a vedere, sentire e usare. Ecco, forse è questo il problema: la vera responsabilità civile dell’architetto e quindi del designer o del progettista in senso stretto, è quel potere intellettuale che si esprime col mostrare al mondo intero un pensiero in continuo divenire, esposto anche a inevitabili errori che ci fanno percepire una realtà non sempre affine al nostro modo di sentire lo spazio. Ma preferisco pensare a ciò che funziona e che ancora possiamo fare con il nostro ruolo, e credetemi che non è poco.
Se non fosse quello che è, architetto e designer, cosa sarebbe?
Non sarei. O forse sarei tante altre cose senza essere realmente me stesso. Infelice, insomma.
Da dove proviene la sua ispirazione?
Ispirarsi o essere ispirati da qualcosa è sempre il risultato di tanto studio e dedizione. Amore verso il proprio lavoro mosso da quella sottile e a volte anche pesante ossessione che pervade la mente e il sentire di chi fa questo lavoro. Non esiste secondo me una “ispirazione” come momento sublime, ma esiste il sublime della completa immersione nello studio e nella comprensione di ciò che ci sta attorno. E questo è un lavoro molto difficile. Per fare questo lavoro bisogna studiare tanto e disegnare ogni giorno ( “nulla dies sine linea” come dice Plinio il Vecchio), e avere una linea di ricerca precisa e coerente nel tempo. Si può cambiare, si, ma deve essere un percorso, deve essere una vita… come in tutte le cose in cui c’è passione.
Qual’è il personaggio presente o passato, architetto o non, da cui trae spunto?
La risposta è “non”. Faccio sempre molta fatica a dare un volto o un segno preciso ai miei Maestri, tanti sono gli spunti che traggo dal mondo del pensiero e del fare arte con la speranza di portare un po’di pragmatica ironia dove ci sarebbe bisogno di prendersi un po’ meno sul serio!
Potrei citarti eserciti di Maestri di ogni campo dell’arte ma nel cuore, e quando parlo di cuore intendo immagini che le emozioni dei segni non riescono mai a cancellare, ho Michelangelo Buonarroti (che io considero la vera svolta spirituale verso la nostra contemporaneità), Mark Rothko ( la reincarnazione del pensiero e del fare di ogni momento di crisi della storia umana) e, anche se forse vi stupirà un po’, Luigi Nono (per me pura espressione dei primi esperimenti sulla deformazione dello spazio compositivo che ancora oggi provoca molti bellissimi danni nel mio lavoro!)
C’è un pensiero alla base dei suoi progetti?
Credo che il pensiero stia alla base del lavoro di composizione che prescinde da ogni progetto del “fare” umano. Senza pensiero rovineremmo la nostra storia e il nostro mondo….lo spazio del corpo e della mente umani. Senza pensiero saremmo sempre primitivi nelle azioni e nei sentimenti. Purtroppo ci sono coloro che vendono il proprio pensiero per ottenere facili risultati e guadagni, ma state pure tranquilli, non faranno mai e poi mai parte della Storia. Non mi ritengo più valente di qualsiasi altro onesto progettista, ma attraverso il mio pensiero voglio dare alcune risposte prima di tutto a me stesso, e se poi qualcuno vorrà riconoscersi nei miei oggetti e se nel loro modo di “fare” spazio vorrà farli diventare il “proprio” spazio tanto meglio! Io ci provo….giudicate voi.
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