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Un tempo questo era il Collegio di sant’Antonio Bisaglia.
Patrono di tante fortune politiche individuali e di blasonate carriere dentro e fuori le amministrazioni pubbliche.
Anno 1983, risultati del nostro collegio senatoriale di Bassano: 67.241 voti, il 56 per cento dei consensi, 47 per cento a livello comunale, per Toni Bisaglia votava praticamente un bassanese su due, con un’affluenza di voto oltre il 90 per cento.

Foto di Alessandro Bizzotto
In municipio governava un altro potentissimo “Toni”, Antonio Basso, democristiano trasversale, amatissimo in città. Il Collegio di Bassano era uno dei più bianchi del Veneto bianco, territorio politico dove i voti del “cielo” erano suddivisi matematicamente tra le correnti Dc, ognuna di esse collegata a movimenti cattolici, di aggregazione, sindacali.
Oggi quell’osmosi tra Chiesa e politica si è dissolta, lo sanno anche i sassi del Brenta, nel 2022 i cattolici sono disseminati in tanti partiti ed è difficile anche capire se esiste ancora una piccola fetta di elettorato “fedele”. Di sicuro esiste un dinamico mondo cattolico bassanese, fatto di associazioni, volontariato, socialità e di ragazzi che si impegnano nel grande arcipelago del “fare cattolico”. Per orientarsi sulla questione bisogna partire da Dario Bernardi, per lunghi anni amministratore comunale, tre volte candidato sindaco a Bassano, oggi del Consiglio pastorale diocesano di Vicenza. «Il voto cattolico non esiste più, come non si può più parlare di voto degli operai o degli imprenditori.
La frantumazione del sistema politico e partitico in Italia ha sciolto tante categorie che si erano consolidate nel secolo scorso. Ciò non toglie che davanti all’appuntamento elettorale il cristiano, oserei dire il fedele semplice di parrocchia, non debba porsi con particolare riflessione e responsabilità». La parola responsabilità in prossimità del voto elettorale richiama al tema della partecipazione, ormai una bella gatta da pelare per la democrazia rappresentativa presa a pugni da trent’anni di populismo. Sull’affluenza non ci sono buoni propositi: facendo le vasche tra Piazza Libertà e Piazza Garibaldi si intuisce che molti elettori se ne staranno a casa, anche tra i cattolici.
«Per il cristiano il voto non è mai un fatto individualistico o privato. Non dovrebbe preferire ciò che più gli conviene individualmente, ma ciò che più fa crescere il bene a partire dalla comunità in cui vive. Non esiste per il cristiano il “partito preso” una volta per tutte. Rispetto al “contenitore” egli deve discernere i “contenuti”. Meglio se questa riflessione avviene in gruppo, attraverso il confronto e il dialogo». Ecco un’altra parola magica per l’elettorato cattolico, i contenuti. Declinati ormai con sfumature diverse, meno impegnative rispetto al passato, valori scelti à la carte, in parallelo con una secolarizzazione della società che arriva fin dentro ai movimenti cattolici, ovviamente anche quelli bassanesi.
«In questa riflessione i cattolici - osserva Dario Bernardi - non dovrebbero trascurare i temi della pace, della salute, dell’ambiente, del futuro dei giovani e della contingenza economica. Si dovrebbe guardare poi alle persone candidate. Dico “si dovrebbe” perché i partiti hanno gravemente mortificato questo aspetto, togliendo di fatto all’elettore la possibilità di indicare l’eletto».
Il giornalista Giandomenico Cortese è il decano della stampa cattolica vicentina, profondo conoscitore dei legami che hanno unito i movimenti cattolici e la rappresentanza politica locale. Oggi presiede il cda della società che pubblica La Voce dei Berici, lo storico settimanale diocesano. Il primo voto da neo maggiorenne? «Dc naturalmente, preferenze a Mariano Rumor e a Dall’Armellina».
La domanda che si pone Cortese è quella da un milione di dollari: è la Chiesa che non richiama più all’appello il popolo? O sono i cattolici, anche quelli impegnati, i movimenti, che si fanno distaccati?
«La metamorfosi delle democrazie occidentali sta scompaginando i ruoli. In politica sembra che la Chiesa abbia perso il suo gregge, il 51% di chi va a messa diserta le urne. Anche in una terra come la nostra, dove l’associazionismo è ancora florido, si è reciso completamente il filo che porta i cattolici all’impegno politico».
Bassano aveva addirittura una sorta di Camilluccia in riva al Brenta dove formare i quadri dirigenti: a villa San Giuseppe dai padri gesuiti non ci si preparava solo al matrimonio ma anche (e soprattutto) alla politica e all’impegno amministrativo.
Arrivavano a Bassano, per fare lezione agli aspiranti consiglieri e assessori comunali, personalità come il cardinal Giacomo Lercaro e Giuseppe Lazzati. Corsi di (pre)politica che formavano i bassanesi che sarebbero andati a schierarsi sia tra i dorotei sia nella sinistra Dc, ovvero «quel moderatismo alla veneta – continua Giandomenico Cortese – che poi si è espresso nel consenso verso i partiti più diversi, ma che alla base affonda le sue radici in una storia comune».
La divisione sui valori del cattolicesimo politico, quella che in soldoni ha separato i cattolici di sinistra da quelli di destra, è arrivata molto dopo, alla metà degli anni Novanta con la discesa in politica di Silvio Berlusconi. Oggi, probabilmente, quella frattura culturale si trova molto più evidente nei movimenti ecclesiali più che tra i partiti politici. Una base comune comunque è rimasta, ribadisce Giandomenico Cortese.
«Rispetto della persona, diritto alla vita, famiglia, lavoro, attenzione a chi è emarginato, ai poveri e non solo a quelli materiali. Oltre alla politica nazionale, proprio qui, nei nostri comuni, i cattolici dovrebbero ricominciare a farsi riconoscere di più.
Non attraverso battaglie dogmatiche ma su questioni concrete». Quel moderatismo, di cui parla l’ex giornalista del Gazzettino, che poi altro non era che la concretezza di una classe dirigente, Dc e post Dc, che cercava di incanalare con gli altri livelli di governo lo sviluppo irruento del boom economico veneto. «I cattolici sono diventati insignificanti dal punto di vista politico anche a Bassano perché non hanno più valorizzato gli amministratori locali emergenti provenienti proprio da quel tipo di formazione».
L’Azione Cattolica da dove veniva per esempio Piero Fabris, il Centro Giovanile, gli Scout, i Gesuiti, il Comune dei Giovani a Santa Croce, il mondo delle cooperative, il volontariato, la Cisl, le Acli, un tempo fortissime in provincia, fondate a Vicenza proprio da Mariano Rumor. All’epoca un esercito in grado di aggregare consenso e che adesso è sparpagliato in tutte le parrocchie degli schieramenti politici nazionali.
Carlo Cavedon, presidente provinciale delle Acli, è nato nel 1976 e al suo primo voto ha trovato sulla scheda l’offerta politica della seconda Repubblica («Ho votato il Partito Popolare, la Dc non c’era già più»). «I cattolici praticanti sono una minoranza, sono cambiati tutti gli schemi.
Il tema della rappresentanza soffre dell’eliminazione delle preferenze: si votano partiti che mettono i candidati che vogliono, con le preferenze si potrebbe dare il voto ad una persona, ad un volto. In ogni caso i politici cattolici si trovano in tutti gli schieramenti». Sono passati trent’anni dalla fine dell’unità politica dei cattolici e quasi quaranta da quando i bassanesi portavano Toni Bisaglia in Parlamento con un carico del 60 per cento dei consensi, proprio per questo è interessante aggiornare la domanda: come vota oggi un aclista?
«Innanzitutto bisogna andare a votare, perché la democrazia è una conquista e non è una cosa scontata. Si scelga il partito che mette al centro la dignità della persona. Nelle varie declinazioni: la dignità dei giovani, degli anziani, dei lavoratori, dei più fragili, dei migranti. Questa vale per il popolo che vota, ai politici cattolici si chiede qualcosa in più. Un supplemento di visione, lo sforzo di alzarsi un metro più in alto e guardare al futuro della nostra società. Non solo al giorno dopo, come cerca di insegnare Papa Francesco.
Ma è molto difficile, soprattutto al tempo dei social dove tutti hanno soluzioni immediate per problemi complessi».
Francesca Meneghetti, 41 anni, presiede la Scuola di Cultura Cattolica di Bassano del Grappa, gemmazione del Comune dei Giovani, che negli anni ha premiato i cattolici che a livello internazionale più si sono distinti in ambito sociale e culturale.
La sua visione cambia un po’ i ragionamenti fatti fino ad ora. «Il voto cattolico esiste certo, è vivo in molte persone che vogliono animare la società ispirandosi ai valori del Vangelo. I temi per noi fondamentali sono il rispetto della persona umana dal concepimento alla morte naturale, il garantire spazi di libertà in tutti i campi sociali, ma soprattutto in ambito educativo, e poi il tema della famiglia naturale come cellula fondante della società. Certamente come cattolici abbiamo ancora un peso significativo e cerchiamo sempre, in spirito di collaborazione, di portare avanti i nostri valori.
Anche questa volta inviteremo tutti al voto, è una responsabilità e un’opportunità importante». Nell’universo cattolico bassanese, l’altro grande polo di formazione dei giovani all’impegno sociale è il Centro Giovanile, dal 2018 coordinato da Laura Cerantola, una vita tra le fila dell’Azione Cattolica.
La domanda che si sente ripetere più spesso dai giovani e giovanissimi che frequentano il Centro è grande come una casa: «Laura, ma a cosa serve andare a votare? Di fronte a questa campagna elettorale, gli educatori, i formatori, onestamente non hanno tante risposte facili da dare. Nessuno ha parlato di giovani, di demografia, di come conciliare la vita lavorativa con i figli». E tra i ragazzi che comunque sceglieranno di andare a mettere la X sulla cabina elettorale, magari per la prima volta, cosa conta dal punto di vista dei valori? «Difficile dirlo, anche perché non ci sono solo cattolici che frequentano le nostre attività. Tra quelli che sono più impegnati in un percorso di crescita spirituale e umana, direi che potrebbe fare la differenza chi parla di rispetto della persona, di accoglienza e di condivisione».
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