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Redazione
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Clima estremo
Perché il clima cambierà le nostre vite e la nostra economia. Intervista in esclusiva al climatologo Luca Mercalli, presidente della Società Metereologica Italiana
Pubblicato il 29-08-2023
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L’attualità di questi ultimi mesi ci ha consegnato un repertorio di eventi climatici estremi da mettere i brividi: prima la siccità, poi gli incendi, alluvioni, picchi di caldo mai registrati e bombe d’acqua improvvise e inarrestabili. Con molta probabilità il cambiamento climatico è destinato rapidamente, già nei prossimi anni, a cambiare molti aspetti anche nell’organizzazione del nostro sistema economico e produttivo. All’Electrolux di Susegana, in provincia di Treviso, qualche giorno fa una parte degli operai ha lasciato lo stabilimento prima della fine del turno a causa delle temperature troppo elevate. È di poche ore fa la notizia di una frana nella parte della Savoia francese, vicino al tunnel del Frejus, che rischia di bloccare una delle arterie strategiche che dall’Italia porta le merci in giro per l’Europa. Per non parlare del disastro, ancora in corso di quantificazione dal punto di vista economico, che ha devastato giusto qualche mese fa l’agricoltura dell’Emilia Romagna. La cronologia degli eventi estremi legati al cambiamento climatico segue una rotativa ormai purtroppo quasi quotidiana.
«Gli allarmi sono vecchi di 30 anni, stiamo semplicemente osservando mese dopo mese, quello che i climatologi avevano ampiamente previsto. Nessuno aveva dubbi sul fatto che di questo passo la temperatura sarebbe continuata a salire, che i disastri climatici si sarebbero moltiplicati. Anzi dobbiamo attenderci nuove escalation negli anni a venire», afferma il climatologo Luca Mercalli, presidente della Società Metereologica Italiana e divulgatore scientifico.

Luca Mercalli (Presidente della Società Metereologica Italiana)
Presidente Mercalli, abbiamo vissuto un’estate caratterizzata da una miriade di eventi estremi. Cosa allarma maggiormente la comunità scientifica?
«Basta scegliere, c’è un ampio catalogo. Siccità fino ad aprile, le due alluvioni in Emilia Romagna che sono costate qualcosa come 10 miliardi di euro, in luglio le ondate di calore estremo nel Sud Italia, con i 47 gradi di Palermo e i 48 gradi registrati in Sardegna, temperature mai osservati in 150 anni di rilevazioni. La tempesta di Milano con 5 mila alberi abbattuti o la grandine in Friuli di dimensioni mai viste prima. Fino alle piogge di ieri, abbiamo avuto poi una seconda poderosa ondata di calore, segnalo il dato di Alessandria dove si sono registrati 40 gradi. Questo è un elenco solo italiano, volendo possiamo guardare anche a quello che è successo in Francia o in Canada, dove gli incendi hanno distrutto territori immensi».
Gli eventi estremi collegati al cambiamento climatico stanno cominciando a toccarci da vicino con una frequenza quasi disarmante.
«Quello che sta succedendo non è “un secondo me”, è “un secondo la comunità scientifica internazionale”. Lo dicono da decenni i più grandi scienziati al mondo, lo dice l’ONU. Basterebbe leggersi il Rapporto Stern del 2006, in quelle pagine c’è scritto tutto sulle conseguenze economiche causate dai cambiamenti climatici. Quel rapporto non è stato praticamente ascoltato, ci stiamo avvicinando alle conseguenze previste. Il World Economic Forum, nel suo ultimo Global Risks Report, scrive che i primi tre rischi per l’umanità sono di tipo climatico».
Gli italiani, al netto delle frange che anche politicamente minimizzano o negano addirittura i cambiamenti in atto, che percezione hanno della questione climatica?
«Direi che non hanno la percezione della gravità assoluta della questione. Solo una parte di italiani, diciamo quella forse più sensibile agli appelli della scienza, ha una concezione precisa del problema. Un’altra parte oscilla sull’onda emotiva degli eventi e poi ritorna su posizioni di quasi indifferenza. Osservo invece con rammarico quella grossa fetta della società disposta solo a parole a fare dei cambiamenti. Refrattaria a qualsiasi tipo di limitazioni o a cambiamenti come la mobilità elettrica. Figuriamoci poi sentir discutere di nuove possibili tasse per fronteggiare l’emergenza climatica. È sempre più forte la difesa del piccolo interesse di domani mattina. In ogni caso noi italiani siamo nel campioni nell’arte di trasformare tutto in un tifo da stadio. La climatologia è una scienza sprecata, ha già detto tutto ma in pochi l’ascoltano. Sicuramente è inutile perdere tempo in scaramucce con i negazionisti di turno».
In queste settimane abbiamo sperimentato anche al Nord temperature anomale, soprattutto nelle zone montane. È arrivato il momento di pensare ad una parziale riorganizzazione dei nostri modelli produttivi, dei nostri ritmi di vita?
«Queste temperature sono “nuove” nella storia di molte regioni italiane e le conseguenze saranno altrettanto nuove. I colpi di calore uccidono: nell’estate 2022, la più calda di sempre in Europa, ci sono stati 61 mila morti per il caldo, di cui 18 mila solo in Italia. Il corpo umano ha dei limiti: temperature di 30-34° sono piacevoli, sopra i 40° il nostro corpo subisce uno stress termico gravissimo. Citava il caso Electrolux, tutto il mondo del lavoro dovrà adeguarsi, a partire da quei lavori fatti all’esterno, come l’edilizia e l’agricoltura».
Le nostre città, anche quelle di medie dimensioni, che accorgimenti urbanistici e ambientali dovranno mettere in cantiere?
«Nelle città si possono fare sicuramente molte cose, sono disponibili centinaia di studi riguardanti gli effetti termici di mitigazione prodotti dalla piantumazione degli alberi o dall’utilizzo di determinati colori nei tetti e nelle coperture. Queste misure possono abbattere le temperature urbane di 3-4 gradi non certo di 10. Con temperature di 45 gradi, anche con questi accorgimenti, pagheremo sempre un prezzo molto alto».
Anche al Nord l’acqua in alcuni momenti diventa una risorsa scarsa, in altri diventa un inarrestabile fattore di distruzione. Quando la tutela delle nostre risorse idriche arriverà davvero nella parte alta dell’agenda politica?
«La scarsità di acqua coinvolge il Nord relativamente da pochi anni, mentre al Sud è un problema di lunga data. Non ci mancano certo le competenze o la conoscenza del territorio. Siamo il Paese dei “commissari”, perché comuni, autorità di bacino, province, Stato ed enti vari litigano sempre su tutto. Poi arriva il disastro e serve appunto la figura del commissario. Basterebbe mettere finalmente il sistema burocratico e tecnico nelle condizioni di funzionare».
Le crisi portano anche conseguenze positive nel progresso tecnologico. Se dovesse fare una previsione sulle tecnologie che subiranno in breve tempo la maggiore velocizzazione?
«Sicuramente il settore delle energie rinnovabili. Guardiamo a quello che è successo nel mondo dei pannelli solari, costano di meno e sono più efficienti».
Quale potrebbe essere invece il cambiamento più radicale imposto al nostro stile di vita?
«Il clima incide su tutta la nostra vita, sulla salute, sul turismo, sull’economia. Di fronte ad un problema complesso non ci sono risposte univoche. Fa più paura l’incendio o l’alluvione? Impossibile dirlo. Il Segretario Generale dell’Onu, Antonio Guterres, lo dice senza mezzi termini: o azione collettiva o suicidio collettivo. Abbiamo fatto la diagnosi, abbiamo la terapia ma i pazienti non la vogliono applicare. Certo sono soluzioni che costano, ma ci sono. Anche la guerra in Ucraina costa miliardi, ma i soldi si trovano, perché per l’emergenza climatica no?».
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