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Rinascimento in bianco e nero

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Rinascimento in bianco e nero

Luigi MarcadellaLuigi Marcadella
Giornalista
Bassanonet.it

Green Economy

Campo Largo

Sergio Los fa i conti con il futuro. Lottizzazioni, urbanistica, democrazia e consumo energetico.

Pubblicato il 20-06-2022
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Rinascimento in bianco e nero

Sergio Los è reduce da un convegno allo Iuav di Venezia dove ha presentato un lavoro scientifico su Carlo Scarpa scritto e allo stesso tempo censurato più di 55 anni fa. Qualche settimana fa anche in Svizzera ha presentato le pagine di questo libro “proibito”. «È stato interessante spiegare e discutere che non solo quel libro non è invecchiato, ma che anticipava questioni oggi molto attuali, più riconoscibili di allora. Stanno già organizzando altre presentazioni anche qui a Bassano o Marostica».

Professor Los, questa occasione per una nuova riflessione sul futuro urbanistico di Bassano è nata da un “terno al lotto” o sbaglio?

Campagna italiana (foto di Alessandro Bizzotto)

«Non si sbaglia. Sono stato attratto dal magico titolo “Un terno al lotto” di Bassanonet che, come tanti altri, da una parte evidenzia un problema e dall’altra in qualche modo ne orienta l’interpretazione. Allora, dopo avere pensato a Bassanonet, ho pensato al sindaco e al suo orientare».

Quindi parliamo della questione dei campi larghi di San Lazzaro. È nato, come spesso accade per le questioni di grande interesse ambientale, anche un comitato.
«Dunque, quando il “terno al lotto” arriva al sindaco, egli sta già pensando al futuro istituzionale della sua città, come qualsiasi persona pensa al proprio futuro personale, conoscendone i vincoli, provenienti dal passato, ma anche le capabilità e le risorse. Immagino allora lo sconvolgimento del mettere a confronto quell’inatteso “terno al lotto”, che è individuale, con le sue conseguenze che sono invece collettive, e che molto probabilmente - per la loro imprevedibilità - contrastano con quel futuro normale che il sindaco ha già in mente».

La sua posizione sulla questione San Lazzaro?
«Dovremmo considerare diverse motivazioni, la pandemia prima e la questione ucraina dopo hanno evidenziato come i problemi indotti da una eccessiva interdipendenza e iperconnessione economica rendano critica la globalizzazione, ulteriormente aggravata dai processi della transizione ecologica. Per ridurre tale interdipendenza, i comuni dovrebbero aumentare la propria autonomia, vincolata dal rapporto tra la popolazione insediata e il territorio agroalimentare disponibile. Una popolazione di 40.000 persone richiederebbe circa 40 Km2, Bassano ne ha 46 ma una valutazione grossolana fa pensare che circa 1/3 di quei 46 sia già occupato da insediamenti e infrastrutture esistenti e parte dell’area è montana per arrivare fino a Rubbio».

Nello specifico?
«Perdere altre superfici in pianura per insediamenti industriali, in un momento di ristrutturazione produttiva per la difficile disponibilità energetica, non mi pare una buona idea. Restano naturalmente le questioni del paesaggio e dell’inquinamento, che interessano le persone insediate e tutti quelli che amano la città di Bassano, a rendere un incubo quel “terno al lotto”».

Un sindaco moderno riceve continuamente sconvolgenti distrazioni rispetto alla normale vita di una città, qualcuno potrebbe dire che è proprio questa la normalità. Se dovesse impersonare il consulente disciplinare del sindaco?
«Nemmeno le discipline aiutano a orientare la persona che governa la città, basta valutare i loro esiti: i moderni hanno distrutto quel senso politico delle città, che erano comunità civiche discutenti, estendendole tanto da rendere impossibile qualsiasi discussione. I gesti e le posture delle città non mostrano comportamenti umani, come quelli di una persona che le governa, ma gesti e comportamenti di un mercato immobiliare, molto eloquenti. Il gesto del ponte palladiano lo è, le lottizzazioni, volte a convertire i suoli in soldi, no».

Non potrà dire che oggi manchino le discussioni, i social, i media, le hanno moltiplicate.
«Quelle non sono discussioni, ognuno trasmette i propri monologhi, incontrollabili, per cui possono dire tutto e il contrario di tutto: è molto più facile guidare un milione di persone che diecimila».

Ripeto, nascono i comitati, vuol dire che il tessuto profondo delle comunità è reattivo sulle questioni davvero importanti.
«Il Laboratorio Internazionale PROVO che con Civicity ho organizzato nel 2007 qui a Bassano, un progetto convergente partecipato e sostenibile, pubblicato anche dall’Università IUAV di Venezia, discuteva con i cittadini uno dei problemi cruciali della rete di Architettura Civica della città. La scorrevolezza in direzione nord-sud e la sua viscosità in direzione est-ovest, dove invece si è impiantata la città, con Angarano, il ponte palladiano, le tre piazze e oltre viale Fosse e ferrovia l’informe insediamento intorno a viale Venezia, problema già denunciato dal piano Piccinato negli anni ‘60».

Per i non addetti ai lavori, ce lo ricorda?
«Volevamo elaborare delle risposte discutendole con i cittadini di Bassano, che quindi partecipavano all’espressione dei requisiti principali del nostro progetto, e poi pure al progetto stesso, cosa che non è molto frequente. Non abbiamo voluto fare un tradizionale concorso per inviti, e neanche un concorso aperto ad architetti progettisti, ma abbiamo inventato un ‘progetto convergente’, con una tecnica abbastanza speciale - una versione figurativa del ‘metodo Delphi’ per far convergere criticamente i progetti - in un laboratorio comprendente diverse Università di varie parti del mondo. Lo chiamavamo ‘progetto convergente’ perché, invece di cercare un vincitore del concorso, facevamo convergere - attraverso una serie di discussioni - le proposte di questo convocato gruppo di progettisti, fino a raggiungere pochissime alternative, molto chiare, per poter decidere tra queste. Il processo del laboratorio quindi era anche un modo per comprendere i problemi attraverso la elaborazione dei progetti, invece di dare per scontato che la definizione del problema fosse stata semplicemente definita attraverso le decisioni di un consiglio comunale, come accade quasi sempre».

Sono passati 15 anni, non ci sono stati altri esperimenti in questo senso. E in questo limbo, grandi scelte obbligate possono addirittura arrivare da fuori.
«I problemi dimostravano caratteristicamente come Bassano nascesse divisa dalla Brenta in due città (Angarano culturalmente e politicamente legato a Vicenza e Verona, mentre Bassano legato a Padova e Ferrara) che in seguito - dopo che con due porte e un tetto Palladio aveva riunite rendendo il ponte/piazza un gesto molto umano (altro problema del quale bisognerebbe parlare) - tornano a dividere altri luoghi della città. Questi problemi richiedono nuovi progetti riguardanti altre diverse infrastrutture: la ferrovia e il Viale delle Fosse, usato come circonvallazione, avrebbero bisogno di una risposta analoga a quella data nel XVI secolo da A. Palladio con il suo progetto urbanistico del ponte».

Sergio Los cosa propone?
«Proprio questo è il tema del nostro progetto convergente, unificare, nella direttiva est-ovest, l’architettura civica principale della Bassano storica con un nuovo “ponte/piazza” volto a integrare alla città tutto quello sviluppo che, consolidato lungo viale Venezia, si trova nella parte orientale di Bassano, dove ci sono ampi spazi da riqualificare, come l’area industriale delle Smalterie e la caserma Montegrappa, con tutte le adiacenti aree annesse. Sono spazi molto importanti che richiedono sicuramente una riqualificazione che presuppone riflessioni da far circolare - non solo per menti individuali, monologanti, per quanto preparate da un punto di vista disciplinare, professionale – nella civitas bassanese. Ecco noi dobbiamo imparare a far discutere le città e a far risolvere i problemi dalle comunità linguistiche, simboliche, (ora divenute analfabete coi social) sviluppando il linguaggio locale, e migliorando anche le comunicazioni della città stessa».

Sono cenni molto sintetici, ma capaci di cambiare completamente l’organizzazione della città.
«Se guardi una città dall’alto vedi che potremmo considerarla composta da una rete di spazi stradali sui quali si affacciano molti diversi edifici. Vedi inoltre che le città si sviluppano aggiungendo alla rete nuovi edifici, poi sostituendo alcuni vecchi con nuovi edifici e aggiungendo nuovi tratti di reti con nuovi edifici e così via. Notiamo subito che le reti precedono gli edifici e che questi possono mutare sulle stesse reti, come se le reti avessero una maggiore stabilità degli edifici: le reti sono più immobili e gli edifici più mobili. Ma i tempi moderni hanno introdotto nelle reti moduli ancora più mobili, le macchine e poi i treni, le navi e gli aerei con stazioni ferroviarie, porti e aeroporti. Dunque dovremmo estendere la distinzione tra elementi immobili e mobili, evitando di confonderli. Le Corbusier, vedendo il progresso tecnologico rimpiazzare continuamente con prodotti nuovi quelli esistenti (aerei, auto, navi, moto, computer, ecc.), fu portato a pensare che ciò sarebbe accaduto anche agli edifici e disse essere la casa ‘una macchina per abitare’».

L’Architettura Civica di cui lei parla è strettamente connessa alla necessità estrema delle nostre città di consumare meno. In tutti i sensi.
«Soprattutto per affrontare il presente. Oggi l’eccessivo fabbisogno di energia provocato dalla climatizzazione dei moderni edifici internazionali, e dal trasporto di prodotti multi-nazionali, che potrebbero benissimo essere prodotti localmente, fa vedere le città con uno sguardo più intelligente (non intendo più ‘smart’). Gli edifici e le città potrebbero essere più bioclimatiche, quindi regionali invece che internazionali, le città intermedie (come Bassano) che possono farlo, dovrebbero destinare più spazi all’agricoltura locale, come dicevo, per aumentare la propria autonomia economica e ridurre i fabbisogni dei trasporti con una produzione locale per un uso locale. Questo comporterebbe una drastica riduzione della conversione degli spazi già agricoli del nostro straordinario paesaggio, in spazi lottizzati e costruiti di periferie industriali orribili e inquinanti, spesso invendute ma storpiate per sempre».

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