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Rinascimento in bianco e nero

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Rinascimento in bianco e nero

Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it

Attualità

Vittorio a tavolino

Intervista a Vittorio Sgarbi sui rapporti tra Possagno e Bassano nell’anno del Bicentenario Canoviano. “Avremmo dovuto procedere insieme sin dall’inizio ma si è trattato comunque di convergenze parallele, andando ciascuno per conto suo”

Pubblicato il 22-03-2023
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Rinascimento in bianco e nero

L’ultima volta che ci siamo incontrati è stato lo scorso 27 settembre a Roma, al ministero della Cultura, per la conferenza stampa nazionale di presentazione della mostra al nostro Museo Civico “Io, Canova. Genio Europeo”.
Vittorio Sgarbi aveva ampio titolo per intervenire a quell’incontro nella capitale, nella sua veste di presidente del Comitato Nazionale per le celebrazioni del Bicentenario Canoviano, oltre al suo ruolo di presidente della Fondazione Canova di Possagno, istituzione di riferimento nazionale per la conoscenza del sommo scultore neoclassico.
Nel frattempo è cambiato il governo e Sgarbi è anche diventato sottosegretario di Stato di quello stesso ministero della Cultura dove la mostra bassanese, sotto il profilo della comunicazione, aveva emesso il suo primo vagito.

Foto Alessandro Tich

Ora la mostra di Bassano è terminata ed è tempo di bilanci ufficiali, come riferirò in un prossimo articolo. Ma c’è anche un bilancio “supplementare” che va necessariamente tracciato: quello dei rapporti tra Possagno e Bassano del Grappa, i due poli canoviani, nell’anno delle celebrazioni. Non è un segreto che soprattutto nei mesi precedenti all’evento bassanese sia divampata più di qualche scintilla da parte di Possagno nei confronti di Bassano, per voce del celebre studioso e critico d’arte e personaggio televisivo.
“Conflitto”, “braccio di ferro”, “confronto a distanza”: sono diverse le formule giornalistiche con cui nel tempo ho descritto il clima di antagonismo tra il paese natale di Canova e la città sul Brenta che inequivocabilmente permeava il conto alla rovescia verso gli eventi del Bicentenario.
Ancora pochi giorni prima dell’incontro stampa di Roma, il presidente di Fondazione Canova, presentando il programma degli Anniversari Canoviani a Possagno, aveva preso di mira il suo amico Maurizio Cecconi, già amministratore delegato e oggi consulente strategico di Villaggio Globale International, la società che ha collaborato all’organizzazione della mostra bassanese, nonché segretario di Ermitage Italia.
“A Bassano - è un estratto di ciò che Sgarbi aveva testualmente detto a Possagno - Cecconi è andato dalla sindaca chiedendo di fare una mostra contro di noi, con le opere di Canova da San Pietroburgo. La guerra e la negatività di Putin hanno avuto l’esito che questa mostra col cavolo che potrà avere le opere da San Pietroburgo.”
Salvo poi replicare pubblicamente in quel di Roma al mio articolo che riferiva delle sue dichiarazioni rese in quel di Possagno, annunciando la raggiunta armonia e la ritrovata comunione d’intenti tra le due capitali canoviane del nostro territorio: “Stia tranquillo Tich, sono felice di celebrare il matrimonio tra Bassano e Possagno.”
In effetti le celebrazioni in onore di Antonio Canova a duecento anni dalla sua scomparsa sono proseguite senza più scosse, né ondulatorie né sussultorie.
Intervenendo alla presentazione di ieri della nuova mostra al Museo Gypsotheca “Canova e il Potere”, di cui al mio precedente articolo, il professore ha ribadito il concetto: “Bassano ha fatto la parte sua, noi facciamo la parte nostra. Tra Possagno e Bassano c’è stata competizione, ma non concorrenza.”
Da un anno e passa a questa parte Bassanonet è stato il racconto di tutto questo, annoverando anche l’attuale sottosegretario alla Cultura - talvolta critico come nel caso del mio articolo “Canova e Super Sgarbi”, ma il più delle volte soddisfatto - tra i suoi attenti lettori. E che Possagno e Bassano abbiano alla fine remato nella stessa direzione, come confermato dal presidente di Fondazione Canova, è cosa buona e giusta.
Finita la mostra di Bassano e avviandosi il Bicentenario, allargato al 2023, alla sua naturale conclusione, è arrivato quindi il momento di chiederglielo di persona.
Per concedermi l’intervista, accogliendo gentilmente una mia richiesta, a margine dell’incontro di presentazione di “Canova e il Potere”, Sgarbi mi fa accomodare a un tavolo in un edificio di pertinenza del complesso del Museo Gypsotheca.
Vittorio a tavolino.

Professor Sgarbi, qual è il bilancio del Bicentenario Canoviano dal punto di vista dei rapporti tra Possagno e Bassano?
In realtà si è trattato, come le chiamava De Mita, di “convergenze parallele”. Perché si convergeva sullo stesso obiettivo. Inizialmente mi era sembrato irritante che Cecconi, mio vecchio amico, che poteva vantare al tempo degli accordi con Bassano senza che noi fossimo informati, avesse avanzato la proposta di una mostra che avrebbe avuto una grande forza con le opere russe, che poi ha perso per le note ragioni. Quindi, a quel punto, aveva perso anche appeal. Però hanno fatto una mostra lo stesso, sono stati molto bravi perché hanno lavorato con le cose del Museo, i disegni, i gessi, e con alcuni prestiti importanti. Perché non aveva senso che si prendessero le cose da Possagno a Bassano, visto che tutto era fatto per la morte di Canova che si celebra a Possagno.

Ma cos’è, in particolare, che le sembrava “irritante”?
Quello che irritava all’inizio è che lui volesse fare di Possagno un’appendice di Bassano. Mentre la mia logica era quella di sistemare il museo come stiamo facendo, sistemando tutto quello che non era a posto e di fare alcune iniziative. La prima è stata molto spettacolare perché vedeva il ritorno da Palermo delle due stele della Villa Mellerio che oggi è di Berlusconi, quindi con un appeal anche singolare. Poi tutto il tema dell’arte funeraria di Canova che è stata una mostra importante. Abbiamo anche concepito la mostra più facile su quello che Canova dice ancora agli artisti del Novecento, quindi Ducrot, Bergomi, Scarpella. E quindi abbiamo fatto un’attività di invenzione che si potesse coordinare con l’avere il museo così pieno di cose di Canova. Però Bassano ha fatto una mostra senza collegamenti con noi, in tempi distinti, quindi abbiamo giocato una partita di “pieno-vuoto, pieno-vuoto”: quando c’è Bassano non c’è Possagno. Adesso, appena finita Bassano, ricomincia Possagno. E ricomincia con dei “fuochi”. Una mostra globale non la possiamo fare perché abbiamo il museo. La mostra pure molto importante che ha fatto Bassano è una mostra che si presume di tutto quello che si può fare oltre Possagno. Noi abbiamo fatto invece dei temi: l’arte contemporanea, la scultura del Novecento, l’arte funeraria, la collezione Sommariva e poi chiuderemo con gli allievi di Canova. È stata una specie di avanzamento a slalom che è molto positivo.

Si aspettava che a Bassano, pur senza le statue russe e di Kiev, arrivassero comunque oltre 80.000 visitatori?
Non mi ero posto il problema di Bassano rispetto agli esiti perché mi sembrava che avremmo dovuto lavorare comunque insieme. A certo punto io ho fatto un’introduzione anche alla mostra di Bassano e la consideravo una delle “nostre mostre”. In realtà avremmo dovuto fin dall’inizio procedere insieme. Invece abbiamo fatto questo procedimento di convergenze parallele, andando ognuno per conto suo. Ma il risultato di Bassano mi pare molto degno di soddisfazione anche per noi.

Come mai è stato così impegnativo raggiungere “l’armonia” con Bassano?
Poteva nascere un’armonia completa tra Bassano e Possagno, visto che noi eravamo comunque il luogo delle celebrazioni della morte di Canova. Ma l’atteggiamento di Cecconi e l’idea che due bravi studiosi come Pavanello e Guderzo si sentissero esclusi dipendevano dal fatto che quando sono arrivato a Possagno ho detto di cercare di cambiare un po’ l’aria e quindi ho messo studiosi più giovani. Ma non voleva dire che volevo escludere Pavanello e Guderzo, con i quali ho degli ottimi rapporti. E quindi hanno giocato una partita su Bassano come antagonista. Poi ho cercato di smussare e alla fine la cosa credo che sia rientrata. Però tutto parte da lì, cioè da questa specie di tentativo di continuare a Bassano quello che era stato fatto qui. Qui poi a Possagno ci sono persone bravissime, nella mia volontà di cambiare un po’ le carte in tavola, con la Catra, con la Mascotto, con Feruda e con Leone che ha fatto la monografia più importante. Noi abbiamo cercato di far diventare Possagno un luogo dove si tentava un percorso su Canova che non fosse già quello dei decenni scorsi. È stato assolutamente un equivoco, e me ne scuso anche con Pavanello e con Guderzo, ma la cosa era nata come se ci fosse una specie di incompatibilità o conflitto che non c’era. C’era solo la mia volontà di rinnovare e così abbiamo fatto.

Terminiamo con un po’ di fantapolitica. Lei, come sindaco di Sutri, ha già indossato la fascia tricolore. Le piacerebbe fare il sindaco di una città come Bassano?
È una città importante, un capoluogo anche senza esserlo. È del tutto autonoma da Vicenza, quindi è una di quelle città che potrebbero e hanno dimostrato di essere capitali. Credo che la mia esperienza nelle città che continua, e la prossima potrebbe essere Altino, è tale da consentirmi quello che ho sempre pensato. Cioè una compatibilità di cariche per poter appoggiare l’azione come sindaco. Uno che è sindaco dovrebbe essere anche parlamentare, e in questo caso io sono sottosegretario. Perché questo ti consente di avere un rapporto diretto col potere centrale, invece di stare in periferia. Per cui credo che Bassano abbia più di 15.000 abitanti…

Ne ha 43.000…
Quindi è una cosa per cui ci vuole un sindaco a tempo pieno. Mentre invece le città sotto i 15.000 consentono di gestire meglio il tempo a disposizione. Potrò fare il sindaco forse di Sirmione, potrei farlo di Possagno. A Bassano no, benché sia una città che amo molto, in cui ho molti amici. Poi ho molto amato i pittori Bassano. La prima cosa che feci quando ero ispettore delle Belle Arti fu il restauro degli affreschi del Bassano in piazzotto Montevecchio, che riportammo dentro il Museo. Bassano non ha bisogno di me. L’idea di fare il sindaco di Sutri vuol dire far nascere una città che prima non c’era, ovvero c’era con la sua grande storia, ma una storia soffocata. Quindi la mia azione, ad esempio, potrei farla a Mussolente. Bassano non ha bisogno di me e comunque è una città molto importante, che amo molto.

Conclusione del vostro umile cronista.
Cari lettori di Mussolente, mai dire mai…

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