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Rinascimento in bianco e nero

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Rinascimento in bianco e nero

Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it

Attualità

Se mi girano le pale

Giorno del Ricordo, Esodo, foibe e l’ennesima provocazione del revisionismo storico. Ecco perché grido “basta”

Pubblicato il 15-02-2022
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Rinascimento in bianco e nero

In occasione del Giorno del Ricordo di giovedì scorso 10 febbraio, in memoria dell’Esodo degli istriani, fiumani e dalmati di nazionalità italiana e delle vittime delle foibe, avevo fatto un voto di castità giornalistica. I lettori più assidui di Bassanonet sanno bene che io sono figlio di esuli da Fiume, che nel secondo dopoguerra hanno dovuto abbandonare la loro terra e la loro casa e ricostruirsi una vita da zero in quell’Italia che li aveva accolti inizialmente come profughi.
Più volte quindi, alla data del 10 febbraio degli anni scorsi, ho dedicato articoli e editoriali al dramma del confine orientale che mi vede coinvolto per legami di sangue, prendendo spunto dalle iniziative dedicate nel nostro territorio alla triste ricorrenza.
Quest’anno invece avevo scelto il profilo basso, evitando di occuparmi di questo argomento per non riaprire per l’ennesima volta una ferita personale che non si è mai rimarginata.

Foto Alessandro Tich

Mi ha aiutato in questo senso l’amministrazione comunale di Bassano del Grappa, che quest’anno non ha dedicato alcun momento di rievocazione ufficiale per la giornata commemorativa e non mi ha quindi costretto a scrivere nuovamente di Esodo e foibe, che sono due drammi storici separati ma interconnessi, per dovere di cronaca. Più di qualcuno mi ha anche chiesto perché non avevo dedicato un mio pezzo a questo tema che una volta all’anno, come un fiume carsico, riemerge dai sotterranei della memoria e continua a scuotere le coscienze contemporanee.
Anche perché non si tratta di una questione lontana e avulsa dal territorio locale: dalle nostre parti vivono ancora molti discendenti, e in qualche caso anche dei residui testimoni diretti oramai molto anziani, di quella generazione di italiani strappati dalla loro terra natia che era anche la terra dei loro antenati.
Poi è arrivato il comunicato stampa dell’associazione Destra Brenta che ha deposto simbolicamente una corona d’alloro in via Martiri delle Foibe a Bassano e ha criticato l’amministrazione Pavan per il silenzio istituzionale dimostrato nell’occasione.
Ho concesso quindi una deroga al mio voto di castità e l’ho pubblicato, come unica copertura giornalistica alla rievocazione del Giorno del Ricordo 2022.
Questa era la mia intenzione, ma sono invece obbligato a ritornare sull’argomento.
Perché quando ti girano le pale, sull’elicottero della storia rievocata e soprattutto revisionata, hai il diritto e il dovere di intervenire.
Quello che rende difficile e ogni volta anche penoso ricordare i fatti del confine orientale è l’impossibilità di estrapolarli dalla lettura ideologica che da allora e fino ad oggi nel nostro Paese continua a deformare la memoria e l’analisi di quanto è successo.
Non a caso per ben sessant’anni questa tragica pagina di storia nazionale è rimasta un tabù sconosciuto ai più, per poi riaffiorare con l’istituzione nel 2004 del Giorno del Ricordo e continuare a dividere le tifoserie della politica.
L’ideologizzazione della questione orientale è stata la pena aggiuntiva riservata agli esuli giuliano-dalmati, compresi coloro che tra questi sono sopravvissuti all’infoibamento dei propri cari, e a noi figli di esuli. Additati per decenni come “fascisti” da una sinistra italiana e da una falsa cultura del politicamente corretto che non hanno mai accettato, e non accettano ancora oggi, di guardare a quegli avvenimenti storici senza lo specchio deformante del partito preso.
Non avrei quindi più voluto scoperchiare questa pentola bollente perché l’accanimento politico sulla pelle di chi ha perso per sempre tutti i propri beni nel secondo dopoguerra, in conseguenza di fatti bellici e storici di cui non è stato né autore né responsabile, fa venire i conati di vomito.
Ma purtroppo mi trovo di fronte all’ennesima istigazione a vomitare di chi offende la memoria della mia gente.
Scorrendo i titoli delle pagine online dei quotidiani nazionali, ho appreso infatti dell’iniziativa del professor Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena, che in occasione della ricorrenza del 10 febbraio ha promosso un seminario di studi dal titolo, che già da solo suona come una provocazione: “Uso politico della memoria e revanscismo fascista: la genesi del Giorno del Ricordo”. Montanari, come riportato dal Corriere della Sera, ha ribadito “il carattere accademico e non politico dell’incontro”, eppure, nel presentare il convegno, ha dichiarato che in discussione non era la tragedia delle vicende ma il revanscismo fascista che ha portato all’istituzione della legge del 2004.
È un modo neanche troppo velato di affermare che la ricorrenza sia “una falsificazione storica” voluta dalle destre.
Ci risiamo, ancora una volta: dopo quasi 80 anni viene ancora alimentato il tarlo della cultura fascista e fascistoide quale brodo primordiale del ricordo degli esuli e degli infoibati.
Certamente l’Italia porta il peso della responsabilità storica dei misfatti e dei crimini di guerra compiuti dall’esercito dell’Asse nell’invasione del Regno di Jugoslavia tra l’aprile del 1941 e l’8 settembre 1943. Ma a pagarne le conseguenze, anche con la vita, furono gli italiani delle terre adriatiche, colpevoli solamente di essere italiani e di essere nati e di vivere in quelle terre da generazioni.
Il mio nonno paterno, Giuseppe Tich, era nato a Fiume come tutti i suoi avi ed era il titolare di una famosa officina meccanica, padre di quattro figli, mai impegnato in politica, mai asservito pubblicamente al regime, mai connivente o collaborazionista del Fascismo. Un uomo che per tutta la sua vita ha pensato solamente alla famiglia e al lavoro. Nel 1944 fu imprigionato dai titini, poi fu costretto ad abbandonare la sua villa di salita Natale Prandi a Fiume, costruita con una vita di sacrifici, per trasferirsi come profugo con tutta la famiglia in Italia, essendo nel frattempo Fiume diventata la città jugoslava e comunista di Rijeka.
Sarebbe morto una decina di anni dopo a Venezia, in quella madrepatria italiana che aveva accolto gli esuli giuliani come figli di serie B.
Parlo di lui come esempio, come triste prototipo delle tante migliaia di persone, 350mila in tutto, che come lui sono state estirpate dalle proprie radici per trovare altrove un nuovo tetto sotto cui dormire e per riscrivere la propria vita da zero a seguito degli sconvolgimenti della storia.
Ecco perché mi girano le pale. Di fronte all’ennesima provocazione che tenta di ridurre la memoria di esuli e foibe a una sega mentale del revanscismo fascista, dall’elicottero della storia non posso che sparare i siluri della mia indignazione.

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