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Veni, Vidi, Covid
Al Museo Civico di Bassano una interessante mostra racconta due diverse esperienze collettive durante il lockdown. E vi spiego perché vi invito a visitarla con attenzione
Pubblicato il 17-10-2020
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Veni, Vidi, Covid. Al Museo Civico di Bassano ho visto una interessante mostra, inaugurata ieri e aperta al pubblico fino al 15 novembre, che racconta in due sale separate due diverse esperienze collettive svoltesi durante il lockdown. Collettive a distanza, ovviamente, secondo le prescrizioni governative di isolamento che in quel periodo - nel sincero auspicio che, con i chiari di luna di queste ore, ciò non si ripeta - hanno regolato le nostre vite.
Si tratta di “Terzo Paesaggio: inchiostro degli occhi e diari in movimento - Testimonianze e colori dalla quarantena”. L'esposizione presenta due progetti sviluppatisi tra marzo e maggio 2020, nel pieno degli arresti domiciliari dovuti alla pandemia da nuovo Coronavirus.
Mi riferisco a Diary of a Move dell’artista della danza Masako Matsushita e alla rassegna di fotografie realizzate dagli studenti della scuola media paritaria “Santa Maria della Pieve” di Castelfranco Veneto.

Foto: Roberto Cinconze
Inagurazione ufficiale mascherata e distanziata, come ormai sempre accade, in sala Chilesotti. A fare gli onori di casa, accanto a Masako Matsushita e al docente della scuola media castellana Giovanni Zonta, è l'assessore comunale alla Cultura Giovannella Cabion.
Con l'amichevole partecipazione della nuova direttrice dei Musei Civici di Bassano Barbara Guidi, presente nell'occasione prima di prendere ufficialmente possesso del suo incarico a partire da lunedì 2 novembre. La dottoressa Guidi, in quanto non ancora formalmente operativa, non era obbligata ad arrivare da Ferrara per presenziare all'evento inaugurale, ma è riuscita ad esserci comunque: questo è un buon segno.
Ma entriamo ordunque nel merito della mostra. Diary of a Move, a cui è dedicata l'esposizione nella sala al piano superiore della Galleria Civica del Museo, è il frutto del grande lavoro che Masako Matsushita ha coordinato nei due interminabili mesi della clausura domestica, marzo e aprile 2020. L'artista, assieme a Operaestate Festival e al CSC-Casa della danza di Bassano, ha adattato il progetto - nato ancora nel 2012 per lo studio del ruolo del movimento e del corpo nella memoria a lungo termine - al tempo del confinamento.
Attraverso una “call” pubblica, la studiosa e coreografa italo-giapponese ha radunato a distanza un gruppo di partecipanti al processo creativo, disponibili a registrare in un diario, sia in forma analogica (cartacea) che digitale, un movimento al giorno per 15 giorni tra i movimenti della quotidianità in quarantena. Tra i molti partecipanti di diverse età e provenienza, 62 hanno poi deciso di condividere e rendere pubblici i loro diari. Ne è uscito fuori un “prodotto di comunità” che ha già dato vita ad un catalogo e a uno spettacolo della Masako rappresentato in agosto per B.Motion Danza e che adesso si presenta in mostra.
In esposizione una parte dei diari dei partecipanti, installazioni video, pannelli di pagine scelte, le grafiche di Giacomo Rastelli e i disegni di Luca Pierini, ma anche foto realizzate dal “Gruppo di Sostegno per Fotografi Pigri” coordinati dall’artista visiva Sara Lando. C'è anche un angolo dedicato all' “interazione in tempo reale”, in cui è possibile contattare in videochiamata alcuni autori dei diari per farsi raccontare la loro esperienza.
Diary of a Move, come spiega il comunicato di presentazione del progetto, è quindi “un processo creativo multidisciplinare e condiviso, che raccoglie la memoria di un momento storico speciale, e che segna l'inizio di un percorso che investiga l'umanità, condividendone fragilità e potenzialità, anche oltre i confini di quei movimenti e di quei corpi”.
Un percorso, peraltro, molto dinamico. Il processo creativo condiviso dai partecipanti con l'artista si è infatti evoluto in progetti sempre diversi, come diverse si sono dimostrate le sensibilità individuali nei confronti dei gesti del lockdown: quei movimenti del quotidiano a cui nella situazione precedente al Covid-19 non si faceva caso e che invece, nella costrizione obbligata e prolungata tra le mura domestiche, si sono trasformati in strumenti di racconto.
Nella sala al piano terra della mostra, un archivio fotografico raccoglie invece scatti e autoscatti realizzati durante il lockdown da 51 studenti della scuola media paritaria di Castelfranco Veneto, guidati dal docente di Arte e Tecnologia, l'architetto Giovanni Zonta. Costretti ad affrontare la sfida imprevista della scuola completamente digitale, gli studenti sono stati chiamati ad osservare e a immortalare le potenzialità di spazi di movimento limitati e i dettagli delle persone con cui condividevano il tempo sospeso del lockdown.
Nello spazio espositivo del Museo Civico a parlare sono solo le fotografie: una scelta condivisa tra il prof. Zonta, curatore della mostra, e gli autori dei 46 scatti selezionati. Le istantanee della quarantena vengono quindi affidate alla libera interpretazione personale dei visitatori.
“Un progetto - spiega ancora il comunicato di presentazione - nato per raccontare un mondo esterno temporaneamente irraggiungibile, per riflettere su sé stessi e anche sul potere comunicativo dell’immagine, che in un frammento di vita catturato in un click riesce a raccontare il senso di solitudine, di apnea, di speranza, racchiusi in uno sguardo, nei visi, dietro alle finestre, in un gioco di luci e ombre simbolico della realtà in cui viviamo.”
Dedico spazio alla mostra “Terzo Paesaggio”, e vi invito persino anche a visitarla con attenzione, perché i mesi successivi al lockdown hanno dimostrato quanto sia corta la memoria di questo nostro Paese, che - alla faccia di quell'“Andrà tutto bene” che ci ha obnubilato la mente fino alla nausea - non ha imparato la lezione di Storia e ha ripreso a manifestarsi nei comportamenti collettivi, seppure in mascherina e col distanziamento sociale, come se nulla fosse successo. Proprio adesso, in questi giorni, in questi momenti, ritorna la paura: non di essere contagiati dal virus, per quell'istinto di incoscienza che ci fa andare avanti, ma di un nuovo lockdown. Ovunque si ritorna a parlare con timore e preoccupazione dei DPCM, sigla che avevamo rimosso a tempo di record dalla nostra coscienza.
E i media ritornano a bombardarci e a tamponarci dalla mattina alla sera di notizie sul Covid, preparando il terreno alla psicosi generale: déjà vu.
Ecco: visitare la mostra al Museo Civico di Bassano non ci farà evitare l'inevitabile, se mai dovesse nuovamente accadere. Ma perlomeno ci offre l'occasione di fare un tuffo nella storia recentissima, attraverso l'arte della memoria, per rivedere di riflesso l'immagine di noi stessi, di ciò che siamo stati in marzo e in aprile e di ciò che rischiamo di ritornare ad essere per colpa di tutti, e quindi di nessuno.
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