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Quando una serie è più efficace della realtà
“In realtà son cresciuto con tutt'altro, mi sono avvicinato molto tardi ai cantautori”. Fabio De Min ha l'aspetto del musicista navigato, che non tradisce alcuna emozione per la performance che lo aspetta da lì a poche ore, al Panic Jazz Club di Marostica (VI). E non c'è da stupirsi, considerato l'ottimo ruolino di marcia dei Non Voglio Che Clara quanto a live in giro per l'Italia.
E alla domanda sui riferimenti altisonanti che nel corso degli anni hanno più o meno gravato sulla scrittura di Fabio (vedi alla voce Tenco, Bindi, Battisti e De André) lui risponde con molta serenità e consapevolezza dei propri mezzi: “non credo che gli ascolti vadano realmente a incidere così tanto su quello che uno fa. Io poi fruisco della musica come un ascoltatore qualsiasi. L'etichetta da parte della critica è normale, alle volte mi lusinga, come nel caso di Tenco, ma sinceramente, dopo dieci anni di attività, non senti più nessun riferimento artistico”.
Ascoltando Dei Cani, il loro ultimo disco uscito nel 2010, effettivamente, la personalità dei Clara è forte e consolidata. Si sente, piuttosto, un respiro più ampio e suggestivo – nelle parole, nella musica e nelle atmosfere – quasi cinematografico. “Questo è vero. Soprattutto per quanto riguarda la grande tradizione di autori di colonne sonore che abbiamo in Italia, e che io amo moltissimo. La sfida è stata proprio quella di accostare alcune sonorità da film al rock indie alternativo, e vedere cosa ne saltasse fuori. È lo stesso motivo per cui ci siamo avvicinati all'elettronica: io credo che fondamentalmente uno cerchi di scrivere sempre la stessa canzone, e che poi, al momento di entrare in studio, subentri tutta una serie di cose che differenziano e arricchiscono il brano. Lì comincia una ricerca sonora, che noi viviamo come un'intenzione, un'esigenza assolutamente spontanea, e che permette di non ripetersi mai”. Una scelta precisa, di grande qualità, che arricchisce il sound del gruppo bellunese.

Fabio De Min durante un concerto dell'ultimo tour.
Belluno, appunto. “Forse quindici anni fa essere a Milano avrebbe cambiato qualcosa, Milano era il centro del mondo: i contatti e le strutture per fare musica erano tutti lì. Ma adesso questo è un discorso che non vale più, il mercato si è completamente sfaldato. Anche perché quanti locali ci sono tra Milano e Roma per suonare ad un certo livello? Perciò, per quanto in provincia ci voglia ancora molto tempo per far uscire qualcosa, molte cose nascono comunque da realtà piccole, come Belluno”.
Un mercato sfaldato, apparentemente con nessun (o mille, a seconda dei punti di vista) colpevole. “Io credo invece la colpa sia principalmente delle grandi case discografiche che non hanno saputo invertire la tendenza, ormai sono un treno che corre da solo e che non è capace di cambiare direzione. Il download illegale danneggia, è vero. Ma non è l'unico fattore che agisce nella crisi del disco. Per questo certe sanzioni per chi scarica illegalemente le trovo esagerate. Perché invece non si pensa di far pagare direttamente i siti o, meglio, il gestore telefonico? Magari sfruttando il concetto di abbonamento. Il fatto, triste, è che i gestori telefonici non pagheranno mai per i contenuti”. Perché, in fondo, nessuno crede più nella cultura come risorsa economica. Fabio ne è convinto: “ma certo, è un problema profondamente culturale. Basti pensare anche ai locali, come dicevo prima. Non molto tempo fa abbiamo suonato a LaCasa139, a Milano, poco prima che chiudesse, ed era uno dei pochi bei posti rimasti”.
Prima di lasciare Fabio alla cena e quindi al concerto, dedichiamo le ultime parole ai progetti del futuro prossimo, tra live e studio: “ saremo in tour fino all'autunno, poi cominceremo a pensare ad un disco nuovo. Senza fretta, comunque. Ci siamo sempre concessi la possibilità di scegliere con chi e come lavorare, e lo faremo senz'altro anche questa volta”.
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