Modalità lettura 1 - n.16
Una recensione di Alessandra Caron del romanzo di Virgilio Scapin intitolato: "Il bastone a calice"

un filò (presepio di Bibano)
Il romanzo di Virgilio Scapin a cui nel 1995 fu assegnato il premio Selezione al Campiello è protagonista della recensione inviata a "Modalità lettura" da Alessandra Caron, che ringraziamo.
«Le storie di ogni famiglia, anche se taciute per tanto tempo, non muoiono, vivono nella tradizione, si tramandano come una eredità», afferma una serva nel romanzo Il bastone a calice (di Virgilio Scapin, Neri Pozza Editore, Vicenza, 1994, 161 pagine).
È lei che rievoca, e mette insieme, alcuni pezzi della storia di una ricca e prestigiosa famiglia veneta in progressiva decadenza. È lei che funge da memoria, per aver vissuto i fatti in prima persona o per averli scoperti nel diario della sua padrona o per averli ascoltati nei filò, le riunioni serali nelle stalle dove i contadini condividevano il fascino delle narrazioni. È lei la protagonista! È identificata da un nome proprio, seppure svelato solo alla fine del libro, mentre gli altri personaggi sono indicati da nomi comuni. In tono colloquiale, racconta di altri e di sé. Figlia di contadini, all’età di otto anni diventa cameriera personale di una signora della famiglia Rossi e per tale motivo è contrastata da una cuoca invidiosa e prepotente. La signora padrona trascorre le giornate con inquietudine e si comporta in modo distaccato. È vedova e ha cinque figli, quasi degli estranei, solo accennati, tranne uno – il cosiddetto avvocato – che vanta un ruolo decisivo in vista dell’epilogo. La padrona, inoltre, si caratterizza per il logorante conflitto con la suocera: accuse, indifferenza, dispetti, sfide in carrozza, piatti mandati per aria, insistenti colpi di bastone sul muro sono le uniche forme di comunicazione tra le due signore.
Scenario predominante nello svolgimento della trama è una villa circondata da campi condotti a mezzadria. Oltre il cortile c’è un giardino con alberi ombrosi. In vicinanza ci sono le colline, i paesi e i loro campanili, in lontananza le montagne. È spaziosa, con cinque granai, sette camerotti per la servitù, dieci stanze signorili. Al pianterreno: una sala da pranzo; una cucina con il focolare; un tinello poco illuminato dove sono custodite le foto solenni degli antenati; una stanza fresca per la conservazione della frutta. In alcuni momenti, la villa è avvolta da un tempo silenzioso e rallentato, in altri è animata dall’operosità obbediente dei suoi lavoratori in balia di ordini imprevedibili.
La protagonista, portavoce della sapienza contadina, vive la quotidianità con uno spirito di accettazione che mai si traduce in passività o pessimismo: si impegna con costanza nello svolgimento di varie mansioni e, con la sua paziente concretezza, dimostra forza d’animo e discernimento. È molto riconoscente alla padrona per averle insegnato a leggere e a scrivere e per averla salvata dalle fatiche e dalle miserie dei campi, si considera fortunata rispetto agli altri contadini, ma conserva l’umiltà originaria e non si crea illusioni in merito al proprio futuro.
Nel romanzo (finalista nel Premio Campiello 1995) gli avvenimenti non seguono un ordine strettamente cronologico, il loro intreccio è affidato all’impiego delle tecniche narrative dell’analessi per ritornare al passato e della prolessi per anticipare il futuro. Di fatto, passano due Guerre Mondiali che lasciano segni nei paesi, nelle menti e anche nella villa. Vecchiaia e malattie impongono il loro corso, senza distinzione di classe sociale. Sulla villa grava il peso degli anni. In tutto ciò, la protagonista, affezionata e dedita alla villa, non si perde di coraggio e continua ad agire senza recriminazioni. Fa una scelta e, a un certo punto, la sua vita cambia… eccome cambia! È l’inizio di una nuova storia per la famiglia Rossi che – privata dell’antico e ingente patrimonio materiale – si arricchisce del valore di nuovi affetti. E nessuno rivendica più un particolare ed emblematico bastone a calice!
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