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Bollettino di guerra
L’emergenza Ucraina, l’accoglienza degli sfollati, la gestione delle problematiche, la crisi economica e le nuove povertà di casa nostra: intervista a Arianna Alessi, vicepresidente di OTB Foundation
Pubblicato il 30-06-2022
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C’era una volta la guerra in Ucraina.
Lo dico per dire l’opposto perché la guerra in Ucraina c’è ancora, eccome.
Ma l’assuefazione alle notizie dal martoriato Paese dell’Est dopo il primo mese e mezzo di quotidiano bombardamento mediatico e la priorità oggi conquistata dalle conseguenze economiche del conflitto coi rincari energetici, delle materie prime, dei prodotti alimentari e dei carburanti producono l’effetto di una generale “rimozione” degli aggiornamenti da Kiev, da Mariupol e dagli altri luoghi di questa guerra nel cuore continentale dell’Europa.
Arianna Alessi, vicepresidente di OTB Foundation Onlus
In altre parole, umanamente, egoisticamente e sinceramente: non se ne può più.
Ma l’emergenza umanitaria rimane, con la differenza che non è più abbagliata come prima dalle luci dei riflettori dei media.
Tuttavia proprio adesso che gli aiuti all’Ucraina e l’accoglienza dei rifugiati di guerra non fanno più notizia, in questo volontario allontanamento collettivo dagli echi delle bombe e dalle voci di Zelensky e di Putin, è il momento più giusto per parlarne a freddo.
La qual cosa è una circostanza opportuna per stimolare anche delle riflessioni.
Dai primi di marzo, solo una settimana dopo l’attacco della Russia all’Ucraina, il nostro territorio ha visto particolarmente attivarsi, per l’accoglienza delle donne e dei bambini in fuga dall’inferno, l’OTB Foundation Onlus: la Fondazione del Gruppo OTB - Only the Brave, fondato da Renzo Rosso, con un’operazione di sostegno a UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati. OTB Foundation collabora infatti da lunga data con UNHCR a progetti di supporto ai rifugiati e agli sfollati nel mondo, in Afghanistan come in Mozambico.
Accoglienza degli sfollati dall’Ucraina, gestione logistica dei medesimi e integrazione degli stessi nel tessuto del territorio: è l’ambito di intervento che convoglia da tre mesi a questa parte le energie della Fondazione solidale dell’universo Diesel.
La nuova e improvvisa emergenza umanitaria globale è entrata letteralmente a gamba tesa nelle attività dell’Onlus con sede a Breganze, che ha già il suo bel daffare nella gestione delle iniziative sul territorio a sostegno delle nuove povertà, queste ultime in gran parte tutte italiane. Tra queste, la realizzazione dei cosiddetti Empori Solidali: centri polifunzionali che oltre alla fornitura gratuita di cibo alle persone e alle famiglie in difficoltà offrono un supporto nella ricerca di un lavoro oppure un aiuto alle donne vittime di violenza.
Ultimo atto in ordine di tempo dei progetti dell’organizzazione sul piano locale: l’acquisto e la consegna di un furgone alla Mensa di Solidarietà di Romano d’Ezzelino, come già riportato da un nostro articolo dei giorni scorsi.
Ora i nuovi assistiti dalla Onlus del Gruppo Only The Brave parlano slavo e scrivono in cirillico, per un’emergenza internazionale che è stata e viene tuttora seguita in prima persona dalla vicepresidente di OTB Foundation Arianna Alessi. Ma tutto ciò non ha impedito alla Fondazione di continuare ad impegnarsi, per usare un termine bellico, su tutti i fronti.
Arianna Alessi, si può già fare un bilancio dell’operazione-Ucraina oppure non è finita?
No. Ahimè non è ancora finita e qui andremo sicuramente per le lunghe, anche se è vero che abbiamo visto dei rimpatri di persone. A inizio marzo noi abbiamo cominciato a portare i rifugiati in Italia e ad oggi ne abbiamo portati 442 tra donne e bambini. Questi ultimi costituiscono il 63% delle persone accolte e sono veramente tanti.
Siamo stati sollecitati da una trentina di associazioni locali della zona di Vicenza che già collaboravano col Ministero degli Interni dell’Ucraina per via dei bambini di Chernobyl, quindi famiglie collaudate che ogni estate accoglievano questi bambini a casa loro.
E queste famiglie si sono rese subito disponibili nell’accogliere le persone. Quello che abbiamo capito sin dall’inizio era che queste persone erano tantissime, più di quanto si aspettava. E non avevamo così tante famiglie, sufficienti ad accoglierle.
Per cui ci siamo mossi subito nel trovare palazzine intere e appartamenti per farle diventare dei “Cas”, quindi case di accoglienza straordinaria, sotto la Prefettura e sotto le cooperative locali, per poterle accogliere lì. Ci siamo mossi in quel senso sin da subito. Poi è successo che alcune donne sono rientrate in Ucraina o perché il marito era stato ammazzato, o perché il marito era stato ferito o perché erano di zone di periferia per cui il marito stesso aveva detto di tornare perché erano zone tranquille, anche se poi successivamente abbiamo riscontrato che tranquille poi non erano, perché parliamo anche di tanti terreni minati.
Ma per chi è rimasto, che situazione si prospetta?
Ormai i tempi sono lunghi. Stiamo parlando di un anno minimo di accoglienza per queste persone. I contratti di locazione che abbiamo fatto sono almeno fino al marzo dell’anno prossimo. Da qui poi nasce il progetto di inserimento perché abbiamo capito che le cose andavano per le lunghe. Ci siamo mossi per far convertire velocemente i visti turistici con cui i rifugiati erano arrivati, quindi di 90 giorni, in permessi di soggiorno straordinario per farli lavorare in Italia. E poi ci siamo mossi per far trovare loro un lavoro.
E il lavoro lo hanno trovato?
Lo hanno trovato. Abbiamo fatto una profilazione di tutte le donne, delle mamme, ovviamente di quelle che volevano andare a lavorare. La maggior parte di quelle che potevano hanno accettato il progetto per svolgere un’attività possibilmente consona a quella che facevano in Ucraina. Dai loro profili si è visto se sapevano l’inglese o no, se sapevano già un po’ di italiano. Abbiamo attivato, fin già da un mese e mezzo dal loro arrivo, dei corsi di italiano al pomeriggio e per tre pomeriggi a settimana studiano l’italiano. I bambini apprendono velocemente, le mamme stanno imparando.
Poi abbiamo chiesto sia al gruppo OTB - quindi alle aziende di tutto il gruppo OTB, Diesel eccetera - e sia ad aziende amiche locali di dare disponibilità a prendere queste persone. Parliamo della zona tra Colceresa e Vicenza, quindi dalle nostre parti, perché il posto di lavoro fosse facilmente accessibile per chi non ha la macchina. Abbiamo organizzato anche dei servizi di transfer, alcuni organizzati dai dipendenti stessi che la mattina le prendono al lavoro e le riportano a casa a pausa pranzo. Sono mamme che lavorano per la maggior parte a mezza giornata, perché i bambini il pomeriggio rientrano da scuola o dall’asilo.
Adesso che la scuola è finita abbiamo attivato dei campi estivi. Quindi i bambini stanno facendo sport, col Vicenza Calcio abbiamo organizzato delle attività sportive legate al calcio ma ad esempio un ragazzo era della nazionale ucraina di scherma ed è stato inserito qui in una squadra di scherma. Chi vuole fare danza o un’altra cosa la fa nei campi estivi, perché sono impegnati tutto il giorno.
All’inizio della guerra c’è stata la corsa generale degli aiuti all’Ucraina. Gente che partiva anche con l’auto privata per andare al confine con la Polonia a prendere su le famiglie, raccolte di generi di prima necessità, c’era di tutto e di più. In questo bailamme e anche confusione generale, voi come vi siete organizzati per gestire bene la situazione?
L’organizzazione è scaturita dal fatto che le associazioni ci hanno contattato, tutte nello stesso periodo. Abbiamo chiesto loro di fornirci le liste delle persone con nome e cognome. Le prime liste sono state quelle dei ricongiungimenti, quindi di persone ucraine che lavoravano da anni in Italia e che avevano la famiglia da portare in Italia. Abbiamo organizzato dei pulmini, da 55 posti l’uno, che partivano ogni due giorni per andare al confine con la Polonia. Erano tutte persone in lista e quindi sapevamo già chi andavamo a prendere.
Anche se, a dire la verità, i pulmini partivano con una lista e tornavano sempre con due o tre persone in più. C’era veramente l’assalto alle corriere, ci sono racconti strappalacrime. Quando arrivavamo c’era subito l’esigenza di fare un pit stop al nostro centro vaccinale di Bassano per fare tutti i controlli, soprattutto del Covid. Poi abbiamo capito che oltre al Covid dovevano fare anche la quarantena, perché alcuni risultavano positivi. Quindi abbiamo affittato varie stanze d’albergo in giro, anche se non è stato semplice all’inizio, per fargli fare la quarantena e poi poterli riallocare nella famiglie.
Da lì poi, lavorando con l’Ulss 7, che è stata veramente molto collaborativa, è stato ripristinato l’ospedale vecchio su ad Asiago che nel giro di poco tempo è diventato, mettendo a posto le stanze, l’hub per fare la quarantena. Tutti gli autobus che arrivavano portavano le persone positive a fare la quarantena lì, prima di essere smistate nelle famiglie oppure nelle nostre case. È stata un’organizzazione collaudata nel tempo, però diciamo che c’è stata una ricettività molto attiva e veloce nella risposta da parte dell’Ulss 7.
Al di là dell’attività di OTB Foundation per questa emergenza, agli inizi della crisi ucraina anche il territorio era estremamente ricettivo, molto partecipe e empatico nei confronti degli sfollati. Oggi invece, dopo vari mesi, il “sentiment” com’è?
Se guardiamo i giornali, vedi che parlano solo di crisi economica, di potenziale crisi che arriva in Italia, di problemi che potremmo avere noi legati a questa guerra che durerà nel tempo e si parla poco di quello che sta succedendo là. Io ricevo costantemente, perché con alcune donne ho veramente legato, video e messaggi di quello che sta accadendo lì nelle città.
Noi abbiamo persone che arrivano da Bucha. Quello che è successo a Bucha sta accadendo in tante altre cittadine e in tanti altri villaggi. Quindi la guerra non è finita, anzi loro già due settimane fa mi dissero “guarda che ricominciano a bombardare Kiev”. Io non ci credevo. Abbiamo visto l’altro ieri che hanno ribombardato Kiev. I video che mi mandano non riesco a guardarli tutti perché mi fanno male. Mi dispiace che i media abbiano spostato l’attenzione su altre cose. Anche se il tema della crisi economica - sia chiaro - è importantissimo. Perché noi come Fondazione, lavorando in più ambiti e anche nell’ambito della povertà, anche nella nostra zona del Bassanese e dintorni, vediamo l’incremento delle nuove povertà.
Come state affrontando il problema delle nuove povertà?
Stiamo aiutando economicamente tante persone che siamo riusciti a captare o che ci hanno contattato, vuoi per le bollette o per altre necessità. In più vediamo l’aumento delle richieste dei pacchi alimentari, da cui l’esigenza di aprire gli Empori Solidali. Ne abbiamo aperto uno a Schio che doveva essere per 150 persone e ce ne sono più di 400. Noi adesso stiamo lavorando e speriamo adesso di aprire velocemente un Emporio Solidale anche a Thiene.
Ho insistito con Bassano già da tre anni, però prima mi hanno detto che non ce n’era bisogno, poi invece adesso sento che lo vogliono aprire e iniziano i lavori a luglio. Io spero e mi auguro che lo facciano velocemente, così come a Romano d’Ezzelino, perché l’esigenza è alta.
Noi aiutiamo diversi Empori in tutto il Veneto e la mensa di solidarietà che c’è a San Giacomo di Romano. Adesso per la mensa abbiamo acquistato un furgone perché le richieste di aiuto sono aumentate tantissimo. Parliamo di 20 persone che mangiano costantemente a pranzo e a cena lì e di ben 100 persone che fanno l’asporto: vanno lì a prendere il cibo già cotto per le loro famiglie. E sono tutti nuovi poveri. Quindi noi abbiamo il tema dei nuovi poveri.
È vera la crisi che sta arrivando in Italia, anzi che c’è già in Italia. Mi dispiace che si stia parlando meno di quello che sta accadendo in Ucraina, perché comunque di richieste di arrivare in Italia ne riceviamo ancora tante, ma non sappiamo più dove metterli. Lavorando tanto con la Prefettura di Vicenza, aspettiamo man mano che si liberino i posti.
Non è semplice in questo momento, anche se sono persone di una dignità pazzesca e sono tutte mamme con bambini.
Come riuscite quindi a gestire anche l’accoglienza dei rifugiati ucraini, dovendo già seguire le emergenze sociali di casa nostra?
Per l’emergenza Ucraina prima ero da sola e adesso siamo in tre persone.
Ci siamo organizzati nel tempo, lavoriamo con la cooperativa Mediterraneo che è direttamente collegata con la Prefettura di Vicenza. Abbiamo un rapporto diretto anche con l’Ulss 7, quindi riusciamo a rispondere velocemente a tutte le tipologie di problemi che sorgono a livello anche sanitario. Ad esempio a un ragazzo che ha fatto una visita la settimana scorsa per poter fare il calciatore è stata riscontrata una miocardite.
Siamo quindi riusciti ad avere subito la visita col cardiologo e adesso si valuterà se il ragazzo sarà o meno operato. Sono famiglie che abbiamo accudito, che stiamo accudendo e ogni giorno c’è una problematica diversa, comprese le cure dentistiche per i bambini, ma cerchiamo di dare risposte nel più breve tempo possibile.
Lei personalmente cosa ha imparato da questa esperienza e dall’incontro con queste persone?
È stato molto forte emotivamente. Prima abbiamo vissuto la nostra guerra per il Covid, c’è stata anche la crisi in Afghanistan e abbiamo portato in Italia 300 donne afghane.
Questa esperienza mi ha preso molto più forte, forse perché è una guerra più vicina, forse perché a ogni pullman io andavo personalmente ad assicurami che l’organizzazione delle cose funzionasse, che l’Ulss fosse presente, che i bambini avessero il loro kit di giochi e che le famiglie avessero il kit con dentro l’intimo, il pigiama, i vestiti per due o tre giorni.
È stato fortissimo anche perché scendevano, mi abbracciavano, dicendo: “Grazie! Grazie! Dove siamo?”. Quello mi ha colpito: non sapevano neanche dove stavano andando. Poi sono entrata anche in confidenza con molte di queste persone, ci sono delle bambine che abbiamo accolto in Diesel Farm e che hanno l’età di mia figlia, le vedo giocare insieme e penso che sia importantissimo per mia figlia stare con loro e per loro stare con lei.
È importante e pensi che potrebbe capitare a tutti. Anche perché le mamme sono persone preparate, anche a livello di lavoro. Se uno mi chiede “che lavori gli state facendo fare?”, non è che sono in logistica a fare pacchi. Ne abbiamo trovato due per l’ufficio di stile, un grafico, ne abbiamo due nell’IT e cioè nell’Information Technology. Cioè persone di livelli anche alti, di competenza alta. Quindi sono persone come noi, a cui da un giorno all’altro dicono: “Scappa e molla tuo marito lì”. Ed è una cosa che fa andare via di testa. Loro veramente stanno per giorni senza sentire il marito e hanno l’angoscia di non sapere se sia vivo, dove è andato, perché lì si spostano spesso in zone dove non prende il telefono. Questo, rispetto ad altre guerre che ci sono state, mi colpisce ancora e adesso che se ne parla meno mi fa ancora più impressione perché dicono che non è finita, anzi.
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