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Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
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Attualità

Il legno, l'acciaio e la carta

Più di qualcuno mi ha chiesto perché non ho scritto un libro sul travagliato restauro del Ponte, finalmente concluso. Perché non serve: il mio libro è già qui

Pubblicato il 16-05-2021
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E così, dopo sette anni in Tibet, il Ponte di Bassano è ritornato a casa. È ritornato cioè idealmente tra le braccia dei suoi concittadini. Liberato da tutte le catene di cantiere che lo hanno imprigionato per tutto questo tempo. Ammirato, adorato, glorificato, santificato.
Ponte Nostro, come lo ha chiamato qualcuno, che sei sul Brenta. Sia di giorno che di notte, quando la nuova e rutilante illuminazione ne esalta ancora di più il processo collettivo di beatificazione. La moda del momento è farsi fotografare o farsi un selfie sul Nuovo Ponte Vecchio e postare sui social gli attimi fuggenti sopra il nuovo pavimento o sulle balaustre con frasi fatte del tipo “Bentornato”, “Benritrovato”, “Ciao Vecio” e così via.
Pioggia di “like” assicurati.

Alcune carte e documenti della Pontenovela (foto Alessandro Tich)

Quella di venerdì scorso 14 maggio, con l’intervento della autorità cittadine, non è stata una mera riapertura: è stata una processione laica, dalla spalla ovest alla spalla est del manufatto. Sindaco e tre assessori in prima fila e tutti gli altri a seguire, comprese le gioiose minoranze, in compatta moltitudine come nel celebre dipinto “Il Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo.
Una Elena Pavan in stato di estasi l’ha chiamata “una giornata di svolta e di liberazione”.
La canzone “Emozioni” di Battisti e Mogol aveva invece il volto di Ilaria Brunelli, spina nel fianco del progetto di restauro durante l’amministrazione Poletto, quando era solamente una video-blogger. Se non fosse troppo simile allo slogan del suo sindaco, per la Brunelli andrebbe bene anche una canzone della Mannoia: “Come si cambia”. Amministratori di oggi e di ieri eccezionalmente a braccetto, nell’occasione, per dare vita alla consolidata retorica del “Ponte di pace” e del “Ponte che unisce”.
Non vado oltre, sennò - in quella che potrebbe essere (uso il verbo al condizionale) l’ultima puntata della Pontenovela 2014-2021 - scappa la lacrimuccia anche a me.

Dopo aver dedicato su questo portale circa 400 articoli alle vicissitudini del discusso progetto, delle grane giudiziarie per l'aggiudicazione dei lavori, del contrastato primo appalto, della “miracolosa” variante di progetto e in generale a tutti i più diversi aspetti del sofferto restauro, provo anch’io in questo momento un senso di sollievo. Ma è un sollievo frammisto alla consapevolezza di un’era giornalistica che si chiude e va definitivamente in soffitta.
Per me la Pontenovela è stata un racconto di legno, di acciaio e soprattutto di carta.
Il legno è il materiale che riveste il monumento e l'acciaio è l'incursione tecnologica dei progettisti per sorreggere fondamenta e stilate. La carta, invece, è quella della marea di documenti che in tutti questi anni mi sono serviti per narrare giornalisticamente la vicenda: progetto esecutivo, elaborati progettuali, relazione storica, relazioni tecniche, controrelazioni, atti legali, esposti, determine, ordini di servizio, comunicazioni, ordinanze, contestazioni, lettere, provvedimenti amministrativi, variante migliorativa, atti contabili e quant'altro.
Tutto nero su bianco e tutto alla base di un’incessante attività di reportage e di editoriali certamente scomodi per chi dava del “gufo” a chi presentava le cose diversamente dal pensiero mainstream, ma mai smentiti. Di tutti questi documenti conservo ancora la raccolta, disordinata, nei cassetti di redazione.
Un corposo pacco di testimonianze scritte, necessarie e sufficienti a riportare la storia di tutto il Ponte minuto per minuto. Prima o poi dovrò decidermi a buttarle all'ecocentro nella vasca della carta. Oggi sono solo scartoffie, ma ciascuna di loro ha avuto il suo preciso perché, nel suo preciso momento.

Qualcuno ha scritto su Facebook che dopo l'apertura del Ponte “finalmente potremo passeggiare avanti e indietro e, come tutte le cose che succedono in Italia, molto presto dimenticheremo le varie vicissitudini e problematiche del suo lungo restauro”.
Concordo. Anzi: non è che “molto presto le dimenticheremo”, ce le siamo già dimenticate.
La memoria corta è una caratteristica del nostro Paese e il nostro Ponte Bello non fa eccezione. Oggi il Monumento Nazionale è finalmente ritornato a svolgere il suo ruolo: quello di sede di piacevoli passeggiate, di panoramiche vedute e di architettoniche bevute.
È questo ciò che ci importa. Punto e basta. E presto anche le ultime discussioni, quelle relative alla pavimentazione, si dissolveranno nell’oblio. Come già sono consegnati alla dimenticanza generale tutti gli altri punti interrogativi a cui la gestione politica (amministrazione comunale Poletto e Pavan) e tecnico-amministrativa (Ufficio Lavori Pubblici) dell’intervento di ripristino e consolidamento del cosiddetto Ponte degli Alpini non ha dato risposta. Non serve che ve li ricordi per l’ennesima volta, vi farei venire il Brenta alle ginocchia e non è assolutamente il caso - in questo momento di esultanza collettiva per la restituzione del monumento alla città - di rivangarli.
È venuto quindi il momento di fare ordine sulla mia scrivania e raccogliere i documenti che non servono più. Le mie carte finiranno all’ecocentro, ma gli articoli no: quelli restano, tutti e 400, rintracciabili sotto il tag di Bassanonet “Ponte di Bassano”.
Più di qualcuno, in questi anni, mi ha chiesto perché non ho scritto un libro su questo lungo e travagliato restauro, finalmente concluso. Perché non serve: il mio libro è già qui.

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