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Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
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Un anno luce fa

Il 24 febbraio 2020 l'amministrazione di Bassano annunciava le prime misure restrittive per prevenire la diffusione del Coronavirus: vi spiego perché da allora sembra trascorsa un'eternità

Pubblicato il 24-02-2021
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Un anno luce fa. Era infatti il 24 febbraio 2020 e sembra trascorsa un'eternità.
Il Veneto e l'intera nazione erano ancora scossi dalla notizia della prima vittima italiana del nuovo Coronavirus, il 78enne Adriano Trevisan di Vo' Euganeo, a un tiro di schioppo dal Bassanese per la velocità di diffusione di quello che fino a poco prima era stato considerato come un esclusivo virus “cinese”. Non conoscevamo ancora la sigla “Dpcm” e non eravamo ancora coscienti di quello che sarebbe capitato di lì a poco, un lockdown di due mesi che avrebbe segnato le nostre vite.
Ma c'era già una diffusa preoccupazione per un virus che si stava “avvicinando” alle porte del nostro territorio come in tutto il resto del Paese, fagocitati anche dall'allarmismo dei media nazionali che già non parlavano d'altro dalla mattina alla sera.

Il sindaco Elena Pavan, tra il segretario generale Antonello Accadia e il sindaco di Rossano Veneto Morena Martini, nella conferenza stampa del 24 febbraio 2020 (archivio Bassanonet)

Quel giorno, lunedì 24 febbraio 2020, l'amministrazione comunale di Bassano del Grappa convocò una conferenza stampa per annunciare la sospensione per una settimana (e cioè fino al 1 marzo) della maggior parte delle normali attività che prevedano qualsiasi forma di aggregazione tra più persone, “per prevenire il rischio di diffusione del Coronavirus”: incontri pubblici e manifestazioni, attività delle scuole, attività sportive, utilizzo delle sale comunali, iniziative dei progetti di Operaestate, frequentazione del Centro Diurno Anziani, aperture dei musei, eccetera. Per la prima volta in città comparivano anche le restrizioni per le attività non sospese: i bar e gli altri esercizi pubblici limitati alla sola somministrazione di alimenti e bevande senza ulteriori iniziative come serate a tema o esibizioni musicali; Case di riposo chiuse alle visite private di parenti e conoscenti degli ospiti; matrimoni civili limitati alla partecipazione dei nubendi, dei testimoni e delle persone più vicine agli sposi; frequentazione degli sportelli comunali solo in caso di “stretta necessità”. La decisione era stata presa dall'amministrazione dopo un incontro della Conferenza dei Sindaci con i vertici dell'Ulss 7 Pedemontana.
Contemporaneamente, comparivano nella nostra vita anche le disposizioni di ordine superiore come l'ordinanza “contingibile e urgente” n. 1 del Ministero della Salute del 23 febbraio 2020, emessa d'intesa col presidente della Regione Veneto, che già allora fissava i paletti - che da lì alle settimane successive sarebbero diventati sempre più rigidi - entro i quali condurre le nostre esistenze. Le misure annunciate in quella conferenza stampa bassanese avevano un carattere di provvisorietà e di valenza locale per quella che non era ancora avvertita come un'“emergenza” né tantomeno come una “pandemia”, come la intendiamo oggi e nella fattispecie dai mesi successivi all'estate: ci saremo poi accorti, di lì a poco, che non era solamente che l'inizio di una vicenda ancora senza fine, che avrebbe travolto i singoli Comuni e le rispettive popolazioni nella vorticosa spirale di una nuova epoca storica.

Sinceramente non mi ricordavo di quella conferenza stampa, ma mi è saltato all'occhio il link all'articolo che le avevo dedicato nella sezione “oggi accadde” di Bassanonet che riporta gli articoli pubblicati nella data odierna degli anni precedenti.
E così ho recuperato quella notizia alla pubblica attenzione, in quanto rappresentativa del momento di transizione tra la “vita prima” e la “vita dopo” l'avvento del Covid-19. Solamente due giorni prima, e cioè nella serata di sabato 20 febbraio 2020, avevo pubblicato una “breaking news” che è stata di fatto la prima notizia in assoluto di Bassanonet sui provvedimenti decisi per il contenimento, ancora a livello locale, della diffusione del virus. E cioè l'improvvisa sospensione per motivi precauzionali della sfilata dei carri allegorici di Carnevale, programmata il giorno dopo, decisa dal sindaco Elena Pavan al rientro da una riunione convocata in Prefettura assieme ai sindaci dell'Ulss n.7. L'articolo “Coronavirus, sospeso il Carnevale a Bassano” (oltre 14.400 letture) è comparso nel nostro portale mentre era in corso la tradizionale anteprima della sfilata notturna dei carri del sabato. E ricordo ancora - anzi non mi dimenticherò mai - l'incredulità dei vertici dell'associazione Pro Bassano, organizzatori del Carnevale, che nell'apprendere da me medesimo in mezzo alla folla di viale delle Fosse la notizia della sospensione della sfilata del giorno dopo avevano pensato ad uno scherzo di cattivo gusto. Una reazione sintomatica del fatto di come, in quella fine di febbraio 2020, la percezione dello tsunami sanitario in arrivo non era ancora presente nelle nostre coscienze.
Avremmo però appreso ben presto, sulla nostra pelle, le durissime regole del gioco.
Il 1 marzo scadevano le misure provvisorie del Comune di Bassano, cui facevano eco analoghi provvedimenti sospensivi di altri Comuni del circondario come ad esempio Cassola e Romano d'Ezzelino. Poco più di una settimana più tardi, lunedì 9 marzo 2020, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte lanciava il suo primo messaggio televisivo alla nazione e da martedì 10 marzo avremmo tutti imparato, volenti o nolenti, la nuova parola del nostro vocabolario: lockdown.

Sostengo che da quel febbraio 2020 sia trascorso un anno luce per il semplice fatto che quello di allora e quello di oggi sono due mondi totalmente diversi.
Allora e nei tre-quattro mesi successivi l'Italia era un Paese sotto choc e qualsiasi notizia riguardante il Covid veniva percepita come un ulteriore tassello di conoscenza di un'epocale questione nazionale, prima ancora che pandemica o “mondiale”.
C'era un clima di diffuso allarme sociale e non vanno dimenticati i comunicati stampa che durante il lockdown venivano diffusi dai singoli Comuni del nostro comprensorio, con la notizia del primo cittadino residente nel loro territorio risultato positivo al Coronavirus.
Un modo per comunicare che il virus era arrivato “in casa” e per rilanciare l'appello, seguendo la psicosi da “paziente uno”, a non uscire dalle proprie abitazioni e a seguire tutte le misure restrittive previste dai protocolli dei Dpcm. In quel frangente l'Italia, e con essa l'insieme di tutte le sue comunità locali comprese le nostre, aveva garibaldinamente risposto “Obbedisco”.
L'Italia di oggi, invece, è il risultato di un anno di usura della pazienza collettiva.
La maggioranza tra noi non ne può più - sfiancati come siamo anche dalla conseguente crisi economica - di numeri e statistiche sui contagi, distanziamento sociale, mascherine, divieti di assembramento, limitazioni agli spostamenti, chiusure o restrizioni alle attività, controlli delle forze dell'ordine, zone gialle o di altri colori e chi più ne ha più ne restringa.
Siamo ancora delle bestie in gabbia, anche se non più recluse in casa da lockdown legislativo, e i nostri comportamenti collettivi nei fine settimana in apparente libera uscita ne sono la prova più evidente. La stanchezza e la voglia di reagire al di là di tutti i rischi hanno preso il sopravvento sulla paura: un bene per il nostro stato d'animo, un male per la reale prospettiva di eliminare il prima possibile questo maledetto virus dalla nostra vita, nella speranza che i vaccini sopperiscano alla nostra generale malaccortezza, per quanto rivestita da una mascherina su bocca e naso.
A proposito: quell'articolo di un anno fa era intitolato “Coronaweek”. Mai avrei pensato, pubblicandolo allora, che sarebbe stata una settimana interminabile.

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