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Ritorno dalla delocalizzazione per le imprese bassanesi? Una rondine certo non fa primavera, tuttavia il Covid sta accelerando molti processi interni alle aziende e soprattutto sta mettendo in discussione la “lunghezza” delle filiere di produzione, in particolar modo per quelle collocate all’estero. Caso emblematico è quello della Vitec Imaging Solutions, che per i bassanesi si “traduce” in Manfrotto, il marchio che ha fatto sognare migliaia di appassionati di fotografia. Il gruppo Vitec Group PLC ha annunciato in questi giorni il trasferimento della produzione di mezzo milione di volumi di accessori per smartphone dal lontano Far East al sito di Feltre.
L’operazione industriale servirà a rendere l’area, in cui si producono anche Manfrotto e Gitzo, il centro di riferimento del gruppo e ad avviare due nuove linee di produzione nel segmento smartphonography e meccatronica di precisione.
«La nostra cultura produttiva si basa su logiche di “lean” e di automazione che ci hanno permesso di raggiungere un livello di competitività molto elevato, rispetto anche a Paesi a basso costo della manodopera. Le tecnologie digitali ci stanno permettendo di incrementare efficienza e qualità, allo stesso tempo accorciano i tempi di reazione aumentando la nostra flessibilità verso la domanda. Tra l’altro ormai marcatamente orientata all’online e alle esigenze dei principali player dell’eCommerce», spiega Marco Pezzana, Ceo di Vitec Imaging Solutions.

Marco Pezzana (Ceo Vitec Imaging Solutions)
Con questo nuovo progetto, nello specifico, verranno reshored (riportati) a Feltre circa 400.000 volumi di prodotto oggi realizzati in Cina, che andranno ad impegnare a regime circa un 20% della forza lavoro. In gergo economico, il reshoring si può semplicemente tradurre con “ritorno a casa” di una parte della produzione ed è il passo inverso del processo di delocalizzazione. Quel processo che anche molte aziende bassanesi, da metà degli anni Novanta all’incirca, avevano sperimentato per abbattere soprattutto i costi del personale. Mete privilegiate: l’est Europa agli albori (chi non aveva un capannone a Timisoara?), e poi a seguire i Balcani e la Cina con il corollario dei Paesi del Sud Est asiatico.
«La prossimità ai nostri hub distributivi e ai mercati europei ed occidentali ci permette di ridurre il footprint ambientale, che è una delle nostre priorità strategiche. Questo si inserisce in un processo di certificazione ambientale, che va dall’efficienza energetica dei nostri stabilimenti fino agli standard in fase di emissione e rappresenta un asset del nostro valore competitivo». Il gruppo ha in calendario un ulteriore potenziamento della capacità degli stabilimenti di Feltre con il reshoring di categorie di prodotto più innovative, attraverso linee dedicate alla meccatronica e ai supporti per la registrazione audio.
«Questo processo di reshoring che abbiamo avviato sui prodotti a marchio Joby è destinato a continuare, vista la continua crescita del marchio e dei suoi prodotti. I nostri impianti in Italia riescono ad essere molto performanti anche nei confronti dei processi meno avanzati da un punto di vista organizzativo e tecnologico, e che basano fortemente la propria competitività sul basso costo del lavoro. Se a questo si aggiunge che la distribuzione online, che già oggi è la più importante e continua a crescere, richiede a sua volta filiere più corte, lead time e flussi più veloci, è evidente che questo richieda maggiore verticalizzazione. Offrendo una gamma di prodotti di qualità superiore rispetto al segmento low end e all’offerta di molti player del Far East, crediamo che il poter “marchiare” come made in Italy una parte della nostra produzione sia un sigillo di qualità creativa da un lato ma anche di eccellenza e affidabilità». Ci fu un periodo in cui delocalizzare era conveniente anche solo per spostare la produzione di poche centinaia di chilometri, in luoghi ameni per esempio come la Carinzia, regione che sembrava particolarmente incline ad ospitare le nostre ditte in espansione (www.linkiesta.it/2013/08/sono-veneto-e-creo-mille-posti-di-lavoro-in-carinzia/; nel 2013 questo articolo aveva fatto discutere molto su quello che si muoveva nella pancia profonda del Nordest).
«Durante le fasi di lockdown le filiere lunghe non sono sicuramente state un vantaggio, ma oltre a questo nel post-Covid ci si presenta un mondo in cui il canale distributivo online è cresciuto davvero molto. Per servirlo le filiere lunghe non sono sicuramente il metodo ottimale, anche perché la distribuzione online mette a magazzino meno prodotti rispetto al retail fisico. Questo comporta che anche la variabilità della domanda sarà alta e diventerà la normalità dover gestire una grande flessibilità nella risposta», conclude il manager di Vitec Pezzana. Se è cosa nota che molti imprenditori stanno toccando con mano le criticità legate ad una filiera di produzione dislocata in giro per il pianeta, d’altro canto non ci sono ancora dati significativi dal punto di vista scientifico per confermare numericamente questa tendenza.
Qualcosa viene riferito sul tema nell’ultimo Rapporto del Centro Studi di Confindustria 2020 sugli scenari industriali.
Nel dettaglio come osserva Giancarlo Corò, economista della Ca’ Foscari, che sull’argomento sta scrivendo un saggio per un volume dedicato al cambiamento del commercio internazionale, «non risultano ricerche recenti sul reshoring nei nostri distretti. Si tratta tuttavia più di aneddotica che di analisi vere e proprie. Il reshoring non riceverà un grande impulso dal Covid, piuttosto, ci sono oggi condizioni strutturali che spingono in questa direzione, in particolare collegate agli sviluppi delle tecnologie di automazione.
E’ possibile ritenere che il ritorno della produzione non favorirà però la vecchia occupazione manifatturiera, e sarà piuttosto selettivo, nel senso che solo i territori ben dotati di capitale umano e infrastrutture efficienti potranno attrarre questo tipo di investimenti. Dovrebbe anche essere chiaro che il reshoring non è un processo del tutto alternativo alla delocalizzazione (offshoring). Le imprese tendono a mantenere parte della produzione nelle economie emergenti, soprattutto in Asia, in quanto rendono possibile accedere ad una domanda in crescita.
Tale processo è oggi facilitato dall'innovazione digitale.
Questa sì ha ricevuto un impulso straordinario dall'emergenza Covid».
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