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Laura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it
Un segreto lungo cent'anni: l'intervista a Gianni Giolo
Intervista a due voci sul mistero del baule di Antonio Fogazzaro
Pubblicato il 04-01-2011
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Antonio Fogazzaro esce spesso martoriato dalle antologie scolastiche, sintetizzato in bozzetti non sempre fedeli e forse irriguardosi nei confronti della complessità del suo pensiero e della sua opera
Prendiamo come esempio la “Guida al Novecento” del Guglielmino. Fogazzaro viene ricordato come un cultore dei “conflitti delle anime belle” (non si dimentichi che “Piccolo mondo antico” comincia dove i Promessi Sposi finiscono, dando voce agli ostacoli interiori, spesso più difficili da vincere di quelli esteriori, dei personaggi come Franco e Luisa che non riescono a superare le loro intime diversità e incomprensioni), e come un raffinato esteta che ama luoghi non volgari e ovvi, nobilitati dal fascino paesistico e da un certo alone di “turismo mondano” (Trombatore) e per la sua disposizione più lirica che descrittiva che mira a cogliere suggestioni, voci nascoste, accordi occulti, corrispondenze fra elementi naturali e stati d’animo dei personaggi. Si pensi alle descrizioni del lago di “Malombra”, a certi rapporti tra stato d’animo e ambiente esterno nel “Daniele Cortis”, a tante pagine del “Mistero del poeta”, ispirato alla figura dell’americana miss Starbuck, cui nel 1885 scriveva “io sono un artista che studia gli spiriti e guai se non sapessi vedere un’anima attraverso un viso, una voce, una parola”.
a destra il professor Gianni Giolo
Proviamo a fare qualche semplice previsione: l’autore di “Piccolo mondo antico” avrà deciso di svelare dei segreti che riguardano il suo piccolo mondo domestico, un vero amore a cui donare così l’immortalità, oppure di rivelare, in una scommessa col tempo, previsioni storiche, analisi lucide e indicibili all’epoca in cui viveva. Quale delle due ipotesi vi incuriosisce di più?
L’attenzione verso l’umile vita quotidiana, alla vita campestre colta nelle varie stagioni, ai dimessi particolari della vita di ogni giorno Fogazzaro l’aveva colta dai “Sonetti dell’Astichello” del suo maestro Giacomo Zanella. Nello stesso tempo il Fogazzaro era attento ai temi politici del suo tempo che auspicavano uno stato forte e autoritario, secondo un’ideologia antidemocratica che egli esprime nel “Daniele Cortis”, dove mostra la disistima della democrazia parlamentare e la convinzione che “ci vuole un potere politico abbastanza fermo per condurre un paese, giusta un concetto prestabilito, sopra e semmai fosse necessario anche contro i flutti delle maggioranze parlamentari”. Tutti temi che torneranno con ben altra virulenza negli eroi dannunziani e in tutto il primo Novecento (si pensi a quella letteratura canagliesca e demoniaca di Papini che su “Lacerba” esaltava la guerra come unica igiene del mondo). L’ultimo Fogazzaro del “Santo”, che fu il primo bestseller del Novecento, e che ebbe un enorme successo soprattutto in America, si apre alle istanze innovatrici della Chiesa, già espresse dal Rosmini nel suo famoso saggio del 1848 sulle “Cinque piaghe della Chiesa”. La Stessa Civiltà Cattolica ha riconosciuto in lui un profetico anticipatore delle istante di rinnovamento della Chiesa espresse dal Concilio Vaticano II.
Cosa può muovere il desiderio di destinare una sorpresa ai posteri, a tempi e a persone sconosciuti, a una realtà aliena come quella che ci sopravvive dopo cent’anni, e che potrebbe vedere con dispositivi ottici imprevedibili piccola e insignificante ogni nostra grandezza?
L’Ottocento è stato il secolo dei grandi poeti e scrittori come Leopardi, Foscolo, Manzoni, Carducci, Pascoli e il Novecento vive ancora nel fascino dei miti dell’Ottocento, dando origine a una marea e a una pletora di poeti e scrittori che vivono all’ombra di quei giganti e nella scialba e languida riproposta di quei miti. Leopardi – scrive Pietro Citati sul libro omonimo – è uno di quei geni straordinari che la natura produce quasi per miracolo: “penetravano in parti così segrete della natura, scoprendo e vedendo tante cose, che la stessa copia e profondità delle loro concezioni ne impediva la chiarezza, l’ordine, la determinazione, la fruttificazione”. Erano vittime dell’eccesso del loro genio.
Lo scrittore, l’artista possono godere di una sorta di immortalità attraverso le loro opere, un privilegio che condividono ad esempio con gli uomini delle scienze. Ai nostri tempi, la palma dell’immortalità sembra essere alla portata anche di personaggi davvero poco mitici, grazie all’amplificazione delle loro “gesta” da parte dei media. Sempre ai posteri l’ardua sentenza?
Viviamo in un’epoca che si nutre di miti enfatizzati e addomesticati dai mass-media. Personalità come Pasolini, Moravia, Pratolini ecc. che sono vissuti nell’enorme popolarità dei rotocalchi e dei quotidiani sono spariti e non si ricordano quasi più. Per non parlare dei miti di celluloide del cinema. Chi rammenta più le grandi dive o i grandi divi del passato? E’ il caso di ricordare le parole di un poeta come Pindaro che definiva l’uomo “sogno di un'ombra” e di un grande scrittore come Borges che scriveva: “non c’è volto che non sia sul punto di cancellarsi come il volto di un sogno”.
Un “baule” da destinare al 2111: contiene un libro, o un film o un’opera d’arte contemporanei, alcune scommesse di immortalità
Come libro letterario ricordo “Preparativi per la partenza” di Paolo Ruffilli, come saggio “L’uomo che non credeva in Dio” di Eugenio Scalfari, come testo filosofico “I filosofi e la vita” di Franco Volpi, come testo teologico “La storia dell’Inferno” di Herbert Vorgrimler, come film “Uomini di Dio”. Sono documenti che, nonostante le tenebre che ci circondano, possono indurci ad alzare la testa al di là delle nostre miserie quotidiane.
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