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Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Interviste

Resistere: inaugurazione giovedì della nona edizione

Giovedì 12 giugno l'apertura della rassegna culturale della Libreria Palazzo Roberti. Protagonista del primo incontro sarà Giulia Ligresti

Pubblicato il 09-06-2025
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Resistere, la rassegna culturale della Libreria Palazzo Roberti realizzata in collaborazione con la Città di Bassano, "Città Veneta della Cultura 2025", aprirà la sua nona edizione giovedì 12 giugno con tre appuntamenti: alle ore 17, in Libreria sono attesi Giulia Ligresti e Alberto Fusini; il Castello degli Ezzelini ospiterà alle 18.45 Telmo Pievani e Giuseppe Remuzzi con Edoardo Lombardi Vallauri; la sera, alle ore 21.15, sarà la volta di Maurizio Molinari e David Parenzo, con Lina Palmerini.
La manifestazione ideata dalle sorelle Manfrotto ha cercato anche quest’anno di proporre autori e libri che spazino su generi diversi, con sensibilità e competenze che riguardino l'attualità, la scienza, la geopolitica, la storia, riservando un ruolo particolare alla narrativa. In questa giornata inaugurale, la prima delle quattro in cui si suddivide il festival, spazio a una storia personale, la cui cornice pubblica racconta anche un pezzo rilevante della Storia italiana, sotto i riflettori i campi dell’imprenditoria, della finanza, della politica, della giustizia; poi, in uno sguardo più allargato, una lettura della lunga avventura della specie umana, narrata con i linguaggi delle scienze e della filosofia; infine, nell’appuntamento serale, al centro i temi dell’attualità e dei grandi conflitti in corso.

Giulia Ligresti, protagonista dell'appuntamento inaugurale di Resistere 2025

Ad aprire il programma sarà dunque una conversazione tra Giulia Ligresti, imprenditrice e ora apprezzata designer figlia del noto Salvatore, e Faustini, già direttore di diverse testate giornalistiche e voce storica della trasmissione “Prima Pagina”, su Rai Radio Tre.
L’occasione dell'incontro è data dalla recente pubblicazione di un’autobiografia titolata Niente è come sembra, edita da Piemme, in cui Giulia Ligresti si racconta, in un viaggio tra memorie famigliari ed esperienze in ambienti che vanno dal jet set internazionale ai grandi imperi finanziari, dove ha ricoperto incarichi al vertice; dalle missioni umanitarie in luoghi difficili fino all'esperienza del carcere da innocente.
Tra le pagine, i retroscena di una delle vicende più emblematiche della finanza italiana: l’autrice si sofferma sulle vicissitudini dell’arresto, della custodia cautelare e del carcere vissute in prima persona in un arco di anni che va dal 2013 al 2019, nel mezzo un patteggiamento e infine l’assoluzione. Nella sua storia famigliare, in precedenza, il sequestro della madre, Bambi Susini, poi l’Era di Tangentopoli.
L’esperienza della privazione della libertà segna, e bene che chi ha modo e strumenti per parlarne lo faccia a favore di tutti, per porre in evidenza gli aspetti che eventualmente non funzionino, in un sistema così complesso come quello giudiziario italiano.

Restiamo alla storia personale: cosa ricorda di un’esperienza come quella della privazione della libertà, e quanto questo è ora motore dei progetti umanitari a cui si dedica con passione?
Da più di vent’anni mi reco in luoghi difficili, portando avanti progetti umanitari dedicati soprattutto a donne e bambini. Ho lavorato in Afghanistan, in India, in Etiopia… Ed ero all’epoca appena tornata da Gaza, pochi giorni prima del mio arresto da innocente. A Gaza City ero nel piccolo comprensorio cristiano gestito da padre Hernandez, per un progetto psicopedagogico promosso dall’Associazione Realmonte, rivolto ai bambini affetti da PTSD (Disturbo da Stress Post-Traumatico). Un progetto che oggi, pensando a cosa sta accadendo in quella terra martoriata, mi provoca un dolore profondo. Allora Gaza era quasi sconosciuta, oggi è diventata tragicamente simbolica. Perdere la libertà, soprattutto quando la si perde ingiustamente, è qualcosa di difficile da spiegare. È un diritto che diamo per scontato, e solo quando ci viene tolto capiamo il suo valore. Durante le mie missioni ho incontrato persone che vivono in condizioni di libertà negata per sempre. Penso alle ragazze afghane: oggi non possono più uscire di casa senza un uomo, vivono nascoste dietro un burka, private di istruzione, di futuro. Io sono rimasta senza libertà per pochi mesi, loro non sanno nemmeno cosa significhi averla.

Un mondo in cui si trascorrono sei anni “processati”, tra alti, bassi e varie peripezie, ma anche in parallelo il mondo penitenziario, con le sue regole: un incontro speciale che ricorda, fatto a Vercelli, o a San Vittore?
Di incontri speciali, durante quei mesi, ne ho avuti tanti. Penso a Valeria, l’educatrice di Vercelli: una donna straordinaria che non mi ha mai lasciata sola, nei due lunghissimi mesi di custodia cautelare. O a Enza, considerata la più pericolosa tra le detenute, ma che con me si è sempre dimostrata gentile. Perché anche nel dolore estremo, esiste ancora spazio per l’umanità.

La sua nuova vita a contatto con l’arte, con il design: un amore per il bello che dura da sempre.
Il design è sempre stato parte della mia vita. Oggi creo pezzi che sono quasi sculture, e che sono esposti in gallerie internazionali, da New York a Singapore.
Credo che la bellezza, quella vera, sia davvero salvifica. È un atto di resistenza contro gli orrori del mondo.

In un’intervista fresca di stampa ha dichiarato che le piacerebbe fare il Sindaco di Milano. Cosa vorrebbe realizzare, da Sindaco?
Sì, mi vedrei come Sindaco a Milano. Milano è una città straordinaria, ma serve ascolto. La prima cosa che farei è istituire una giornata dedicata all’ascolto diretto dei cittadini. Perché chi vive davvero la città, ogni giorno, sa indicare con precisione dove intervenire e cosa migliorare. La politica, per essere utile, deve partire da lì: dalla realtà concreta.




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