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Il mondo che vorrei

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Il mondo che vorrei

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Interviste

A tu per tu con Giorgio Vasta

Il valore delle parole

Pubblicato il 22-06-2009
Visto 3.112 volte

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Il mondo che vorrei

I nomi dei tuoi personaggi, dei protagonisti di “Il tempo materiale” inneggiano al sogno, sembrano i protagonisti di una favola nera

I ragazzini si chiamano Nimbo, Raggio e Volo. I nomi che ho attribuito ai personaggi del libro nascono dall’intenzione di rendere più materiali protagonisti e comparse, li concretizzano, una caratterizzazione attraverso le parole, forgiata dal linguaggio. Utilizzo spesso termini scientifici che raccontano anche la biologia, l'anatomia e la fisiologia, che spezzettano la realtà riconducendola alle sue particelle più infinitesimali, rendendola forse più pura.

Giorgio Vasta e Mattia Pontarollo


C’è anche un po’ di Collodi nel libro assieme alle BR?

Certo, il grande libro di Collodi è comparso tra le righe di soppiatto, appena me ne sono reso conto ho cercato di rendere più evidenti ed espliciti i riferimenti, i rimandi al suo capolavoro, avviene ad esempio nell’episodio della cattura che evoca l’immagine di Pinocchio condotto in prigione dai due gendarmi. Gli animali che sono presenti nel libro comunicano e narrano anch’essi, spesso lo fanno attraverso il silenzio. Pinocchio parla di un cambiamento raccontato in tempo reale mentre avviene, non sapremo mai com’è continuata la storia, qual è il destino di Pinocchio-bambino. La stessa cosa accade ai protagonisti del mio libro: la storia non finisce con l’ultima pagina, ma il futuro dei ragazzini quasi non mi riguarda, non è più quello che volevo narrare, è già altro.

Hai detto in un’intervista che sarà la letteratura a raccontare cosa diverrà l’Italia fra pochi decenni

Sarà la letteratura perché da sempre è in grado di farlo. La sociologia, la politologia, la statistica possono restituirci una quantità di dati e di letture, ma non riescono a raccontarci un’atmosfera. Il dispositivo della narrazione ha connaturata in sé una sorta di preveggenza perché il linguaggio consente non solo di spiegare, ma di con-prendere

Ti ha mosso un intento civile a scrivere il libro?

Nell’intento ultimo ho voluto raccontare una storia d’amore. Come avviene in “Una questione privata” di Beppe Fenoglio ho cercato di parlare di un evento a carattere personale allargandolo inevitabilmente e consapevolmente al sociale, una prospettiva pretesto per un’accezione più ampia che abbraccia anche ciò che accade intorno. Nel 1978 avevo otto anni, ho scelto come protagonisti del libro dei quasi coetanei, degli undicenni, per raccontare un “tempo mancato”: la loro incapacità storica, linguistica, sentimentale mi ha consentito di fornire una narrazione inedita, particolare di un’epoca, da testimone non autorizzato. Il ragazzino che ero non poteva certo avere la consapevolezza di ciò che gli accadeva attorno, ma sicuramente l’ha “sentito” e l’ha restituito con un respiro ampio, non filtrato.

E’ il desiderio di tragedia, in senso classico, di vivere cioè una realtà che differisce da quella che si sperimenta quotidianamente e che la teatralità dei gesti rende altrettanto reale, quello che fa agire i non-ragazzini del romanzo?

Sì, è il desiderio nobile negli intenti, turpe nei mezzi, di ricercare la tragedia in senso classico per rifiutare la banalità, una fuga dall’accordatura ironico-cinica della farsa, del disincanto, letture che anche oggi paiono permeare ogni aspetto dell’attualità. Nel libro tutto trasmuta e viene riconfigurato in un desiderio continuo di rivoluzione e di superamento della realtà contingente. Il linguaggio nelle mani del protagonista assume un ruolo assoluto, diventa uno strumento che decifra e trasforma in consapevolezza, ma la moltiplicazione degli alfabeti alla fine non basta, esistono altre letture-visioni del reale che sono più primordiali ma pure, quella della Bambina Creola, quella degli animali, quella dell’amore.

Si è parlato in più occasioni durante il Piccolo Festival del fascino degli Angeli neri, i tuoi ragazzini sono studiosi “seri” del male, in questa serietà c’è forse la pretesa della ricerca di un’etica?

Sì, ma non voglio essere frainteso: non c’è alcuna volontà di giustificazione della lotta armata in quello che dico, in assoluto, c’è solo forte il desiderio di nuove chiavi di conoscenza e la proclamazione di una necessità, che è quella di recuperare lo sguardo profondo e tragico proprio della tradizione classica, quello che porta con sè il concetto alto della responsabilità e quindi della necessità dell’intervento. Non basta conoscere, sapere. E’ una condizione molto italiana quella di fermarsi a questo passo che opera l’intelligenza e di non andare oltre

Palermo ritorna nei tuoi progetti letterari futuri

Palermo è la città in cui ho abitato 26 anni, la sento nella pancia oltre che nel cuore. Spesso si pensa a Palermo come ad un centro minore, lontano, un luogo che non rappresenta l’italianità. Nel mio prossimo lavoro ribalto la prospettiva e guardo a Roma, a Milano, ad altri grandi centri che polarizzano di più l’attenzione proprio da Palermo, la rendo lo sguardo all’Italia





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