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Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Magazine

Sete e voglia di Internazionale

Uno special report dell'incursione al festival che nel fine settimana ha animato Ferrara, giunto alla 17^ edizione

Pubblicato il 05-10-2023
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L’andar per festival autunnale — magari lo fosse — per chi scrive non può prescindere da un salto all’Internazionale di Ferrara.
In un periodo storico in cui l’informazione mainstream ha raggiuto minimi storici in termini di ampiezza e qualità, dove i telegiornali istituzionali sono inguardabili e nei talk show dilagano voci grosse e superficialità, in anni in cui la politica è dominata da figure imbarazzanti di ogni colore, si è grati della possibilità di trascorrere qualche giorno tra giornalisti, fotografi e operatori che documentano sul campo e senza troppi filtri cosa succede nel mondo, l’approfondimento è acqua fresca di cui si ha sete.
Il periodico “Internazionale” ha compiuto trent’anni nel 2023, e il festival omonimo diretto da Chiara Nielsen è giunto alla 17^ edizione. La rassegna si è svolta come sempre nella splendida provincia emiliana patrimonio dell’Unesco per meriti storici e naturalistici nei giorni dal 29 settembre al 1 ottobre.

l'apertura dei cancelli del festival Internazionale

All’interno del fitto programma di incontri e di appuntamenti, tutti a ingresso gratuito escluse le proiezioni di Mondovisioni, con due giorni a disposizione si cercano tra i profumi dei canali padani rotte di navigazione per centri di interesse, e per la sottoscritta e Bassanonet le tappe sono state le seguenti: l’Amazzonia, un tour nelle patrie europee, l’Ucraina, il mondo di Philip Roth, quello di Vinicio Capossela, i campi base dei Medici Senza Frontiere e gli Stati Uniti funestati dalle overdose da Fentanyl.
Il racconto dell’attualità dell’Amazzonia e dei suoi nativi fatto da chi ci vive e si impegna anche a costo della vita a fare divulgazione, è disarmante. Elaize Farias, cofondatrice di Amazônia Real, un’agenzia di giornalismo indipendente che opera nella zona brasiliana dell’Amazzonia ha illustrato le crisi, per molti aspetti con effetti irreversibili, causate delle dinamiche violente dello sfruttamento economico che sta soffrendo la foresta amazzonica con la sua popolazione. Le rotte costrette sui binari dell’informazione istituzionale raccontano che per questa regione ciclopica (si estende su una superficie di 6,5 milioni di km² — l’Europa intera ne fa circa 10 milioni), una parte del pianeta fondamentale per gli equilibri climatici e in termini di biodiversità, l’attuale governo stia facendo miracoli, ma la realtà narrata dai testimoni parla un’altra lingua, a cui dare voce è un lavoro non indolore.
Il settecentesco Teatro Comunale più tardi ha ospitato l’appuntamento che ha avuto come protagonista Timothy Garton Ash, storico della contemporaneità britannico autore di Patrie, saggio edito da Garzanti. Intervistato da Cecilia Sala, Garton Ash ha parlato dell’attualità europea e si è soffermato sulle realtà che minano dall’interno l’assetto democratico del Vecchio Continente, a partire dall’Ungheria di Orbán fino ad arrivare agli scenari che si stanno rafforzando in Polonia. Le cortine di ferro si spostano e affiorano generando fronti nuovi, e nuovi disequilibri. A una domanda spinosa ma d’obbligo arrivata dal pubblico sulla Brexit — in più occasioni, da convinto umanista, l’ha fermamente e tristemente condannata — lo storico ha risposto con un’altra domanda: vogliamo parlare della politica italiana? Tant’è: uno pari.
Dell’Ucraina, all’interno della sezione “30 parole”, contenitore per temi, eventi, luoghi che hanno segnato la Storia di questi trent’anni, ha parlato con compostezza la scrittrice Kateryna Mishchenko, sottolineando come la sua patria, dopo l’invasione russa e il conflitto annoso che ha avuto inizio nel 2014, stia diventando un laboratorio e uno spazio di innovazione a cui tanti guardano con interesse, non solo dal punto di vista militare.
Nel preserale, al Circolo Arci, Leonardo Merlini ha condotto in un breve e intenso viaggio da Freccia rossa di stampo letterario-musicale — di quelli in cui la narrazione si intreccia alle vite, dei lettori e di chi racconta — nel mondo creato ad arte da Philip Roth. Lo scrittore statunitense, ebreo, premio Pulitzer nel 1997, morto nel 2008, è stato autore di libri indimenticabili e scandalosi come Lamento di Portnoy, Pastorale americana, La macchia umana e diversi altri citati da Merlini, ed è stato ricordato con i personaggi a cui ha dato vita con un’ammirazione e un affetto disperato, ribadito all’ultimo dalla celebre canzone di Nada e da una lettera grata.
La musica e la narrazione sono tornate protagoniste la sera all’appuntamento all’ex Teatro Verdi, dove l’artista profondo ed eclettico Vinicio Capossela — che non merita proprio una presentazione così riduttiva — con Giovanni Ansaldo, ha presentato il libro Come li pacci, che contiene un racconto a più voci di dieci anni di “Sponz Fest” (Baldini&Castoldi Editore). Capossela è mente creativa di questo festival molto anarchico collocato nell’alta Irpinia, una festa cresciuta e allargata nel tempo che è diventata rito dove si toccano numerosi temi legati alla terra, ai sotterranei, allo sviluppo, all’acqua, alle aree interne, alla selvatichezza, cercando di indagare gli aspetti mitici e rituali propri delle comunità tradizionali e moderne attraverso incontri con esperti, studiosi e artisti.
Chi conosce l’Internazionale sa che i nomi importanti dell’informazione che meritano un plauso per il loro lavoro di approfondimento, in alternanza, sono spesso presenti al Festival, e che gli ospiti invitati non fanno parte del parterre da richiamo tanto in voga in altre rassegne.
Per chi scrive il vero VIP incontrato e ascoltato con ammirazione è stato un signore alto in camicia hawaiana, Michiel Hoffman, un Medico senza frontiere che in un incontro intitolato “Accesso” ha conversato con il ravennate Lorenzo Tugnoli, fotoreporter premiato con il Pulitzer nel 2019 per i suoi reportage sullo Yemen, e il politologo Francesco Strazzari. Il problema dell’accesso dei mezzi di informazione e soprattutto delle organizzazioni umanitarie ai luoghi critici del pianeta (ora dall’Afghanistan alla Siria, dalla Somalia ai territori occupati dai Russi dell’Ucraina) è sempre un nodo cruciale ma se possibile si è acuito nell’attualità. Frontiere e confini diventati invalicabili governano anche il mare, dove di continuo si compiono tragedie prevedibili — MSF ha allestito nella piazza della Cattedrale una toccante mostra narrativo-fotografica dal titolo “Voci dal mare”.
Gli operatori dell’informazione e sanitari sono a continuo contatto con le insidie delle verità nascoste o contrabbandate dalla propaganda e con i pericoli anche di incolumità che si corrono nelle zone dove a governare è la violenza, sotto ogni forma. Hoffman ha spiegato che in Afghanistan attualmente la presenza di MSF è stata messa a rischio perché un decreto di fatto impedisce alle donne di lavorare (infermiere, medici donna non possono svolgere le loro attività e portare aiuto) e nel contempo viene proibito alle donne afgane di rivolgersi a chi le potrebbe guarire. In Ucraina non viene consentito dai Russi a MSF di operare nei territori occupati; in Turchia fornire soccorsi dopo il terremoto devastante dello scorso febbraio è stato molto difficile. Il dramma che sta vivendo-rivivendo l’Armenia ha riportato a galla i meccanismi perversi e il cono d’ombra in cui prospera la disumanizzazione — accade quando il “nemico” viene mascherato da terrorista. È stato ricordato che occorre un dibattito pubblico a cura delle istituzioni europee per prendere in esame come sta cambiando la guerra guardando al caso dell’Ucraina — si parla oggi di militarizzare lo spazio, attribuendo un ruolo attivo ai satelliti — ma sembra che nel Parlamento di casa nostra siano in ben altre faccende affaccendati.
Un’altra piaga sociale dilaga in particolare negli Stati Uniti, ed è quella delle morti per overdose da Fentanyl, un oppiaceo sintetico cinquanta volte più potente dell’eroina il cui consumo prospera anche grazie alla facile reperibilità in canali come il dark web e l’alto profitto dovuto ai costi bassissimi di produzione. Ne ha parlato il giornalista Keegan Hamilton, autore del podcast Painkiller: America's Fentanyl Crisis, sottolineando i disastri che causa il modello del sistema sanitario del suo Paese e anche il fallimento della risposta autoritaria e punitiva messa in atto contro chi sviluppa questa dipendenza. L’America dall’occidente traccia la strada, si sa: “Arriva il Fentanyl, suoniamo la sveglia”, titolavano alcuni articoli sui quotidiani italiani quest’estate. Si vedranno presto anche nel nostro Paese gli effetti della cosiddetta quarta ondata della crisi degli oppiacei.
In totale il festival ha offerto 180 ore di programmazione, 170 ospiti provenienti da 25 paesi diversi, 115 incontri e 12 workshop, come dire che questa breve carrellata tocca solo una piccola parte, un carotaggio della proposta allestita per il pubblico, che ha risposto anche in questa edizione numeroso, partecipe e attento. È d’obbligo sottolineare che un centinaio di persone, tra staff di produzione, responsabili di spazio, segreterie, studenti delle scuole, si sono impegnate senza sosta durante i tre giorni della manifestazione, che dà appuntamento al 4 ottobre del 2024.
Una nota di colore: tutta la città, coi suoi bei locali vivi ha riflettuto come sempre a pieno e con generosa abbondanza il carattere dell’ospitalità e cordialità emiliane. Merita però un pessimo giudizio il locale del centro (uno) dalla cucina e l’appeal legati alla tradizione, che però ha negato un tavolo a una donna che si presentava all’ingresso da sola: all’Internazionale di Ferrara, per la prospettiva anche non veritiera di perdere una quarantina di euro, proprio non si fa.

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