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Rinascimento in bianco e nero

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Rinascimento in bianco e nero

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Libri

Modalità lettura 2 - n.2

Per la nostra rubrica dedicata ai libri, una recensione di Fiesta, romanzo di Ernest Hemingway, a cura di Marco Cavalli

Pubblicato il 07-02-2021
Visto 1.412 volte

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Rinascimento in bianco e nero

Riaprono i musei, tra quelli locali anche il Museo Hemingway e della Grande Guerra di villa Ca’Erizzo, e in sincrono, beneaugurante, arriva in redazione un’interessante recensione di uno tra i romanzi più famosi dello scrittore, Fiesta, a cura di Marco Cavalli.
Il critico letterario vicentino ha condotto online da ottobre ai primi di febbraio un corso di scrittura organizzato dall’associazione culturale La Fucina Letteraria in collaborazione col Museo. Il corso, intitolato “Scritto alla Hemingway”, è stato presentato in Cappella Mares ed è stato dedicato al racconto breve.
La redazione ringrazia del gentile contributo per la nostra rubrica “Modalità Lettura”.


Fiesta, di Ernest Hemingway, traduzione di Giuseppe Trevisani, pagine 296, Oscar Mondadori 1980.
Parigi ombelico del mondo resta un mito intensamente europeo fino al 1914. Dopo la Grande Guerra, la grandeur si sgonfierebbe se non arrivassero gli americani. Sono loro a mantenere la leggenda di Parigi al di sopra della linea di galleggiamento. Ma questa Parigi, indaffarata a recitare se stessa per assicurarsi l’adulazione, la Parigi del romanzo Fiesta (1926), è una città stanca di farsi piacere la propria sottomissione a colonie di turisti che la percorrono con l’espressione beante di chi si aggira in uno zoo di quelli con le bestie in libertà.
Jakob Barnes, protagonista e voce narrante del romanzo, è uno di quegli americani che affollano i boulevard e stazionano nei bistrot guardandosi intorno in attesa che li colga l’estasi di essere nel luogo “che conta”, pronti a strabiliare davanti al minimo episodio e personaggio purché “tipici”. Un amico e collega di Barnes paragona Parigi a Vienna, altra ex capitale invecchiata male e franata nell’artificiosità delle location cinematografiche.
Giornalista con velleità di scrittore, Barnes trascina una relazione con Brett Ashley, una mangiatrice d’uomini frigida e piagnucolosa. Umiliata di non riuscire ad aver ragione della ferita di guerra che ha reso impotente Barnes, Brett si vendica presentandogli amanti facoltosi (un conte) e prestanti (un torero) e obbligandolo a confronti dai quali Barnes esce ammaccato ma confermato nella sua egemonia, cosciente di essere lui a tenere le redini.
Nei romanzi che hanno per tema l’impotenza è naturale scrivere pane perché si intenda focaccia. In Fiesta l’impotenza erotica fa da paravento alla menomazione che più ferisce Barnes e che più si accanirà sul suo autore: la sterilità creativa, il blocco dello scrittore. L’aver posto molto in alto la letteratura e l’incapacità di scriverla costringono Barnes a una vita inappagata, fatta di proroghe e di succedanei. Il volontarismo del suo sogno di scrivere non fa che accentuare la sensazione di irrealtà della vita che scorre ai margini di quel sogno.
Tra le conseguenze di questa duplice impotenza, la più noiosa è la bulimia. In Fiesta si mangia e si beve profusamente per pagine e pagine, profanando ogni religione del cibo e ogni filosofia dell’alcool. In pieni anni Venti, Barnes e i suoi compatrioti inaugurano la pratica dell’happy hour che i nostri tempi hanno reso consuetudinaria e unisex: il sollievo di starsene in tre o in quattro stravaccati sulle sedie di un bar, senza pensare a niente, ognuno con il suo bicchiere bello pieno; berlo con lentezza, scambiarsi cenni d’intesa, in un mutismo solidale, letargico. Lasciare che le ore scivolino via, non pronunciare neppure un sì o un no: relax completo, un po’ ovino e un po’ zen. Qualche luce d’autobus che passa nelle pupille spalancate sul nulla, il bagliore rossastro di una brace di sigaretta, la sirena di un bateau-mouche che echeggia in lontananza, ammonitrice come un memento mori: gli ingredienti della prosa di Hemingway sono già tutti presenti ma non compongono ancora una ricetta.
Quando scrive Fiesta Hemingway non è padrone della sua tecnica, sta solo incominciando a fabbricarsene una. Non ha ancora imparato a calcolare l’effetto che faranno i suoi dialoghi una volta schematizzati e adoperati con sistematicità. Studia per diventare come la sua Parigi: tipico. Ce la farà.

Per inviare le vostre recensioni l'indirizzo è il seguente: laura@bassanonet.it; i testi saranno vagliati a cura della Redazione e pubblicati nel canale “Cultura” con in chiaro il nome dell’autore.

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