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L'amore è on air

Chiusura coi fuochi d’artificio ieri sera, per B. Motion Teatro, con Roberto Latini nel Cantico dei Cantici

Pubblicato il 02-09-2018
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Elena Pavan

Chiusura coi fuochi d’artificio ieri sera, sabato primo settembre, di B. Motion Teatro. Sul palco del Teatro Remondini Roberto Latini ha portato in scena il suo Cantico dei Cantici, una produzione di Fortebraccio Teatro, spettacolo per il quale nel 2017 ha ottenuto il premio Ubu come migliore attore e interprete.
«Vi prego, non svegliate il mio amore che dorme», è la preghiera vera, inascoltata, che esce dal testo per librarsi in questo caso on air, perché il rischio è quello di svegliare un dio folle che ci imporrà la dedizione più assoluta, fino al martirio.
Mondato da significati legati al credo cristiano, o a quello ebraico, i poemi in cui è suddiviso a tratti invertiti e giustapposti rispettando però l’andamento originale, antico e poetico — a tratti ritmato da nenie di culla a tratti da ansiti da giaciglio nunziale — il Cantico sublime ha ripreso vita nella danza voce e corpo di Latini in una forma legata ai nostri tempi senza tradire l’intensità del testo originale, la magia di questa poesia d’amore sopravvissuta ai millenni, nata nella notte dei tempi, immortale.

Roberto Latini sul palco del Teatro Remondini per Operaestate

Il dj-speaker presente in scena interpretato da Latini ricorda Robert Smith, dei Cure; prima di animarsi per lo spettacolo stava sdraiato su una panchina, come un barbone, poi si è recato con l’andazzo del tossico a una postazione radio corredata oltre che di microfoni e cuffie di una testa di donna imparruccata di verde con un fiore in bocca (un giglio) e di un telefono nero e muto che resterà muto fino alla conclusione dello spettacolo perché, ahimé, il filo dell’amore è spezzato, «peccato!».
Si apre col sottofondo di “Every you and every me”, dei Placebo, la trasmissione attraversata on air dai meravigliosi versi del Cantico declamati dal conduttore, a volte pronunciati con la voce del tossico, a rimarcare l’alto grado di pericolosità delle tossine sprigionate dall’amore, a volte fatti risuonare chissà dove, tra bocca e cuore, con un’intensità e una maestria da brividi.
“Mio diletto”, “mia diletta”, non è importante chi sia a parlare, non ci sono ruoli né interpreti principali in questa grande storia di passione generatrice di tante figlie tutte uguali: è la musica delle parole, è il canto, ad ammaliare la platea, e lo sguardo di Latini può abbracciare file di poltrone numerate all’infinito, gli spettatori sprofondati nei millenni.
Le parole: quelle, proprio quelle, anche se l’amante parla di caprette, denti di pecora tosata, covoni di grano, zafferano e spicchi di melagrana e vino e vigne, immagini un po’ lontane, ma tante altre parole qualsiasi, anche pronunciate in lingue sconosciute, andrebbero ugualmente bene, tutto è riconoscibile: è un giro sulla giostra dell’amore.
Il grand tour è sempre quello, e non fa sconti quando passione e tenerezza si trasformano in sigilli impressi sulle carni e in vampe infernali, questi ultimi diventati danza sfrenata da rave sul palco e declamazione in stile rapper.
Le citazioni letterario-teatrali, cinematografiche e musicali (i suoni sono stati curati da Gianluca Misiti, luci e tecnica da Max Mugnai) pescate in ambiti anche molto distanti (si va da Jean Cocteau, a Sergio Leone, a Raffaella Carrà-Bob Sinclar) sono chiamate all’appello ad arricchire e a tradurre in altri linguaggi la drammaturgia creata da Latini/Fortebraccio, come anche qualche tono di comico che si inframmezza con destrezza nell’andamento tragico: lo spettacolo commuove, come sempre dovrebbe fare il teatro, ma per un attimo è più forte il sorriso, quando la creatura umana sul palco, ormai nuda di mascheramenti, pronuncia le parole: «Che peccato!», a suggellare un finale dove lì e altrove si riattacca per sempre il telefono.
Applausi scroscianti dal pubblico di B. Motion.

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