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Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
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Teatro

Un’altra Medea

In scena ieri sera, al teatro Remondini, lo spettacolo curato da Giuliana Musso ispirato alla reinterpretazione del mito di Medea di Christa Wolf

Pubblicato il 13-07-2014
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Elena Pavan

Andato in scena, per il maltempo, al teatro Remondini, “Medea. La città ha fondamenta sopra un misfatto”, la pièce ispirata al romanzo della scrittrice polacco-tedesca Christa Wolf Medea. Voci (edito tradotto in Italia nel 1996) curata da Giuliana Musso, è un testo che rivisita radicalmente la figura della celebre protagonista della tragedia di Euripide e che parla di una donna sapiente e autorevole, figlia di una cultura gilanica che conteneva la complessità del vivente, la parità tra i generi, portatrice di un’idea di potere come responsabilità anziché come dominio androcratico e patriarcale.
Se la Medea di Euripide è una donna sapiente e scaltra, misteriosa e selvaggia, che, resa folle dalla gelosia, non esita a uccidere per vendetta i propri figli, la Medea della Wolf è soprattutto “l’altra”, la straniera, l’elemento straniante che mette in luce la parte oscura di una società schiacciata da tensioni e dai meccanismi devianti del potere; è la donna manipolata da un governo che utilizza la menzogna come propaganda e che troverà nella sua figura il perfetto capro espiatorio sul quale scaricare le colpe passate e l’angoscia del futuro. Qui è la città stessa, non la madre, a macchiarsi del delitto dell’uccisione dei figli. «Cosa vanno dicendo. Che io, Medea, avrei ammazzato i miei figli. Che mi sarei voluta vendicare dell’infedele Giasone. Chi potrebbe mai crederci…?» si chiede disperata la donna della Colchide, la donna dell’est, nel testo della Wolf, come la sua interprete dallo sfondo nero del palcoscenico. Le voci di attori e di musicisti (sul palco: Nunzia Antonino, Alessandra Asuni, Marta Cuscunà, Oscar De Summa, Andrea Macaluso, Gianluigi Meggiorin, Giuliana Musso, Aida Talliente, Francesco Villano) sistemati seduti a semicerchio – il pubblico silenzioso a completare l’emiciclo – incalzano per tutta la durata dello spettacolo contrappuntate da musiche e canti arcaici mediterranei; la narrazione assume la valenza di testimonianza e di denuncia soprattutto di un conflitto irrisolvibile tra due mondi lontani e inconciliabili: la polifonia compone a mosaico una difesa ineccepibile a favore dell’imputata che la “civilissima” Corinto, e il mito, hanno già condannato. Il delitto della Medea della Wolf è la scoperta dell’uccisione della principessa Ifinoe, primogenita di Creonte e Merope, nessun infanticidio da parte sua, assieme al rifiuto di un “dunque” che chi detiene il potere pronuncia con troppa facilità, anche ai giorni nostri: “Tutto dipende da che cosa si vuole davvero e da che cosa si considera utile, dunque buono e giusto”, dice Acamante.
È la voce di quest’uomo – astronomo di Corinto e consigliere del re Creonte – a descrivere una sorta di momento fondativo del potere e della violenza gestita dalla città. Il passaggio dal mondo primitivo (alla cui profondità ancestrale appartiene Medea) a un sistema socio-politico governante, implica l'imporsi di un'organizzazione, di una mentalità pragmatica, che preludono alla progressiva perdita di valore della vita e dell'esperienza del singolo a favore dell'efficacia del sistema; la “ragione di stato” legittima l’uso della forza come principio di giustizia, autorizza il misfatto.

Nella foto, un momento dello studio su “Medea. La città ha fondamenta sopra un misfatto”

La serata-evento, coprodotta da Operaestate Festival, la prima dedicata al teatro ospitata in città in questa 34^ edizione della rassegna, ha proposto una rappresentazione appassionata, interessante, dell’ennesimo tentativo di dialogo dell’uomo del presente col mondo antico. Caldi applausi.

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