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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Primo piano

Mostre

Le recite mute di Breggion

È visitabile fino al 9 marzo, a Palazzo Agostinelli, la retrospettiva dell’artista che tanto amava il Bassanese e i suoi paesaggi

Pubblicato il 17-02-2014
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Brassaï. L’occhio di Parigi

Ospitata a Palazzo Agostinelli, è visitabile fino a domenica 9 marzo la mostra “Il mio realismo. Bruno Breggion. Retrospettiva”.
L’iniziativa prosegue l’azione di recupero e di approfondimento dell’arte veneta e locale collocata fra Ottocento e Novecento promossa dall’Assessorato alla Cultura e alle Attività Museali.
La retrospettiva dedicata all’artista bassanese scomparso nel febbraio 2010 (Breggion era nato a Bovolenta, quindi bassanese d’adozione, o meglio, d’elezione), offre in esposizione oltre un centinaio di opere in massima parte inedite prodotte da Breggion in cinquant’anni di attività: dipinti, disegni, acquerelli e ceramiche.

Uno scorcio alla retrospettiva ospitata a Palazzo Agostinelli

Quelle collocate in esposizione, assieme a molte altre, sono state rintracciate dalla curatrice, Flavia Casagranda, attraverso un lavoro di ricerca certosino e appassionante svolto tra le collezioni private di tante famiglie del territorio. Bruno Breggion è stato uno dei protagonisti dell’arte a Bassano dagli anni ’50, faceva parte del Cab (Circolo Artisti Bassanesi, gruppo che aveva come punto di ritrovo il Pick Bar di Piazzotto Montevecchio – lì possiamo ammirare la sua opera “La ragazza del bar”), frequentava in amicizia tanti artisti, tra questi Vito Pavan, Ennio Verenini, Sergio Schirato, Romano Carotti; il suo nome è una presenza costante in tante attività che testimoniano un passato di grande progettualità nel mondo artistico locale e in particolare, da parte sua, un legame con le tradizioni mai disatteso. Suoi e sempre sotto gli occhi di tutti, pubblici, sono ad esempio il pannello a formelle di maiolica “L’arte del vasaio”, alle Ceramiche Razzotti, opere dedicate alla festa dell’uva che si celebra a Sant’Eusebio, ceramiche e decorazioni realizzate per l’osteria Ca’ Brando, l’affresco che rievoca la storia di Cartigliano situato nella barchessa di Villa Morosini-Cappello, il manifesto “Nasone” realizzato nel ’54 per il Carnevale cittadino.
Come testimonia il regesto inserito nel catalogo della mostra, Breggion è stato attivo – ed è un aspetto che incuriosisce, viste le sue opere – quasi esclusivamente nel Bassanese. Le ragioni sono diverse, e hanno più a che fare con motivi di carattere personale, economico, con il clima dell’epoca, con il dibattito tormentato con gli astrattisti che con meriti o demeriti artistici, come ben testimonia l’esposizione.
La mostra curata da Casagranda ricostruisce per fasi il percorso dell’intera produzione creativa di Breggion e nell’allestimento mette in evidenza i vari momenti della sua maturazione tecnica e concettuale: nell’atrio che accoglie i visitatori sono appositamente accostati prodotti emblematici di vari passaggi ed epoche a delineare l’evoluzione della sua opera: la prima sala accoglie gli acquerelli espressivi, estemporanei, quasi tutti dedicati a Privà, stesi come il bucato, a rievocare l’atmosfera di un’esposizione realizzata così all’Osteria di Privà; nel corridoio sono presenti alcuni studi e fotografie dei suoi lavori di ceramista e decoratore; salite le scale si incontrano due ampi cartoni preparatori per affreschi raffiguranti San Francesco e Santa Caterina che furono progettati e realizzati nel 1984 con Vito Pavan per la cappella italiana di Dachau (le opere, danneggiate dalle intemperie e forse da una colpevole trascuratezza, appaiono ora in una fotografia restaurate e in parte rifatte da un artista locale); nello spazio seguente sono riuniti i dipinti del periodo parigino (Breggion fu a Parigi ospite di Natalino Andolfatto, e poi con Ennio Verenini, lì tra gli altri ebbe modo di conoscere Utrillo). Nel salone e nell’ultima sala sono accolti ceramiche e dipinti a olio che testimoniano l’apice dell’esplorazione di Breggion delle proprie potenzialità tecniche e artistiche, la sua passione per lo studio della luce e delle ombre e l’approdo alla rarefazione.
Il paesaggio, sempre antropizzato, è un soggetto costante lungo l’intero arco della vita artistica di Breggion. Negli acquerelli e nei dipinti sono riconoscibili il Monte Grappa, la Pedemontana, fiumi e colline locali, ma il “suo realismo”, in tanti olii, non è declinabile in una semplice, capace, raffigurazione: gli echi della pittura dei Maestri del Novecento e la presenza costante di quei toni di verde misurati, molto particolari, che spostano ogni cosa più in là rispetto al piano naturale, non offuscano ma esaltano il linguaggio interpretativo e rappresentativo personale espresso da Breggion. Porte, finestre, il grande cespuglio sono i suoi topoi; ovunque c’è un senso d’attesa, un’immobilità che semplificando definiremmo “alla Hopper” declinata però attraverso gli oggetti: “ciò che rimane”, “le recite mute”, e poi le lune o le nuvole appese, una siepe-sipario, due fornaci… L’assenza della figura umana non è mai inquietante nelle opere di Breggion, è mitigata dalla presenza calda dei manufatti. In alcune opere della maturità emerge con forza “la magia delle cose ferme, incantate, senza tempo”, la stessa magia che incantò lui, l’artista da giovane, davanti a “Il pino sul mare” di Carrà.
L’orario di apertura della mostra, a ingresso libero: venerdì 15-19; sabato, domenica e festivi 10.30-13/15-19.

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