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Stefania ZilioStefania Zilio
Giornalista
Bassanonet.it

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Ci vuole Costanza

Intervista alla scrittrice Alessia Gazzola, autrice del romanzo “La Costanza è un’eccezione”, protagonista di un incontro con il pubblico all’Auditorium Vivaldi di San Giuseppe

Pubblicato il 22-05-2023
Visto 3.876 volte

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La cultura aiuta a diventare cittadini migliori. Con questo spirito la Fondazione Aida ha organizzato l’incontro con la scrittrice Alessia Gazzola presso l’Auditorium Vivaldi di San Giuseppe di Cassola.
Ho intervistato Alessia prima di lasciarla entrare a teatro per incontrare le sue fan.
A moderare l’incontro è stata Federica Augusta Rossi che ha tentato più volte di arginare la troppa generosità di Alessia nel raccontare, per non spoilerare troppo il romanzo.

Alessia Gazzola, autrice del romanzo “La Costanza è un’eccezione”

L’esordio come scrittrice risale al 2011 con la pubblicazione dell’“Allieva” da cui la Rai ha tratto la serie televisiva omonima di grande successo.
“La Costanza è un’eccezione” è un romanzo ambientato a Venezia alla fine del Seicento.
Costanza Macallè fa la paleopatologa, un mestiere noto come l’assaggiatore di acque: pochissimi sanno che esiste. Prima di parlare del libro, mi sono concentrata su di lei, ho voluto conoscerla come persona e poi come scrittrice.
Ecco cosa ci siamo raccontate.

Mi piacerebbe immaginarla mentre scrive, riesce a raccontarmi la scena?
Scrivo nella mia stanzetta, che è uno studio ricavato a casa mia, una stanza tutta per me per citare riferimenti ben più illustri. È il mio mondo, dove ho appesi i miei quadri, poster, vecchie macchine da scrivere. Libri altrui a cui sono più legata.

Una grande scrittrice è anche una grande lettrice. C’è un genere a cui è appassionata, uno scrittore che predilige rispetto ad altri?
Faccio fatica a rispondere perché sono un’onnivora. Non ho un genere che preferisco, mi lascio molto sorprendere. Ogni momento di lettura propone un’esigenza e una necessità diversa. Per cui in base al bisogno del momento io rispondo. A volte necessito di leggerezza e vanno benissimo le commedie romantiche. Altre volte ho bisogno di essere incalzata e scelgo il giallo e altre ancora ci vuole della narrativa che non è neppure incasellabile in un genere ben preciso. Mi abbandono alle esigenze del momento e mi lascio sorprendere.

Mi chiedevo se le è mai venuto il blocco dello scrittore.
Di tanto in tanto mi capita. Sono piena di idee e lo dimostra il fatto che esco ogni anno con un romanzo. Il blocco, quindi, arriva. E non nel cominciare. A me arriva a un certo punto della trama.

Mi hanno detto che gli scrittori si dividono in due tipi: ingegneri e giardinieri.
Io sono una giardiniera che ogni giorno annaffia la piantina. Per cui quando mi arriva il blocco, mi fermo.

Come lo supera il momento?
Innanzitutto, sento il bisogno di rileggere tutto quello che ho scritto. Di solito il blocco accade quando sono in uno stato avanzatissimo del racconto. Poi mi affido alle mie “beta lettrici” come le chiamo io, che mi aiutano nel trovare cosa non va nel racconto, che poi è il motivo per cui mi blocco. Risolvo tutto e riparto.

Lei era medico legale fino a poco tempo fa. Mi chiedo come possa conciliarsi la rigidità di una professione come questa con la creatività di uno scrittore.
La stupirò dicendole che il medico legale è divertente e spassoso. Lo posso dire perché l’ho vissuto in tutti gli ambiti per cui ho lavorato. Ho fatto il medico legale a Messina, a Palermo e a Verona. Ho sempre percepito un clima divertito e leggero. Proprio perché hanno a che fare con la morte, a parere mio, sono quelli che si godono di più la vita. Il punto di contatto con la creatività è la scrittura. Il medico legale scrive tantissimo. Si spiega al magistrato e ai professionisti giuridici fatti di natura medica; quindi, le perizie sono lunghissime e mi divertivo tantissimo a scriverle. Ricostruiamo storie e credo per me fosse l’unica scelta possibile.

Come è stato creare un’altra immagine femminile diversa da Alice, la protagonista della serie dell’Allieva?
Ho lavorato tanto su un’identità diversa. La paura di ripetermi era molta. Costanza è una madre single con molto carattere e un pizzico di incoscienza che la porta a buttarsi senza timore nelle più avvincenti avventure. Questa caratterista manca molto ad Alice che invece è un’eterna indecisa.

L’ambientazione è fondamentale quando si vuole scrivere un romanzo. Le macro-storie consentono di tracciare le microstorie. Il terzo romanzo di Costanza è ambientato a Venezia nel 600, perché questa scelta?
Mentre stavo facendo delle ricerche sul dominio spagnolo in Italia, in particolare a Venezia, mi sono imbattuta in un articolo di una storica olandese. Lei raccontava i processi di aggregazione di famiglie fiamminghe all’interno del patriziato veneziano nel Seicento. La storica si riferiva a una famiglia di Anversa il cui padre, noto commerciante, aveva due figlie da maritare. Una sera a teatro, una di loro cadde dal balconcino morendo. In questo articolo racconta l’ossessione del padre di perdere il nome e le sue ingenti proprietà. Così fece sposare l’unica figlia rimasta con il garzone di bottega, mezzo orfano, con l’obbligo di prendere il nome di famiglia e di entrare nel patriziato veneziano. Ho pensato di aver trovato la mia storia. Ho cambiato i nomi, ho dato loro la nazionalità spagnola, anche per non buttare via le ricerche che avevo iniziato.

Un elemento sconvolgente nel libro è il vampiro. Cosa c ‘entra il vampirismo con Venezia?
L’idea è nata da una cosa ben precisa. Stavo seguendo una serie tv A Discovery of Witches e a un certo punto c’era un’enclave di creature che si riunivano a Venezia. Erano streghe, vampiri e demoni che vivono mischiati tra gli umani senza palesare la loro vera natura. Ad un certo punto mi sono detta ma come ci sta bene il vampiro a Venezia. Costanza non è un romanzo fantasy lei è una paleopatologa che cerca di fare un’indagine sotto l’aspetto medico. La leggenda del vampiro, affibbiata a questa famiglia che veniva respinta dall’assetto sociopolitico veneziano, racconta una storia di emarginazione. Le leggende sui mostri sottintendono una sorta di rifiuto. Questa famiglia straniera vuole a tutti i costi entrare a far parte della nobiltà veneziana. Il sospetto di vampirismo ci stava benissimo.

Per scrivere il romanzo ha dovuto fare tante ricerche. Ci vuole raccontare quella che la più entusiasmata?
Senza dubbio le consultazioni negli archivi di Stato a Venezia. Quando ho consultato dei professori di storia veneziana, anche stranieri, uno di loro mi disse che dovevo consultare i necrologi veneziani per trovare la causa della morte di quella ragazza avvenuta nel 1678 per caduta dal balcone di uno dei più bei teatri a Venezia. Sono dei veri e propri volumi in cui venivano trascritti, a uno a uno, i casi di morte a Venezia. Perché nell’ottica di una sanità pubblica, terrorizzati dalla peste, la finalità era rintracciare le morti sospette. L’emozione è stata pazzesca.

Come venivano trascritti i motivi della morte?
C’era una sorta di indice al lato del nome e cognome. Una legenda fatta con un disegnino sulla causa della morte. Le persone decedute per mano delle armi bianche al lato avevano il simbolo del pugnale. Quelle per annegamento delle onde, mentre per le morti strane una croce copta. Per le morti per precipitazione, i magistrati disegnavano un muretto con una persona che cade giù. Ma di questa ragazza non ho trovato traccia. Credo che sia nella parte di archivio andata per sempre perduta a causa di un’alluvione avvenuta nel ‘600. Un vero peccato.

Non ci resta che leggere il suo romanzo e scoprire le avventure di Costanza tra le calli della bellissima Venezia del ‘600.

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