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Attualità

Nine Eleven

Ognuno di noi ha il suo 11 settembre. Un bivio della Storia da cui non possiamo scappare

Pubblicato il 11-09-2011
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Elena Pavan

Ognuno di noi ha il suo 11 settembre. E ricorda esattamente cosa stava facendo, dieci anni fa, quando giunse la notizia del primo aereo schiantatosi sulla Torre Nord del World Trade Center a New York e poco dopo la notizia - assolutamente più inquietante - del secondo aereo abbattutosi sulla Torre Sud. Poi i ricordi si annebbiano, annichiliti dal senso di sgomento alimentato dalla conferma degli ulteriori due aerei coinvolti nell'attacco e dal rito planetario che ci ha visti incollati alla televisione per assistere in diretta all'intera tragedia.
Da noi in Italia era il primo pomeriggio di un martedì qualsiasi. L'anno scolastico era appena cominciato e i bambini che andavano alle elementari, oggi adolescenti, hanno un ricordo fortemente condiviso: l'interruzione della “Melevisione”, il programma televisivo per ragazzi guardato da tutti dopo la scuola, per dare la linea alle edizioni straordinarie con le prime immagini delle Torri Gemelle in fiamme.
Quello è un ricordo generazionale: un marchio indelebile per i giovani nati a cavallo del nuovo Millennio, che non hanno la percezione di cos'era il mondo “prima” e hanno solo l'esperienza del mondo che è diventato “dopo”.

Per tutti gli altri, e cioè gli adulti, c'è invece un prima e un dopo. Un bivio della Storia da cui non possiamo scappare. C'erano già stati i tempi della paura, come - per quanto concerne la nostra esperienza - gli anni di piombo del terrorismo e della strategia della tensione. Ma in quel caso era una paura localizzata, circoscritta al momento storico, politico e sociale di un Paese come l'Italia.
Dopo l'11 settembre 2001 non è stato più così. La paura è diventata un sentimento globale, senza logica e senza confini, e ci ha trasformato in animali irrazionali.
Dalle ceneri di quella tragedia sono partite nuove guerre. Ed è scattato, nell'inconscio di milioni di persone, un meccanismo perverso di autodifesa pronto a guardare con sospetto e ostilità qualsiasi barba lunga, qualsiasi burqa o qualsiasi caffetano, elementi distintivi di un potenziale, e onnipresente kamikaze.
Nel 2003, in volo per l'Australia coi figuranti della Partita a Scacchi di Marostica - su un aereo della compagnia Emirates che faceva scalo a Dubai - sul sedile accanto al mio c'era un musulmano che all'improvviso si è messo a pregare inchinandosi più volte in direzione della Mecca, facendo scattare in me un progressivo senso di panico.
Poi mi ha rivolto la parola, e abbiamo cominciato a chiacchierare. Mi ha spiegato che era un operaio pakistano che lavorava nel milanese e che tornava a casa per le ferie. Stava semplicemente pregando, all'ora prefissata, perché era il periodo del Ramadan.
Un piccolo episodio, ma che la dice lunga sul sentimento di sconcerto e di irragionevolezza che il crollo di quei due giganti di acciaio ha instillato, probabilmente per sempre, nei nostri animi.
Da quell'11 settembre sono trascorsi dieci anni, ma in realtà sembra ieri.
Molte cose, nel frattempo, sono cambiate e Bin Laden, a quanto ci è stato detto, sarebbe stato ucciso e frettolosamente sepolto in mare. Come sepolte, sotto le macerie di Ground Zero, sono ancora le risposte ai tanti dubbi emersi negli anni sull'origine e la dinamica di quell'immane disastro, coperte dal segreto di Stato dell'Amministrazione americana.
Ognuno, a quanto pare, ha la sua Ustica. Muri di gomma che la Storia di oggi non riesce a perforare. Dubbi e domande che riguardano la causa, ma non certamente l'effetto: la nascita di un nuovo mondo che gioca a scacchi con le incertezze e le insicurezze della nostra vita quotidiana. E' per questo che quella catastrofe appartiene a tutti noi, e non riusciamo a rimuoverla dalla nostra coscienza.
Su quelle Torri, dieci anni prima di Nine Eleven, io c'ero stato. Dieci anni dopo, io sono ancora lì.

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