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Rinascimento in bianco e nero

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Rinascimento in bianco e nero

Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it

Attualità

I Want To Be Freak

A Bassano la mostra di Freak of Nature, l’artista che nel 2021 ha tracciato i “bambù” sulle vetrine dei negozi sfitti della città. “Non sono solo quella delle vetrine, ma un’artista comune che lavora nel suo studio e che cerca di esprimersi”

Pubblicato il 21-10-2023
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Rinascimento in bianco e nero

“I Want To Break Free”, cantava Freddie Mercury con i Queen.
Io rimescolo qualche vocale e qualche consonante e rilancio: “I Want To Be Freak”.
Freak of Nature (“Anomalia della Natura”) è lo pseudonimo dietro al quale si cela l’attività creativa di F., artista di origine milanese che da anni risiede ormai dalle nostre parti, a Crespano del Grappa, nota soprattutto per le sue provocazioni espressive “on the road”.

Freak of Nature (foto Alessandro Tich)

Freak of Nature ha ovviamente anche un nome e un cognome all’anagrafe, che tra l’altro qualche giorno fa è stato rivelato da una Tv locale. Ma lei è una street artist, in quanto tale preferisce non svelare la sua identità e io sto al gioco.
Freak of Nature è anche un nome (d’arte) conosciuto ai nostri lettori e in generale ai bassanesi, per notorietà conquistata sul campo.
È stata infatti lei, nella notte tra il 21 e il 22 dicembre 2021, a compiere il blitz artistico sulle vetrine di 50 negozi e bar sfitti del centro storico e dell’immediata cintura, sulle quali aveva tracciato dei segni verticali di colore verde che si richiamavano alle canne di bambù.
Su ciascuna vetrina di negozio vuoto, accanto ad ogni canneto tracciato, l’autrice aveva aggiunto la scritta “Sfitto” e il numero di serie del negozio “visitato”, da 1 a 50 per l’appunto.
“Si tratta - mi aveva scritto allora l’artista su WhatsApp - di una performance che mette sotto i riflettori l'abbandono urbano, inducendo a riflessioni sociali.”
“La scritta “sfitto”, accompagnata dai segni verdi del bambù in diverse tonalità, che caratterizzano la poetica murale di Freak of Nature - continuava il testo -, non vogliono creare danno, ma indurre le persone a pensare a ciò che sta succedendo in tutte le città italiane: tanti, troppi negozi vuoti che significano perdita di identità della città, perdita di denaro e spopolamento.”

Come accade sempre in queste circostanze - vedasi il caso delle farfalle nere stampigliate da ignoti sulle pareti esterne dell’ex Teatro Astra - le reazioni ai “bambù della notte” si erano divise in due correnti di pensiero: da una parte gli estimatori del messaggio lanciato dalla performance creativa e, dall’altra, gli oppositori nei confronti di un gesto interpretato come un atto di imbrattatura su proprietà private, alla stregua dei “writers” con lo spray al posto del cervello.
Ma, diversamente da questi ultimi, i segni dell’artista milanese non erano indelebili.
“Ci tengo a ri-ri sottolineare - aveva ancora scritto miss Freak - che i miei colori sono tempere a base d’acqua, sono lavabili con una semplice passata di spugna.”
Non era però d’accordo l’assessore comunale alla Sicurezza Claudio Mazzocco, che in quella occasione aveva annunciato “una denuncia e una sanzione di alcune migliaia di euro” a carico della street artist “per imbrattamento di bene di proprietà comunale”.
Tra le vetrine “decorate” nella notte c’era infatti anche quella di Palazzo Baccin in via Gamba, di proprietà del Comune. Ma quella minaccia di denuncia con multa, secondo quanto riferisce la stessa Freak of Nature, non ha avuto seguito.
Non è stata però la prima “provocazione” della visitatrice artistica by night in terra bassanese.
Già nel 2018 miss Freak aveva disteso una striscia di cotone di 66 metri sul pavimento del Ponte di Bassano sottoposto al cantiere di restauro, in mezzo alle due file di transenne che allora limitavano il passaggio, colorata sempre con varie tonalità di verde per evocare un tappeto erboso e con un caleidoscopio di pennellate rosse, rosa e bianche per ricreare una lunga fila di fiori.
Anche in quel caso lo aveva fatto “per far riflettere sull’abbandono urbano”, specificando che si trattava “del suo regalo ai cittadini”.
Cittadini che in quella occasione avevano invece apprezzato, praticamente all’unanimità, la sorpresa artistica.

Ora posso scriverlo con certezza: Freak of Nature esiste e non è un’entità astratta come il megadirettore galattico alla Fantozzi.
È infatti presente fisicamente tra le opere esposte nella sua mostra personale “L’essenza di Freak of Nature: street art e natura”, allestita fino al prossimo 4 novembre al primo piano del negozio La 5essenza in via Matteotti in città, a pochi passi da quel Comune di Bassano che aveva visto rosso per le canne verdi tracciate due anni fa sulle vetrine del centro e di fronte a quel Palazzo Baccin citato a suo tempo dall’assessore Mazzocco.
Il Triangolo delle Bermude.
Negli orari pomeridiani, su richiesta, è persino possibile fare la visita guidata della mostra insieme all'artista.
L’esposizione illustra il processo creativo dell’autrice in studio, che poi si declina nelle sue provocazioni simboliche all’aria aperta.
Ci sono ad esempio delle strisce di tessuto decorato, come quelle con le quali aveva ricoperto una parte delle facciate di alcuni “ecomostri” del territorio: come l’Onda Palace, enorme edificio abbandonato nella zona industriale di Padova o come gli scheletri di cemento di Borgo Berga a Vicenza.
Un quadro esposto, in stampa serigrafata dipinta a mano, riproduce “Bimbo Bang”: murales “alla Banksy” realizzato nel 2020 sui muri abbandonati di sei città - Padova, Vicenza, Bassano del Grappa, Treviso, Schio e Thiene - in collaborazione con il noto street artist padovano Evyrein. È l’immagine di un bambino soldato africano che imbraccia il fucile in mezzo alle canne di bambù, caratteristica espressiva di Freak.
Un’opera che aveva voluto unire il simbolo dei danni che l’abbandono umano può creare, come un bimbo in guerra, e il monito sugli stessi muri su cui poggiava l’opera, vale a dire “terreno sottratto alla natura, cementificato, per poi essere abbandonato”.
A Bassano “Bimbo Bang” era apparso su un muro in zona San Vito. Ma è stato poi ripulito dai residenti dello stesso quartiere.
Tra le altre cose, in mostra - oltre ad una striscia decorata con le stesse simboliche canne di bambù tracciate sulle vetrine dei negozi sfitti di Bassano e di tante altre città - c’è anche un’autentica reliquia: un prototipo della striscia di tessuto, con motivi floreali, che era stata posata sul Ponte Vecchio in mezzo alle transenne di cantiere, rallegrandone la tristezza.
Striscia la letizia.

Freak of Nature: perché questo nome d’arte?
Questo nome d’arte è alla nascita. Nel senso che è la prima cosa che ha detto mia madre quando mi ha vista. Ed è rimasto per sempre. Anche a casa mi chiamano Freak o con nomignoli simili. Per cui mi è venuto naturale che diventasse il mio nome d’arte.

Questa mostra che impostazione ha?
Questa è una mostra che vorrebbe far comprendere un po’ meglio quello che fa uno street artist nel suo studio. Parlando ad esempio del Ponte di Bassano, visto che siamo a Bassano, prima della copertura del Ponte c’è stato molto studio fatto in laboratorio. E volevo così far capire che anche la street art ha tutta una parte di ricerca e di studio. Semplicemente questo.

Qui ci sono gli elementi di alcune delle sue “performance”…
Sì. Il Ponte, l’Onda Palace, Villa Albrizzi Marini… Ci sono svariati “ecomostri” oppure situazioni che ho trovato di degrado o in grave difficoltà, come nel caso del Ponte quando l’ho coperto. È una parte del mio lavoro. Poi c’è una parte che si svolge semplicemente in studio dove elabori e crei dei quadri, come dire.

Lei è stata l’autrice dei bambù verdi tracciati sulle vetrine dei negozi sfitti di Bassano e non solo. Ma restiamo a Bassano. È stato un blitz improvviso, un intervento studiato o che cosa?
Questa cosa è nata durante il Covid. Giravo per le mie due città, che sono Vicenza e Bassano, e mi rendevo conto della quantità di negozi che erano chiusi. All’inizio pensavo che fosse proprio causa anche del Covid, ma poi rendendomi conto che non era quello il problema. Ho studiato un po’ e ho capito che c’è una grave crisi economica che sta veramente mettendo in ginocchio il Paese, secondo me. E “prendersela”, tra virgolette, con i negozi e con tutte queste attività chiuse era un modo per far aprire un po’ gli occhi alla cittadinanza. E quindi sono partita da queste due città, inizialmente. Siamo alla ventesima città, ora. Per cui il Veneto lo abbiamo battuto tutto, anche l’Emilia Romagna, la Lombardia, il Friuli Venezia Giulia e andiamo avanti così.

Ma secondo lei la cittadinanza ha “aperto gli occhi”? Perché ci sono state reazioni contrastanti su questa cosa.
Intanto se ne è parlato. E dunque si è preso atto del fatto che, oggettivamente, quelle centinaia di negozi chiusi esistono. Dopodiché, forse questo genere di azioni vanno anche spiegate. Bisogna lasciare anche il tempo alle persone perché le comprendano. E forse adesso, alla ventesima città, devo dire che si inizia a muovere qualcosa. Grazie anche a chi fa il suo lavoro, grazie anche a certe istituzioni, grazie anche ad associazioni di settore che invece di mettersi contro la mia azione hanno deciso di collaborare con me. Ci sono delle città che sono riuscite, magari anche in maniera piccola, a sovvertire un po’ questa situazione. E dunque potrebbero fare da esempio anche per altre. Però, per fare ciò, ci vuole dialogo fra tutte queste parti.

Si è mai presa qualche denuncia o qualche tirata di orecchie da parte di qualche Comune?
Denunce, no. Almeno non che io sappia. Tirate di orecchie, sì. Devo dire che capita ogni tanto che qualche amministratore la prenda un po’ sul personale, si senta forse un po’ smascherato. Ma in realtà non è questa la mia intenzione. Non è una critica, in realtà, rispetto a nessuno. È più, appunto, il fatto di accendere un riflettore e fare in modo che sotto quel riflettore molte parti, grazie all’arte in questo caso, aprano un dialogo.

Possiamo dire che questa mostra vuole dimostrare che Freak of Nature non è soltanto “quella delle vetrine”?
Certo, assolutamente sì. Non solo quella delle vetrine, non solo quella che copre gli ecomostri, ma un’artista comune che lavora nel suo studio e che cerca di esprimersi.

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