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 Alessandro Tich
Alessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it
Gli Intoccabili
L'onorevole Berlato si scandalizza per i maxi-stipendi dei dirigenti pubblici italiani e chiede la riforma della Pubblica Amministrazione. Riflessioni a margine della proposta, con riferimento alla questione dei dirigenti comunali
Pubblicato il 14-11-2013
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			La denuncia è coraggiosa e degna di considerazione. Peccato che il pulpito da cui parte non sia il massimo della coerenza. Non è un appunto ad personam all'onorevole vicentino Sergio Berlato, che ha avuto il merito di evidenziare il problema, ma alla categoria di cui fa parte. L'on. Berlato è infatti un europarlamentare: ovvero è un esponente del livello di classe politica nel quale il rapporto tra i costi della collettività per mantenerne stipendi e apparati e i benefici per i territori che gli eurodeputati rappresentano col loro mandato è il più indefinito e soprattutto il più indefinibile. Ma questa è un'altra storia: della quale, se lo volete, possiamo discutere nel prossimo futuro. 
La questione che in questa sede rivolgiamo alla vostra attenzione è quella che Berlato ha appunto segnalato con il suo intervento riportato in un nostro articolo nel canale “notizie in breve” del nostro portale. E cioè l'esorbitante trattamento economico riservato ai dirigenti pubblici nel nostro Paese, tre volte superiore rispetto alle retribuzioni dei manager pubblici degli altri Paesi dell'area Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), Germania e Francia comprese. E' quanto risulta dall'ultimo report dell'Ocse, che ha passato al setaccio il funzionamento delle istituzioni pubbliche dei 34 Paesi aderenti all'organizzazione internazionale. 
Da qui le osservazioni del parlamentare europeo del PdL/PPE nei confronti di un'amministrazione pubblica italiana che “è percepita, a ragione, come una macchina pesante e complessa che invece di risolvere problemi ai cittadini li crea”. Con retribuzioni dirigenziali che vengono percepite come “uno schiaffo in faccia ai contribuenti”. “Occorre una radicale riforma della Pubblica Amministrazione - dichiara il politico vicentino - e delle rendite di posizione di cui hanno goduto i rappresentanti di quella che può essere definita una “casta” di cui pochi parlano.”   
		
 
		Foto: archivio Bassanonet
			Va subito chiarito, a scanso di equivoci, che i dati della ricerca dell'Ocse e le conseguenti esternazioni di Berlato riguardano i cosiddetti senior manager, e cioè le figure dirigenziali di punta, dell'amministrazione dello Stato.  
Roba ad alto livello, insomma: e cioè da Palazzi romani, Prefetture e via dicendo. Inutilmente, nel 2010, un “audace” decreto legge aveva stabilito il taglio dei maxi-stipendi dei dirigenti pubblici, del 5% fino a 150.000 euro annui e del 10% oltre i 150.000 euro: il provvedimento è stato infatti bocciato dalla Corte Costituzionale, secondo la quale “il tributo imposto determina un irragionevole effetto discriminatorio” (www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-10-11/tagli-stipendi-dirigenti-pubblici-132547.shtml). Una vicenda da intitolare come da film: “Gli Intoccabili”. 
Della serie: Stato sprecone, Roma ladrona, eccetera eccetera. 
Ma se andiamo a spulciare le retribuzioni dei manager pubblici delle Regioni e ad esempio delle Asl -  che delle Regioni sono diretta emanazione - ci rendiamo conto che la generosità delle spettanze in busta paga è un'usanza che dal centro si diffonde bellamente, e senza colpo ferire, anche alla periferia. 
E in questo senso, scendendo al livello-base della gestione pubblica territoriale, non possiamo non proporre una riflessione sul problema dei costi dirigenziali delle Amministrazioni comunali. 
Anche qui vogliamo sgombrare il campo da eventuali equivoci e dietrologie: non intendiamo fare le pulci all'entità degli emolumenti che spettano, per legge, a chi riveste un incarico di responsabilità all'interno di un ente locale. Si tratta, oltretutto, di dati pubblici e in quanto tali trasparenti.
Il Comune di Bassano del Grappa - perché è qui che vogliamo arrivare - li ha pubblicati nel proprio sito internet, benché aggiornati inspiegabilmente appena al 2011 (www.bassanodelgrappa.gov.it/Il-Comune/Amministrazione-Trasparente/Personale/Dirigenti). 
Anche in questo caso, diversamente da altri nostri precedenti articoli e editoriali, non facciamo considerazioni ad personam, ma affrontiamo l'argomento dal punto di vista del sistema generale. Il quale ci dice, considerando i dati del solo 2011, che le retribuzioni annue lorde dei 7 dirigenti comunali di via Matteotti ammontano complessivamente a 566.946 euro. Ovvero, visto che il raffronto tra il nuovo e il vecchio conio fa sempre il suo effetto, a più di un miliardo delle vecchie lire. Esclusi incentivi alla progettazione, rimborsi spese e voci integrative varie. 
Non sono dunque gli oltre 566mila euro in sé a reclamare in questo momento la nostra attenzione, ma la domanda se i centri di spesa rappresentati dalle spettanze dirigenziali corrispondano ad altrettanti risultati in termini di produttività per il bilancio dell'ente pubblico. Cosa che, per qualsiasi manager del settore privato, sarebbe il primo e naturale elemento di valutazione da parte dell'amministratore dell'azienda, ovvero del datore di lavoro.   
Ma nel caso di un Comune, il datore di lavoro chi è? Chi valuta, in altre parole, la “produttività” del proprio manager? Il sindaco che guida l'Amministrazione, lo Stato con i suoi strumenti di controllo (Corte dei Conti in primis) o i cittadini che pagano le tasse e i tributi comunali? In altre parole ancora: a chi rispondono i dirigenti per il loro operato? 
In realtà, a partire dalle famose Leggi Bassanini, le qualifiche dirigenziali negli enti locali hanno assunto un ruolo di responsabilità diretta negli atti pubblici - e quindi di responsabilità nei confronti dello Stato - che ne ha decretato un potere operativo, ma anche un potere di veto, fino a prima impensabile. 
Morale della favola: un sindaco e un'Amministrazione comunale possono anche avere mille idee sulle cose da fare, e pensare di rivoltare la città come un calzino a colpi di delibere, ma senza le firme del segretario generale e del dirigente di settore - che risponde direttamente, oltre agli amministratori pubblici, sulle conformità di legge e sulle coperture di spesa dell'atto amministrativo - non se ne fa nulla. Rendendo lecito chiedersi, alla fin fine, chi è che realmente comanda all'interno delle mura municipali. 
E allora? Allora è un cane che si morde la coda: un dirigente comunale può anche dimostrare scarsa produttività in termini di bilancio di settore, ma ha il coltello dalla parte del manico e se i suoi atti rientrano nei crismi imposti dalla legge - e in quanto tali risultano inattaccabili e incontrovertibili - può continuare a fare il manager pubblico finché pensione non ci separi, secondo il sacro principio dell'inamovibilità. 
Per questo la proposta dell'onorevole Berlato, e cioè la “radicale riforma della Pubblica Amministrazione”, ci sembra al momento attuale una inarrivabile utopia.
Significherebbe, per restare soltanto al livello comunale, disporre di dirigenti pronti ad essere sostituiti, anche in corso di mandato amministrativo, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi dell'Amministrazione.
Vorrebbe dire, sempre riguardo agli enti locali, l'introduzione di uno spoil system all'americana che ad ogni cambio di Amministrazione comporti anche il cambio dei dirigenti, degli spin doctors e dei funzionari di fiducia del governo cittadino. 
Ma siamo in Italia, ragazzi. E tu chiamale, se vuoi, illusioni. 
		
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