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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Interviste

A tu per tu con Marco Cavalli

“Note sulla lettura” dal direttore artistico di Libriamo

Pubblicato il 14-06-2010
Visto 7.033 volte

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Marco Cavalli, critico letterario, è tra i massimi conoscitori dell'opera di Aldo Busi. Traduttore, consulente editoriale, si occupa da sempre di letteratura ed è da anni direttore artistico di Libriamo, l’interessante manifestazione dedicata al mondo dei libri e dell'editoria promossa dal Comune di Vicenza e organizzata dall'Associazione Culturale bassanese Zoing!. Cavalli recentemente ha firmato il testo e la regia di uno spettacolo teatrale tratto da una commedia di Aristofane e ha pubblicato "Sette note sulla lettura”, Angelo Colla editore, un libro in cui le note servono a ripercorre la sua esperienza di lettore per il piacere di esserlo e dove racconta la bellezza dell’attività della lettura quando rimane lontana dagli obblighi dello studio, dai condizionamenti del complesso di inferiorità, dal ciclo della produzione e del consumo. Da novembre Marco Cavalli condurrà assieme al professor Giovanni Giolo un corso dedicato alla scrittura, gli incontri avranno luogo in biblioteca a Marostica.

Marco, è davvero “beato” chi legge?

Marco Cavalli


Del tutto autisticamente ho intitolato “Beato chi legge” il corso di lettura che tengo da ormai un decennio all’associazione Ossidiana. L’avessi chiamato “Sfigato chi legge” sarebbe stato lo stesso, per quanto mi riguarda. Dire che un lettore è beato è uguale a dire che è beota. Se di lettore si tratta, non gli serve la promessa di un paradiso o di un effetto speciale per trovare interessante la lettura. Le beatitudini lasciamole ai poveri di spirito e alle persone sprovviste di sense of humour.

Nelle note che scrivi non ti preoccupi di consigliare liste di libri, ma difendi una sana filosofia di approccio alla lettura

Nel mio libro io difendo chi ha bisogno di essere difeso, quindi non certo i libri di letteratura. Difendo i lettori di oggi, che chiamo “lettori coatti”, quelli che non conoscono la libertà di tenersi lontani dai libri perché, anche se pare incredibile, non so di nessuno che in Italia ammetta serenamente e francamente di non aver voglia di leggere. Hanno tutti soggezione del libro, e meno ne prendono in mano, più sono portati a esagerarne l’importanza. Pensa allo spiegamento di forze, non solo merceologico, necessario oggi per trascinare la gente verso i libri. Tra festival, sconti, campagne promozionali, è un continuo inneggiare ai vantaggi pratici e trascendentali della lettura. Da lì capisci quanto la lettura sia ormai un fatto remoto, quasi un’attività contro natura. Sta facendo la fine del sesso, che a furia di parlarne non fa gola più a nessuno. In particolare ai giovanissimi, che gli preferiscono le droghe o il vandalismo del fine settimana.

Di recente al Salone del Libro Giovanni De Luna nella sua lectio magistralis ha avanzato delle critiche ben motivate al festival delle “Giornate dedicate a”. Riportando il tema alla lettura e ai libri, tu cosa pensi di questo fiorire di appuntamenti istituzionali?

Penso che è giusto che ci siano, anche se c’entrano poco con l’incremento della lettura. Sono eventi funzionali al sostentamento del mercato editoriale. Servono ad attirare acquirenti, non a creare lettori. Infatti somigliano sempre di più a sagre di paese, con gli ottovolanti e i chioschi di bibite e l’orchestrina sotto il tendone. Il Salone del Libro è diventato una specie di festival di Sanremo dell’editoria. Anche a Sanremo, come a Torino, dicono che la manifestazione ha lo scopo di promuovere la cultura. Ma è solo uno slogan pubblicitario. Vogliono soprattutto vendere - dischi da una parte e libri dall’altra. E non c’è niente di male in questo. Bisognerebbe riflettere sulla facilità con cui la gente abbocca a esche così risapute, invece di criticare chi le usa.

Qual è il motore di un Festival della letteratura come Libriamo?

Sul piano pratico, è il gruppo di persone che ogni anno vara una nuova edizione del festival tra grattacapi di tutti i tipi e con un budget striminzito. La cultura non è quella che a fine agosto sfila sopra il palcoscenico nei chiostri della chiesa di Santa Corona. La vera cultura è quella profusa da questo gruppetto di persone per arrivare ogni anno a montare quel palcoscenico e a tenerlo in piedi malgrado manchino funi, tavole, chiodi, braccia. Non c’è alcun merito a portare a Vicenza il grande autore quando si hanno i soldi per farlo. Prova tu a imbastire un’intera manifestazione, con soddisfazione del pubblico non pagante, avendo a disposizione pochi spiccioli e la prospettiva di intascarne le briciole.

Tu che sei un grande lettore e ti occupi di libri come professionista e da lungo tempo, riesci ad individuare facilmente delle categorizzazioni di genere? Esistono davvero ad esempio gli “scrittori del Nordest”?

Gli scrittori del Nordest esistono come esistono gli scrittori gay e gli scrittori israeliani e gli scrittori meridionali. Sono etichette da non prendere alla lettera, create per animare discussioni e mimare finte polemiche.

Le classifiche di vendita, o forse, e meglio, le classifiche di qualità possono costituire un orientamento per la scelta di un libro da leggere?

Le classifiche sono l’unica bussola che un lettore tiene coscientemente sottocchio all’atto di entrare in libreria. Bisogna ricordare che il lettore che è principalmente un lettore e poi anche un acquirente, è una specie in via di estinzione. La ragionevolezza del lettore odierno è tagliata sul legno di un mobile Ikea, non sulla corteccia di un albero. In lui la conformità – dei gusti, degli orientamenti – non è la stazione provvisoria e accidentale di un viaggio che non ha destinazioni: è un punto di partenza preciso e un punto di arrivo predisposto, anelato. Nel suo caso ha poco senso parlare di scelta perché il ventaglio delle opzioni, delle possibilità di lettura, non l’ha fabbricato lui, gli è stato messo in mano da altri. Le eventuali arie che si dà in quanto lettore, se le dà con quel ventaglio.

Ti occupi di critica, quanto può influire il battage delle recensioni nel determinare il successo di un libro?

Il successo di un libro è un fatto sempre un po’ misterioso e imprevedibile. Le recensioni, persino quando incidono, non hanno questo gran potere di condizionare le vendite. In quanto al valore letterario di un libro, la critica recensoria ha perso ogni interesse a determinarlo, vuoi perché vanno diradandosi le graduatorie fissate da un’élite qualificata e riconosciuta (le poche che ancora esistono, nessuno le consulta), vuoi perché la qualità di un libro è, per così dire, sancita dalla sua posizione nella classifica delle vendite – un criterio di giudizio neanche troppo sballato, a ben vedere, e collaudato, visto che opera da quando esistono un’industria del libro e una paraletteratura. Il successo di vendite di un libro è a modo suo una recensione, quella più facilmente decifrabile in una civiltà che si regge sul capitalismo globale.

Dicono che l’universo dei lettori nella nostra società sia popolato in maggioranza da donne

Le statistiche dicono che le donne spendono in libri molto più degli uomini. Un dato che da solo non dice niente su quanto e come siano letti quei libri. Senza contare che ormai qualunque oggetto tipografico viene chiamato “libro”, per cui non è insolito incontrare donne che per aver comprato e magari persino letto Fabio Volo e Tiziano Terzani e Antonella Clerici e Sophie Kinsella sono persuase di aver letto dei libri. Detto questo, i lettori sfuggono a restrizioni corporative. Un lettore è un individuo il cui sesso non fa testo. Anche per lui vale la regola che vale per gli scrittori: più si vincolano a una categoria (sessuale, ideologica, estetica, razziale), più è facile svincolarsi dai loro libri.

L’eroina protagonista della tua commedia, Lisistrata, è la promotrice di un celebre sciopero del sesso, un ricatto delle donne elleniche messo in atto perché gli uomini ponessero fine alla guerra del Peloponneso, il dramma che insanguinava da lungo tempo la Grecia. La sua è un’azione politica efficace che però non si traduce in potere. E’ un destino tutto “femminile”?

Che bello sarebbe se per almeno un secolo la parola “destino” e la parola “donna” non si congiungessero più… Invece le donne sono il bluff antropologico degli ultimi venti-venticinque anni. Non solo non hanno elaborato un’idea di potere alternativa a quella tradizionale, maschile e maschilista, ma hanno anche rinunciato a combattere quest’ultima. Sono loro le grandi assenti: dalla piazza, innanzitutto, e poi dalla scena politica istituzionale. Basta vedere l’attuale rappresentanza parlamentare femminile in Italia. Se non ci fossero le quote rosa, non sapremmo neanche che esistono, le donne politiche. E a loro, a quanto pare, sta bene così. Quando sentono parlare di rivoluzione sociale ti guardano sconcertate. Non la concepiscono neppure. L’ideale della pasionaria, che aveva tenuto banco fino agli anni Settanta, è crollato insieme con il femminismo, tradito dalle donne della generazione di mia madre. Si sperava in nuovi focolai di disubbidienza, magari accesi da una consapevolezza di diverso spessore. Il Duemila, al contrario, ha portato il revival della femmina da focolare. Le giovanissime, specialmente, sono di un oscurantismo che ridicolizza quello medievale di mia nonna. Sembrano tante madonnine in cerca di un presepio. Clericali tutte, con il mito della coppia e il pallino della maternità. Che nel 2010 una donna occidentale si ponga ancora come traguardo la famiglia, è una di quelle contraddizioni di cui non mi capacito. La famiglia le ha seviziate per secoli e ognuna di loro pensa a metterne su una propria!
La mia “sfasciaeserciti” (assai liberamente tratta dalla Lisistrata di Aristofane) è una donna di queste di adesso, emancipate fasulle: una rivoluzionaria vorrei-ma-non-posso. L’ammutinamento sessuale suo e delle sue compagne si rivela, in conclusione, una mascherata, una recita collegiale di fine anno, tra il turpe e il triviale. C’è persino un coro o meglio la parodia di un coro tragico. Ogni tanto si esprime in linguaggio alato, aulico, come volesse tingere con un po’ di colore drammatico un canovaccio di commedia sbrindellato. Ma non è più possibile commuoversi di fronte a un dramma che si ripete uguale da troppo tempo. Gli episodi di sangue che continuano a spezzare la vita di molte donne sono largamente annunciati, sono cioè caricature di drammi. Resta il dolore: la sorpresa, l’indignazione, la volontà di fare giustizia, scompaiono in fretta.
Alcuni spettatori mi hanno rimproverato il finale troppo cattivo del mio adattamento. Li rimando alla commedia di Aristofane. Il suo epilogo è molto più crudele proprio perché è fintamente lieto. In Aristofane, gli uomini in ultimo cedono le armi, riconoscono che la femmina è fatta per il maschio e il maschio per la femmina. Il trionfo della biologia e la sconfitta, l’ennesima, della storia. Più cattivo di così…

Tornando ai nostri tempi, cosa può fare secondo te la scuola per non scoraggiare la naturale propensione alla lettura dei ragazzi?

Alla scuola italiana – un’istituzione obsoleta, scollegata dal mercato del lavoro e dai suoi rapporti di forza - bisogna chiedere, in mancanza di meglio, di non tormentare i ragazzi intimando loro di leggere. La propaganda del libro che imperversa di questi tempi al di fuori della scuola fa già abbastanza danni per conto suo. Non si è mai parlato così tanto e così bene dei libri, e non si è mai letto così poco e male come ora. La lettura torni a essere una conquista, come la libertà. Va benissimo insegnare il valore e la bellezza della libertà. Ma non si può obbligare nessuno a battersi in nome della libertà. O sente lui la necessità di farlo, o la libertà inculcatagli a viva forza diventa un’altra prigione.

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