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Mercoledì pomeriggio, verso le 18.00, il Salone degli Affreschi, al Piano Nobile di Palazzo Roberti, era gremito, e l'alto soffitto, splendidamente affrescato, amplificava il vociare della folla ansiosa. Poi, in un attimo, è calato il silenzio e un secondo dopo è esploso l'applauso: Daria Bignardi è entrata in sala con discrezione ma non è passata inosservata. Con un'umiltà e una delicatezza che difficilmente traspare quando la si vede in tv, per più di un'ora ha presentato il suo libro, sorridente e disponibile ad ogni domanda di Alessandra Barbaresi che, per l'occasione, conduceva la serata. Stringendo tra le mani una copia di "Non vi lascerò orfani", libro uscito già da qualche mese e che ha venduto più di 100 mila copie, la scrittrice ha parlato, con umanità e tenerezza, della sua famiglia e della madre, la cui morte ha ispirato la stesura di questo toccante romanzo, che ripercorre le memorie e le tradizioni della famiglia Bignardi. La storia narrata è quella di una tipica famiglia italiana, della quale la giornalista ferrarese non tralascia neppure un particolare: c'è Ludovico, il padre dongiovanni e solare; ci sono i parenti fascisti e i nonni repubblicani; l'antenato Corrado Govoni; la casa di Castel San Pietro senza riscaldamento; e ci sono anche un sacco di gatti.
Daria Bignardi scava nella memoria, nulla va perduto, tutto ha lasciato un segno e ha reso l'autrice quella che è. Ma su tutti i personaggi (e sono tanti!) citati nel libro, domina Giannarosa, la mamma di Daria, donna autoritaria e carismatica, che ha condizionato pasantemente la vita delle figlie (Daria ha una sorella, Donatella) e attorno alla quale ha ruotato anche gran parte del discorso tenuto mercoledì dalla scrittrice. E proprio in merito alla figura della madre ho trovato singolare, sia nel libro, sia, soprattutto, nelle parole pronunciate durante l'incontro coi lettori bassanesi dalla giornalista, l'anomala comprensione e serenità con cui la Bignardi la descrive: solitamente, di fronte alla morte di un familiare, si tende a reagire ricordandone solo le qualità, Daria invece ha avuto la straordinaria capacità di mantenere un ricordo ogggettivo della madre, tratteggiandone un'immagine non sempre simpatica, ma decisamente vera, onesta, autentica e per questo straordinariamente toccante. Certo, la scrittrice ha parlato della morte della madre come di un momento di sofferenza e sconforto (tanto che alla richiesta di leggere il passo del libro in cui descrive il funerale di Giannarosa ha gentilmente declinato con un cortese, ma fermo "Nn credo di farcela..."), ma questo dolore le ha permesso di interrogarsi e confrontarsi con quella figura tanto ingombrante e chiassosa. Per scoprire, forse solo un pochino allarmata, che ogni particolare della sua vita sembra girare intorno al complicato rapporto tra madre e figlia, che è fatto di trasporto e identificazione ma anche di bisogno di separarsi e staccarsi. Una madre tutt'altro che semplice, Giannarosa, ansiosa e ossessiva com'era. Una donna capace però anche di grandi slanci di tenerezza (isolati e rarissimi) verso le figlie e di una passione (o "furentismo" citando il singolare lessico familiare sul quale ha più volte ironizzato mercoledì l'autrice) incessante ma quasi sempre minimizzata, per il marito. Attraverso la vena ironica e disincantata che la caratterizza, Daria Bignardi ha regalato così, all'incantato pubblico bassanese, una figura femminile sfaccettata e difficile da inquadrare, capace di un amore strano, ossessivo, tagliente. Un amore che si realizzava più nella negazione, nella mancanza, nel rifiuto che nei sorrisi alla Mulino Bianco. Ma infondo è stato proprio l'amore il tema della riflessione condotta mercoledì sera dall'autrice, un amore persino più forte dell'assenza. Perché in una famiglia, l'unica cosa che fa davvero male è proprio l'assenza, il non dare, mentre il caos e il calore delle esperienze condivise, per quanto dolorose o controverse, rafforzano le nostre radici e le nostre identità.

Daria Bignardi
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