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Laura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it
Primo piano
L'inno alla resilienza di Pensaci, Giacomino!
Il Teatro Comunale Città di Vicenza, unica tappa veneta dello spettacolo, ha ospitato il classico della drammaturgia italiana del Novecento interpretato da Leo Gullotta
Pubblicato il 30-01-2020
Visto 1.302 volte
La stagione di prosa del Teatro Comunale Città di Vicenza ha portato in scena martedì 28 e mercoledì 29 gennaio, nelle uniche date venete dello spettacolo, un classico della drammaturgia italiana del Novecento: Pensaci, Giacomino!.
Leo Gullotta, in questa produzione firmata Michele Gentile per Enfiteatro e Teatro Stabile di Catania, veste sul palco da un paio d’anni i panni del professor Agostino Toti, il protagonista della novella dialettale di Pirandello, poi trasformata commedia in tre atti, qui riletta e diretta da Fabio Grossi.
Lillina, la ragazza incinta di Giacomino che l’anziano Agostino sposerà per assicurarle la propria pensione, è interpretata da Federica Bern. A completare la nuova famiglia sui generis, i parenti e la famiglia più allargata dei luoghi di lavoro e del paese che mormora (gli altri interpreti: Liborio Natali, Rita Abela, Valentina Gristina, Gaia Lo Vecchio, Marco Guglielmi, Valerio Santi e Sergio Mascherpa).

Leo Gullotta in Pensaci, Giacomino! (ph. Tommaso Le Pera)
In questa commedia umana, il premio Nobel siciliano ha toccato i temi forti della solitudine, della condizione femminile e dell’infanzia; ha espresso una critica netta nei confronti degli ingranaggi di apparati statali che stritolano gli individui, in particolare a quello dell’istruzione che ha conosciuto direttamente; ha rappresentato il lavorio della macchina del fango ed espresso la sua condanna al bigottismo e all’ipocrisia che governano le relazioni umane. Portare sul palco con leggerezza e il tono dell’umorismo tante questioni importanti è un gioco di alchimia e di ingranaggi ben oliati dalla configurazione perfetta.
La commedia inizia con il sottofondo della voce di Claudia Portale, che intona una canzone popolare.
Sul palcoscenico, la scenografia evoca un’ambientazione anni Cinquanta del Novecento, vi compaiono gigantografie mobili con rappresentati volti inquietanti di matrice espressionistica tedesca, un genere molto amato da Pirandello, anche il busto di un Cavaliere nell’atrio del Liceo, che dovrebbe incutere soggezione, poi di volta in volta divani e panchine, a richiamare interni ed esterni a uguale effetto prigionia, dai quali solo l’anziano professore sembra avere la forza di affrancarsi davvero.
Il Professore-Gullotta accentra l’attenzione da inizio a fine spettacolo, e il suo personaggio, nella rilettura di Grossi risolta in un atto unico, orchestra lo svolgersi degli eventi in un susseguirsi di dialoghi serrati che contrappongono il protagonista a un coro quasi del tutto indifferenziato raffigurato dagli altri personaggi — il Direttore, i Bidelli, il Parroco, le Serve, i Parenti, gli stessi Giacomino e Lillina. Tutti esprimono una condizione, una maschera, più che un’individualità: l’unico a gettarla, la maschera, è proprio Toti.
Il Professore è un personaggio anarchico e innovatore, ha deciso che vuole vendicarsi e insieme curarsi degli altri, non badando affatto alle intimidazioni e alle beffe che suscita il suo comportamento divergente. Un inno alla resilienza, per dirla in parole di oggi.
Finale del tutto pirandelliano, mimato in un allargamento di braccia del Professore che pare ribadire: Così è (se vi pare).
Applausi, dal pubblico del teatro.
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