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Book… che?
Una riflessione semiseria sulla cura della lettura

La Biblioteca civica, per tre sabati pomeriggio, dal 22 febbraio, ha organizzato un corso di Bookcounseling sottotitolato “La lettura come cura di sé” che si svolgerà nel pomeriggio e che sarà tenuto da Jasminka Grendele, dell’associazione Orizzonti di carta. È prevista una quota di iscrizione.
Prendendo solo come spunto l’iniziativa locale, è possibile sfogliare qualche pagina della pratica della biblioterapia – molto in voga ultimamente anche nelle sue declinazioni non propriamente ortodosse – leggendola alla leggera, da lettori incurabili appunto.
Parlano l’Inglese e suonano moderno, “Bookcounseling”, “Book Therapy”, ma di fatto la biblioterapia, o libroterapia, non è una novità. Per restare sul suolo natio, si dice che Benedetto Croce avesse l’abitudine di “prescrivere” ai suoi interlocutori i testi che riteneva per loro appropriati segnandoli su fogli-notes, a mo’ di ricette volanti. L’immagine non è nuova.
La constatazione che è doveroso fare – lasciando da parte i contesti dove si collocano problematiche e patologie serie di salute, in cui ogni forma di aiuto è la benvenuta – è che adesso esiste, anche se non propriamente “albizzata”, e opera in tanti settori la figura professionale del “biblioterapista”, uno specialista che si colloca fra il medico, il professore di letteratura e lo psicanalista-psicoterapeuta. In realtà, per un individuo non affetto da patologie interessato alla lettura, l’unica frase interessante che dovrebbe essere contenuta nel curriculum dello specialista, e che questi dovrebbe poter pronunciare ogni volta prima di avvicinare lo stetoscopio è: “j'ai lu tous les livres” (possibilmente detta con gli occhi tristi e spargendo intorno un profumo da brezza marina alla Mallarmé). Allora, magari…
Prima di considerare il libro alla stregua di un farmaco, bisognerebbe tenere presente che “pharmakon” significa tanto medicamento quanto veleno. Questione di dosaggio. O di effetti collaterali. Nella pratica interattiva, il biblioterapista dopo aver ascoltato con attenzione tutti i sintomi del paziente, accomunatoli a quelli analoghi di altri pazienti, prescrive i testi da assumere secondo dosi precise, calibrate fino a remissione dei sintomi. In realtà, al di fuori della patologia, un lettore comune – chi legge non per dovere professionale, o per impegni di studio, ma solo per il piacere di farlo – si auto-prescrive e auto-somministra con frequenza e spontaneamente dosi massicce di libri senza badare alle indicazioni generiche allegate che non possono che avere l’aura di cure palliative, e senza pretese di miglioramento del proprio essere o apparire, o della propria cultura, perché ogni lettore in proprio sa che sono cose che già vengono da sé.
Qualche consiglio scherzoso dalla rete. Mal di denti? Consigliata Anna Karenina, per via del Conte Vronskij che ne soffriva. Mal di testa? Tutto Hemingway, per i dopo-sbronza, di sicuro. Abulia? C’è Oblomov di Gončarov. Dolori fisici e morali? L’intero catalogo dei romanzi – in Italiano originale due secoli di libri da sfogliare, un’overdose, se tempo ce n’è. Pare che secondo le indicazioni biblioterapiche leggere i libri di Camilleri aiuti gli ansiosi, quelli di García Márquez i depressi, i libri di Pessoa… ?
Ai libri, per fortuna, non è allegato alcun foglietto illustrativo. Chi legge con gusto Céline, Rimbaud, Kafka, Colette, Nietzsche e Lou Salomé, Dostoevskij, Virginia Woolf, De Sade, Jack London… e restando “in Italia”: i classici greci, poi “A”, Arbasino, “B”, Busi, “C”… (varrà la Marchesa Colombi?) dovrebbe forse sentirsi un po’ strano, febbricitante, e cominciare ad avvertire la presenza di un’aureola color inferno attorno alla testa: fortunatamente non è così.
L’unico effetto unanime della lettura di un libro che sia accertabile scientificamente, soprattutto se il volume è imponente ed è stato letto tutto d’un fiato, è un più o meno passeggero offuscamento della vista. Il resto è tutto nelle mani – nella testa – del lettore. La terapia, nei soggetti sani, deve fare prima di tutto i conti col riverbero e l’eco degli altri libri che l’individuo ha già letto. Il foglietto con una somministrazione di titoli individualizzata (se scritto dal medico francese di prima) potrebbe anche essere gradito, ma leggere poi è un’altra cosa. In ogni buon libro ci sono frammenti che ci incontrano, ci parlano, ci feriscono/avvolgono/incantano/illuminano, che suonano una loro musica speciale che non è la stessa che avrebbero suonato per noi ieri, e che non è la stessa che suoneranno per noi riletti domani.
Il corpo a corpo è individuale e spesso non se ne esce vincenti – d’altra parte un buon libro mette sempre in crisi, se si ricerca il rilassamento e il benessere è meglio guardare ai club del tricot.
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