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Laura VicenziLaura Vicenzi
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Interviste

Vajont. Il risveglio delle coscienze

In mostra a Venezia, fino al 25 novembre, la mostra curata dall’architetto Diego Morlin che riporta a galla, nel suo 50°, una brutta pagina della storia italiana

Pubblicato il 10-09-2013
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Elena Pavan

Alle ore 22.39 del 9 ottobre 1963 circa 260 milioni di metri cubi si roccia scivolarono dai pendii del monte Toc all’interno dell’invaso artificiale del Vajont, causando un’enorme onda d’acqua che si abbatté sui sottostanti paesi di Longarone, Castellavazzo e su Erto e Casso. Quasi 2000 le vittime del disastro. Questi i fatti.
Sono molte quest’anno le iniziative volte a rievocare quei momenti. www.vajont50.it/
A Venezia, fino al 25 novembre, è possibile visitare una mostra espositiva che vuole far conoscere, e ricordare, la brutta pagina della storia italiana di cui ricorre quest’anno il cinquantesimo anniversario. L’iniziativa è curata dall’architetto Diego Morlin con Micaela Coletti e Gino Mazzorana, questi ultimi presidente e vicepresidente del Comitato per i Sopravvissuti del Vajont.

Diego Morlin a Ca' Bonvicini nella sala dell'installazione "Giustizia negata"

Diego Morlin ci illustra il progetto che partecipa alla 55^ Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia.

A ottobre saranno passati 50 anni dalla tragedia del Vajont. La mostra che ha curato a Venezia è intitolata “Il risveglio delle coscienze”. E’ un annuncio o un imperativo di cui c’è ancora bisogno?

La mostra, organizzata assieme al Comitato Sopravvissuti, inizialmente aveva un titolo diverso: “Vajont il risveglio del gigante”. Poi si è optato per un cambiamento d’impatto.
Il titolo è forte, perché con il tempo trascorso dalla tragedia c’è il rischio (quasi una certezza) che la gente dimentichi o più semplicemente non conosca e neanche sia stimolata a conoscere.

Quali opere si possono trovare in mostra?

La mostra si sviluppa in quattro sale: nella prima una ricca mostra fotografica fa ripercorrere al visitatore la tragedia di una comunità e di un territorio devastato dalla furia dell’acqua e del fango, un evento in cui sono morte quasi duemila persone.
Nella seconda vi è l’opera “Gioventù violata”, nella terza l’opera “Giustizia negata” e nella quarta vi sono foto che rappresentano il ritorno alla vita del territorio di Longarone e degli altri comuni della vallata coinvolti nel disastro.

Qual è il messaggio più importante che vogliono far passare?

Per quanto riguarda l’opera “Gioventù violata”, in un piccolo fazzoletto di terra, sabbia, detriti ed oggetti raccolti nel luogo della tragedia si sintetizza la drammaticità dell’evento, a mio avviso è un opera che induce alla meditazione, al religioso constatare che la natura è in grado di sprigionare forze alle quali l’uomo non può opporre resistenza come fa di solito, confidando troppo nella sua “onnipotenza”.
La seconda installazione (Giustizia negata) è un grido di dolore da parte di quanti hanno subito la tragedia senza avere giustizia. I cappi che penzolano dal soffitto alludono ad una giustizia che non ha trovato (o non ha voluto trovare) i colpevoli, complice una burocrazia tipicamente italiana e una selva di leggi e norme di vario genere capaci di trovare sempre delle scappatoie.

L’esposizione è aperta dal 31 maggio e chiuderà il prossimo 25 novembre. Sono stati molti i visitatori?

Se mi è permesso affermarlo, nell’ambito della Biennale di Venezia la mostra che riporta alla luce la tragedia del Vajont, della quale ricorre il cinquantesimo, si ritaglia, con forza, uno spazio nel Palazzo Ca’ Bonvicini, a poca distanza dal Museo d’Arte Moderna di Ca' Pesaro. Palazzo Ca’ Bonvicini che ospita anche il padiglione del Costa Rica.
Le presenze di visitatori variano dai 100 ai 150 giornalieri mentre i commenti si possono dividere in due grandi categorie, la prima riguarda la giustizia, quella con la G maiuscola, la giustizia di cui si parla sempre in Italia, forse troppo, la giustizia in questo specifico caso, clamorosamente negata.
La seconda categoria di commenti punta il dito sull’eccessiva durezza o crudeltà che deriva dalla visione dei cappi che penzolano dal soffitto.
A mio avviso a volte per scuotere le coscienze servono messaggi incisivi che lascino il segno, altrimenti tutto passa e finisce nel dimenticatoio con la stessa naturalezza con la quale si sfogliano, svogliatamente, i libri di storia.
Fatti come la tragedia del Vajont, hanno sconvolto il nostro passato e dovrebbero "stare a memoria”, affinché non abbiano mai più a verificarsi.

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