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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Interviste

Il caso, l'istinto e... la dolce attesa

Intervista ai due “lomografi” che allestiranno il Color Café con le loro opere

Pubblicato il 21-07-2012
Visto 2.734 volte

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Con un fenomeno così di tendenza, portato al successo da un'applicazione per smartphone, viene facile confondere l'arte con il semplice divertissement. La lomografia è arte?
Serena Viola Re Se tu riesci a dirmi cosa è e cosa non è arte, riesco a risponderti! Ci sono anche nel passato correnti, come il dadaismo, condizionate dal fattore della "casualità", quindi non vedo perché anche la lomografia non possa esser considerata tale. Creare dell'arte significa creare un messaggio, un'emozione… ed è quello che ogni fotografo professionista tenta di fare, anche quando ha in mano una macchina "giocattolo".

Cosa significa quindi tenere in mano una macchina lomografica?
Francesco Frusta Reffo La mia Holga 120 CFN è un succedaneo di quel pennello che, da piccolo, avevo provato ad usare per dipingere la realtà, ma senza successo. Ora ho finalmente a disposizione tavolozza, tela e pennelli in formato “concentrato”, tutti all’interno della macchinetta. E i risultati sono decisamente migliori.

In che modo ti sei avvicinato a questa tecnica fotografica?
Serena Viola Re ho visto le prime foto lomografiche quasi per caso, da un amico, all'incirca tre anni fa. Mi stavo interessando a delle macchine polaroid, e lui mi ha detto "perché invece non ti lanci sulla lomo?". Ero alla disperata ricerca fotografica di uno stile che riuscissi a sentire più personale, fuori dagli schemi… stanca di seguire una tecnica e di cercare sempre la perfezione, e l'imprevedibilità e gli effetti che queste macchine riescono a rendere mi hanno subito affascinata. Da cosa nasce cosa, e poco dopo ho comprato la mia prima fotocamera lomo.

Quali esperienze ti hanno “cresciuto” a livello fotografico? E da quanti anni sei lomografo?
Francesco Frusta Reffo Sono appassionato di lomografia da un paio d’anni. Conosciuta grazie ad un’amica (Claudia Barato, in arte Riorg) ed alle sue splendide foto viste per caso spulciando gli album di Facebook. Le guardavo e mi dicevo: anch’io voglio farle così! E’ lei che mi ha introdotto a questo mondo e che, praticamente, mi ha insegnato tutto.

Cosa rappresenta per te la lomografia e quindi essere un lomografo?
Serena Viola Re Lomografia per me è dimenticarsi di qualsiasi regola ed abbandonarsi al puro istinto. E' come avere tra le mani una cosa che non puoi manovrare, ma che è complice in quello che vai a scattare. Come se ci fossero due anime che interagiscono nella foto: una è quella più o meno ragionata di chi sta dietro l'obiettivo, l'altra è la casualità.
Francesco Frusta Reffo La possibilità di immergermi, in qualsiasi momento della giornata, in un mondo nuovo ed etereo, fatto di tinte accese e di soggetti fantastici proprio perché imperfetti.

Come ti senti ad essere un "fantasma dell'analogico" in questo mondo ormai digitalizzato?
Serena Viola Re Dover aspettare per vedere delle foto è una cosa a cui non siamo più ormai abituati. Essendo giovane, come la maggior parte dei miei coetanei, il mio primo approccio concreto alla fotografia è stato tramite il digitale, e quindi all'analogico ci sono passata successivamente. L'abitudine era quella di vedere immediatamente lo scatto; la routine che si crea invece fotografando con la pellicola (finire il rullino - sviluppare - stampare) è una sorta di "dolce attesa”. Averle poi in un sol momento, tra le mani, è un'emozione completamente diversa e molto più forte. D'altronde c'è chi dice che la pellicola è romantica, e il digitale democratico.

Cosa ha cambiato questo stile nel tuo modo di vedere la fotografia?
Francesco Frusta Reffo Praticamente… tutto! Ho riscoperto il valore di una fotografia, la sua unicità; il gusto della trepidazione, nell’attesa di vedere i risultati del proprio lavoro; la gioia di una foto “bella così com’è”, speciale senza bisogno di ritocchi e manipolazioni; la sfida continua della sperimentazione.

E quindi è vero "the future is analogue"? Ci aspetta un ritorno alle origini?
Serena Viola Re La fotografia ormai per la sua accessibilità sta diventando sempre più banale, con immagini prive di "sentimento". Moltissimi fotografi professionisti usano tutt'ora l'analogico, e preferiscono caricarsi la borsa dei rullini e passarsi ore in camera oscura piuttosto della comodità di una macchina digitale, perché l'approccio, l'attitudine è completamente diversa quando hai a che fare con una pellicola. Speriamo che il futuro sia analogico, o se non altro che ci sia un ritorno del sentimento che nasce quando si crea un'intesa tra il fotografo e la camera, cioè, quando nasce una passione vera.

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