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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Cinema

A tu per tu con Livio Pacella: dal teatro, al cinema, alle serie tv

Un anno ricco di impegni per l’attore vicentino, vincitore di un premio come migliore interprete a Livorno e impegnato sul set di un film con Chris Pine

Pubblicato il 28-10-2024
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Brassaï. L’occhio di Parigi

Non è ancora tempo di bilanci, ma questo 2024 è stato un anno denso di impegni importanti per Livio Pacella, attore, autore, regista e creatore di realtà teatrali vicentino (è nato a Taranto) che ha calcato i palcoscenici fin da giovanissimo e che sta esplorando da alcuni anni anche quelli a dimensione “solo per immagini” del cinema e delle serie tv.
Impegnato fino a questo mese di ottobre in quattro diverse produzioni cinematografiche e televisive di rilievo in uscita o in lavorazione, in un recente passato Pacella è stato protagonista e co-sceneggiatore di un film pieno di poesia e pluripremiato, Le Guerre Horrende (di Luca Immesi e Giulia Brazzale, disponibile su Prime), e poi impegnato nella realizzazione, o come interprete, di vari prodotti d’autore dal riconosciuto valore artistico.
In questi giorni ha ricevuto il premio di miglior interprete per Mosto, un drammatico corto firmato da Vernante Pallotti e il bassanese Daniele Zen, opera a sua volta vincitrice nella categoria “Weird” al rinomato FIPILI Horror Festival di Livorno.

Livio Pacella


In merito all’anno in corso, in una breve carrellata da palinsesto utile anche a navigare tra i gusti per l’intrattenimento italiani, Pacella compare in un episodio nella seconda stagione di La legge di Lidia Poët, serie Netflix italiana diretta da Matteo Rovere e Letizia Lamartire.
Prodotto televisivo italiano più visto del 2023, lo show tornerà sulla nota piattaforma di streaming il 30 ottobre. Il ruolo che ricopre è quello di uno spietato usuraio, che è solito usare chiodi e martello per ricordare le scadenza ai suoi debitori. Pluripremiato, l’avvincente dramma storico girato a Torino e ambientato nell’Ottocento ha appassionato oltre che per la sua veste “in giallo” anche per essere un inno contro la velleità e il conformismo: protagonista è la prima donna in Italia a entrare nell’Ordine degli Avvocati (Matilda De Angelis), impegnata a indagare con successo su alcuni omicidi mentre lotta contro un mondo chiuso, riservato agli uomini.
È interprete in un episodio di Stucky, nuova serie poliziesca in sei episodi in arrivo sempre dal 30 ottobre su Rai2 basata sui romanzi gialli di successo dello scrittore Fulvio Ervas — che è stato ospite della Libreria La Bassanese venerdì 25 ottobre (qui la nostra intervista: shorturl.at/8dVlE).
Il ruolo di Pacella è quello di un abituale avventore di una tipica osteria veneta, che spiega all'ispettore Stucky (dall’omonimo edificio veneziano), interpretato da Giuseppe Battiston, vita, morte e miracoli di una famiglia del paese.
Tra le serie tv che non hanno bisogno di presentazioni, l'attore è nel cast di Un passo dal cielo 8, fiction entrata nel cuore dei telespettatori anche per la bellezza dei luoghi in cui è ambientata. Qui è impegnato nel ruolo dell'indisponente fratellastro di una ragazza trovata morta. I nuovi episodi saranno in onda in prima serata su Rai1 (in uscita nel 2025).
Di recente ha partecipato nel ruolo dell’autista di un gangster al nuovo progetto della regista milanese Carolina Cavalli: Il rapimento di Arabella. Si tratta del secondo lungometraggio firmato dalla giovane regista e sceneggiatrice, astro nascente nel panorama del cinema italiano.
Accanto alla protagonista, interpretata dall’attrice romana Benedetta Porcaroli, c’è il celebre attore Chris Pine (star statunitense, a sua volta regista, produttore e sceneggiatore, assai celebre — tra le altre cose — come protagonista del reboot di Star Trek, di J. J. Abrams).

L’occasione in particolare di quest’ultima notizia striscia invitante a porre alcune domande sul mondo dello spettacolo, anche locale, e la sua attualità.

“Il cinema è morto. Il futuro è nelle serie”. Così, decontestualizzata, ha l’assetto di un’affermazione apodittica. Ad pronunciarla fu anni fa Vitaliano Trevisan — scrittore e drammaturgo con cui Pacella per diversi anni collaborò intensamente. Volendo contestualizzare (tenuto conto del suo ruolo di collaboratore in Mondoserie.it)?
Premesso che Vitaliano è spesso e volentieri apodittico, e premessa anche l'articolata e vulcanica realtà di Mondoserie (www.mondoserie.it), concordo in pieno. La serialità televisiva riprende un concetto cardine della narrazione, qualcosa che ha a che fare con il tempo e la ripetizione, elementi in comune con opere immortali che vanno da Iliade e Odissea a La Divina Commedia, all’Orlando Furioso… I film, a meno che non siano fortemente autoriali, sono costretti per lo più a stereotipi e cliché. L'aspetto negativo, invece, è che si va perdendo la ritualità costituente l'esperienza di andare al cinema, in favore di un consumo domestico e frenetico.

Vari titoli tra quelli nominati o in uscita hanno panorami veneti. C’è molto fermento creativo sul territorio. Il problema per molti prodotti artistici, in un’attualità che circola sulle orbite dei cellulari, rimane quello della distribuzione?
Posso dirti che ho la sensazione in Italia vi sia da tempo immemore la tendenza ad adagiarsi sempre sugli stessi meccanismi, perché questi hanno già dato prova di funzionare. Mancano l'audacia, il rischio, la scommessa, ovvero ciò che in fondo rende l'arte eccitante.

L’uomo di teatro deve necessariamente avere una componente magnetica, istrionica. Recitare per l’occhio della telecamera (penso anche alla pratica ormai consueta dei self-tape) è molto diverso?
Direi proprio di sì. Sul palcoscenico devi caricarti di un'energia quasi sovrannaturale, perché devi veicolare fisicamente l'attenzione degli spettatori su di te. Per la telecamera invece solitamente funziona lo svuotarsi — di energia, di intenzioni, di significati — è l'unico modo per risultare verosimili.

Domanda non da gossip ma da tappeto rosso: com’è stata l’esperienza di girare con una star hollywoodiana?
Ho avuto la fantastica occasione di girare tre-quattro scene con Chris Pine, nel film Il rapimento di Arabella. Innanzitutto lui — come immagino siano tutti gli attori e le attrici americane — è terribilmente professionale. Con Battiston, ad esempio, si chiacchierava fino ad un secondo prima del ciak. Con “Crispino” (così ribattezzato simpaticamente dalla troupe) era impensabile. A proposito: lui ha recitato in italiano, lingua che stava studiando da più di un anno. E una volta che abbiamo finito di girare a mezzanotte e un quarto, sforando così le otto ore previste di quindici minuti, il suo sarcastico commento è stato: «Otto ore? Italia, bella vita!».

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