Connessioni contemporanee
Un dialogo col presente
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Alessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it
Pubblicato il 27-08-2025
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Da Vasco Rossi a Tina Anselmi, passando per la Iron Lady Margaret Thatcher.
Non mancano di certo i riferimenti e le citazioni “mirate” nel comunicato stampa trasmesso in redazione dal consigliere comunale di Bassano per Tutti - Europa Verde Paolo Retinò.
L’esponente di minoranza, in versione Paolo Rossi - non il grande Pablito ma una sorta di immedesimazione a tema col Blasco nazionale -, ricorre al titolo di una delle tante celebri canzoni di Vasco Rossi (“Cosa succede in città”) per proporre una riflessione su quello che è appunto successo a Bassano del Grappa, la città dove può anche accadere - perché è realmente accaduto - che un individuo ti accoltelli alla schiena per strada perché gli hai negato una sigaretta. Anche se un fattaccio del genere sarebbe potuto succedere ovunque, non avendo purtroppo l’umana follia restrizioni geografiche.
Paolo Retinò (archivio Bassanonet)
L’analisi retiniana prende spunto dalla vicenda di cronaca bassanese, collegandola all’altra aggressione di agosto in quel di Treviso ai danni del Dg dell’Ulss 7 Bramezza, per allargare il tiro sulla questione della “popolazione ai margini”: quel complesso di fragilità individuali che sono a concreto rischio di tramutarsi in pericoli pubblici senza che la politica abbia mai dato risposte su una reale prevenzione dei “comportamenti devianti e antisociali”.
Ovvero quegli scompensi alimentati dallo stesso disagio sociale che possono poi sfociare, se non inseriti in sistematici percorsi di presa in carico socio sanitaria e di recupero, negli atti di violenza improvvisi di turno.
In definitiva, per Retinò la sicurezza delle persone non dipende da un approccio “esclusivamente securitario” ma - intervenendo all’origine del problema - da politiche di coesione e solidarietà sociale, come dal testo che segue.
COMUNICATO
Cosa succede, cosa succede in città?
L’aggressione all’insegnante del Brocchi, con la sua vita salva per un soffio, è avvenuta a pochi giorni da quella al direttore generale dell’ULSS7.
Due episodi distinti, ma accomunati da un tratto comune: la violenza brutale e immotivata degli aggressori.
E allora, cosa succede in città?
Nulla di diverso da ciò che accade nel resto d’Italia e d’Europa: un aumento della violenza quotidiana, che la società e la politica non riescono a contenere.
Non sono episodi singoli, ma spie e segnali di una perdita valoriale profonda, di un incattivimento della società che in alcuni - spesso già al limite del proprio equilibrio - scatena gesti come quelli visti a Bassano, in altri degli atti di autodistruzione, come il giovane morto dopo essersi avvelenato in diretta su internet per una challenge.
E la politica, che fa? Da anni specula su questi episodi, incapace di proporre soluzioni. Abbiamo visto quest’estate un noto ministro commentare con sdegno l’omicidio stradale di Milano causato da quattro minorenni di etnia Rom, salvo tacere prima e dopo di fronte a femminicidi e fatti di cronaca violenta commessi da italiani.
Questa memoria selettiva mette in luce un problema: la sicurezza viene gestita da anni come strumento politico, con un approccio esclusivamente securitario.
Ma non possiamo immaginare una città come Bassano controllata h24 dalle forze dell’ordine.
Occorre avere la forza, come soggetti politici a tutti i livelli, di compiere scelte efficaci per la sicurezza delle persone. Una l’ha proposta in questi giorni il consigliere Renzo Masolo: rilanciare e potenziare i servizi psichiatrici e psicologici sul territorio, per curare e sostenere le fragilità prima che diventino pericolose.
Un’altra scelta, inevitabile, riguarda il miglioramento delle condizioni di vita: la difficoltà di accedere a una casa, il lavoro povero e precario, le fatiche quotidiane, la permanente lotta tra poveri e più poveri, le disuguaglianze crescenti tra pochi che hanno troppo e una larga parte della popolazione che vive ai margini.
Tutto questo non fa che aumentare il rischio di comportamenti devianti e antisociali, soprattutto tra i giovani che faticano a intravedere un futuro per cui impegnarsi.
Se la politica avesse davvero a cuore il bene della comunità, smetterebbe di speculare solo quando conviene e tratterebbe questi episodi per ciò che sono: tasselli di un quadro complesso che ci sta rendendo sempre più individualisti e cinici davanti alla violenza e alla morte.
La tendenza è sempre più netta: ciascuno sembra pensare prevalentemente a sé. Sembra quasi realizzarsi la profezia di Margaret Thatcher (“There is no such thing as society. There are individual men and women, and there are families” - “Non esiste la società, ma solo individui e famiglie”).
E invece dovremmo far vivere l’altra profezia, quella utopica ma concreta della nostra Tina Anselmi, a quasi cent’anni dalla sua nascita: un servizio sanitario e sociale universale, che si prenda cura di tutti come in ogni comunità di umani dovrebbe avvenire.
Non si risolverebbe ogni problema di sicurezza, ma si renderebbe la nostra città più coesa e solidale, capace di (ri)generare una società giusta che riduce le disuguaglianze e stempera quel conflitto che brucia sotto la cenere della nostra apparente tranquillità.
Diversamente, rischiamo un “tutti contro tutti”. Pensiamoci.
Paolo Retinò - Consigliere comunale