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Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Libri

Modalità lettura 3 - n.11

La recensione di Chi dice e chi tace, presentato alla Libreria Palazzo Roberti da Chiara Valerio

Pubblicato il 24-03-2024
Visto 5.299 volte

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Modalità lettura in questo numero si occupa di un libro presentato lo scorso martedì 19 marzo alla Libreria Palazzo Roberti — del libro e di quanto ne ha raccontato la sua autrice, Chiara Valerio.
Il romanzo, che è stato proposto per il Premio Strega 2024 da Matteo Motolese, è edito da Sellerio e si intitola: Chi dice e chi tace (Sellerio 2024, 288 pagine, 15 euro).
“Storia nera di personaggi, indagine su una provincia insolita, ritratto di donne in costante mutazione”, recita il risvolto di copertina.

Chiara Valerio, con Raffaella Mocellin, a Palazzo Roberti

Un giallino, lo ha definito scherzosamente Raffaella Mocellin nelle vesti di intervistatrice, a sottolineare che il centro di gravità attorno al quale orbita il romanzo non è propriamente una morte da indagare nei suoi risvolti misteriosi, anche se trama e ordito parlano di questo. Tante spie disseminate nel testo, ad anticipare quella che sarà la conclusione del “caso”, fanno pensare che l’aspetto del giallo sia stato lasciato di proposito in secondo piano, soprattutto in un romanzo che ha un titolo come questo (che non poteva essere quello originario, svela l’autrice nelle note finali).

Tra i personaggi principali rientra a pieno titolo Scauri, paesino laziale stanziato tra oleandri e pini marittimi, uno di quelli che lievitano d’estate. Scauri è la frazione di un paese situato sulla Via Appia, un'appendice e “un posto né bello né brutto, con una sua grazia scomposta”, è vicino eppure lontanissimo da Roma, quando le distanze non si misurano in orari ferroviari — è il paese natale di Chiara Valerio.
I luoghi esercitano una sorta di pressione identitaria su coloro che ci vivono, che volenti o nolenti, che decidano di avvertirla o meno, vi hanno a che fare. Il paese (in forma analoga i microcosmi di diversa caratura che ci circondano) narra una propria autobiografia in cui qualche parte da vivi (e ambiremmo anche da morti) recitiamo.
Un piccolo centro abitato rappresenta una sorta di bolla sociale dove ci si abitua a mediare, dove si praticano quotidianamente esercizi di tolleranza al fastidio e quindi una sorta di educazione al rispetto (frasi rubate a Valerio, che si è definita una ladra di parole, come tutti gli scrittori che leggono, del resto). Il “paese” è un luogo ideale dove lo sguardo dell’altro viene inibito da un vicendevole controllo sociale, aspetto che sembra parlare di pace, che non abbuona però dall’eventualità di essere feriti anche a morte da sguardi e parole.
Tante donne abitano questo racconto, che si svolge negli anni di X-Files e che ha come protagoniste: Vittoria, la misteriosa morta per acqua; Mara, la sua amata e Lea, l’avvocato sposato con prole — due femmine — che diventa investigatrice. Tre personaggi principali perché “le coppie sono fatte di tre persone” — infilato nel flusso in piena della narrazione a Palazzo.
A un certo punto tra le pagine, le due bambine-figlie giocano con delle Barbie in una mimata foresta pluviale congolese, una coi capelli rasati per impersonare Ken: un teatro nel teatro.
La natura, il mondo verde e gli animali, abitano il territorio del libro quasi quanto le persone, e conducono esistenze proprie, in particolare nella corte di Costantinopoli (è battezzato così il giardino della villa di Vittoria).

Si parla d’amore nel romanzo, di relazioni amorose e di silenzi: dove prevale il non-detto si abbassa la percezione dell’esattezza, si innalza il potenziale nebbioso, fumoso, e si procede in un territorio a margine, liminale, forse il solo dove può abitare l’amore — naturalmente in affitto e con contratto di locazione transitoria, il resto è altro.
Valerio nel corso della presentazione ha accennato al ruolo importante delle differenze di classe nelle relazioni amorose, l’analisi di questo spunto nel libro si trova ribadita per bocca di un avvocato in quello che è di sicuro uno dei passaggi più disincantati ma anche più dolorosi.
“Premura e seduzione hanno gli stessi gesti: farmaco e veleno”: basti questa frase come invito alla lettura del libro e a ruota dell’opera omnia di Chiara Valerio, alla ricerca di pagine che ne parlino di più e ancora — il dubbio che l’abbia “copiata” lo ha instillato lei per prima, quindi è del tutto assolta.
Che entrambe, premura e seduzione, abbiano a che fare col controllo, una pretesa d’azione così umana da intenerire, è un’imputazione già abbastanza penale.

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