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Direttore Responsabile
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Attualità

Una lacrima sul viso

Ha superato il traguardo dei 16.000 visitatori la mostra fotografica di Dorothea Lange al Museo Civico. Considerazioni su un nuovo successo della direzione museale

Pubblicato il 19-01-2024
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Elena Pavan

Casale sul Sile, provincia di Treviso, prima metà di novembre 2023.
Cena di classe (scolastica) del vostro umile cronista. Una mia compagna di Liceo, residente a Mogliano Veneto, mi dice: “Ho letto che c’è una bella mostra fotografica a Bassano del Grappa, con le foto dell’America della Grande Depressione, andrò sicuramente a vederla.” Io non gliene avevo parlato, è stata lei a dirmelo, sua sponte, sapendo che arrivavo da Bassano.
Quella mostra, alla cui inaugurazione ero stato presente il 26 ottobre, contestualmente alla cerimonia di inaugurazione del nuovo allestimento del Museo Civico, era aperta al pubblico da pochi giorni e mi aveva fatto piacere che la notizia avesse fatto presa in altre parti della Regione.

Particolare della foto del manifesto della Migrant Mother di Dorothea Lange con le gocce di pioggia (foto Alessandro Tich)

E quella mostra, ovviamente, altro non è che “Dorothea Lange. L’altra America”.
Aperta al pubblico fino al prossimo 4 febbraio, ne ho già ampiamente scritto a suo tempo e non serve che ne approfondisca nuovamente i contenuti.
Ne ricordo solo i fondamentali: organizzata da CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia di Torino assieme ai Musei Civici di Bassano del Grappa, l’esposizione rappresenta un eccezionale documento antologico dell’opera fotografica di Dorothea Lange, l’artista dello scatto che ha raccontato per immagini l’America “degli ultimi”, travolti dagli sconvolgimenti della loro epoca, dagli anni Trenta del Novecento alla Seconda Guerra Mondiale.
Disoccupati e indigenti nelle città, emarginati sociali, agricoltori strappati alla loro terra e spediti senza un futuro all’Ovest dal disastro ecologico della grande siccità, americani di etnia giapponese internati nei campi di prigionia dopo l’attacco nipponico di Pearl Harbor.
Quelli della Lange sono scatti professionali, in quanto principalmente realizzati per il progetto governativo FSA (Farm Security Administration), coordinato dal fotografo statunitense Roy Stryker e finalizzato ad indagare le condizioni di vita degli agricoltori costretti ad emigrare, in cerca di lavoro, dalle loro terre diventate improduttive.
Ma ogni foto è molto più di un puro documento visivo: è un’immagine di denuncia sociale che trabocca di empatia per gli sfortunati connazionali e di umanità.
Lo sguardo della fotografa del New Jersey non ritrae, semplicemente: compartecipa.
E in quanto a compartecipazione, la risposta del pubblico non si è fatta mancare.
Proprio in queste ore, “Dorothea Lange. L’altra America” ha infatti ampiamente superato il traguardo dei 16.000 visitatori.
Ed oggi, in questo giorno della festa di San Bassiano che celebra la cultura della città, è un dato che va opportunamente sottolineato.
Già nel mio primo articolo sulla mostra fotografica avevo rimarcato la grande attualità delle opere esposte. Sono istantanee della prima metà del secolo scorso, riferite ai problemi sociali di un altro continente, ma parlano di temi purtroppo attualissimi anche oggi e a livello globale: crisi climatica, crisi economica, migrazioni, discriminazioni, ingiustizie provocate dalle guerre.
E avevo anche dato merito alla direttrice dei Musei Civici Barbara Guidi di avere colto l’attimo, come una brava fotografa, di proporre questa occasione di arricchimento culturale assieme a CAMERA e all’amministrazione comunale.
Dopo il grande successo della retrospettiva al Museo Civico dedicata a Ruth Orkin, altra maestra americana del fotoreportage, la risposta del pubblico alla mostra di Dorothea Lange non fa che confermare la lungimirante visione della direzione museale nell’apertura alle forme espressive anche contemporanee.
A proposito: ieri mattina, di fronte alla statua della Beata Giovanna, sono passato davanti ad uno dei totem che pubblicizzano in città l’esposizione della Lange con l’immagine-simbolo della Migrant Mother, la madre migrante “di sette bambini affamati” immortalata nel 1936 in un campo di raccoglitori di piselli a Nipomo, California, i cui segni tracciati sul viso dalle sofferenze della vita la fanno apparire più vecchia dei 32 anni di età riportati nella didascalia della fotografa.
A Bassano era piovuto e sul volto della madre migrante stampato sul manifesto di quel totem erano rimaste le gocce di pioggia, quasi a provocare la suggestione del sudore sulla fronte e delle lacrime dagli occhi.
Una lacrima sul viso: ma forse, questa volta, visto il successo di pubblico e di critica tributato all’“altra America” presentata a Bassano, è una lacrima di gioia.

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