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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it

Attualità

Urban Cowboys

Dalle stelle alle stalle: la storica Fiera Franca del bestiame di Bassano si conferma espressione di un mondo di antichi riti e tradizioni ormai in via di estinzione

Pubblicato il 05-10-2017
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Brassaï. L’occhio di Parigi

L'odore di stallatico, propagato dal leggero vento, arriva fino alla leggendaria (si fa per dire) rotatoria a fagiolo all'incrocio tra viale De Gasperi e via del Cristo.
Qualche centinaio di metri più avanti, il profumo della natura bovina lascia il posto all'olezzo, ugualmente caratteristico, dei panini onti distribuiti a profusione tra una bancarella e l'altra. Ai due ingressi dell'area della manifestazione, le auto della Polizia Locale e della Polizia di Stato poste di traverso sull'intera carreggiata di viale De Gasperi bloccano l'accesso agli altri mezzi a motore, secondo le nuove procedure di prevenzione anti-terrorismo.
Ebbene sì: non ce l'ho fatta a resistere. Anche quest'anno, trovandomi oggi a Bassano, non posso fare a meno di fare una capatina dalle mie mucchine esposte al pubblico per la Fiera Franca d'Autunno, la storica mostra-mercato del bestiame che rappresenta la tradizionale anteprima della grande invasione degli ambulanti di tutta Italia, in centro storico, nel primo weekend di ottobre. Come sempre, è una rara occasione per osservare da vicino un mondo in via di estinzione: quello del mercato delle vacche (ma anche dei buoi e dei cavalli), retaggio della civiltà contadina che fu.

Foto Alessandro Tich

Gli Urban Cowboys ci sono ancora: allevatori che arrivano in città per mettere in esposizione i loro capi di bestiame più belli nella speranza di concludere qualche affare.
Ci sono anche i mediatori, sempre più avanti con l'età, chiamati a favorire le compravendite degli animali a strette di mano e tocchi di bastone. Mestieri antichi, sempre meno presenti nel computo della domanda e dell'offerta della società 2.0.
Non mancano i “personaggi”: figure bizzarre e macchiette di tutti i tipi che aggiungono colore alla varia umanità che si incontra nell'occasione.
Quelli che invece a quanto pare non ci sono, o ci sono in misura fin troppo limitata, sono i compratori. Ovvero i primi destinatari del mercato compreso all'interno del ranch allestito sull'asfalto. Pochi affari e pochi schei: è sempre la solita storia, che si ripete negli ultimi anni ad ogni edizione della Fiera come un monotono mantra della crisi zootecnica.
Gli affari vanno meglio per le bancarelle commerciali che si rivolgono al pubblico generico vendendo cibo da strada, oggetti e ninnoli di ogni tipo. Ma per il resto, sono sempre e ancora vacche magre.
Alle 11.40, mentre sul palco delle autorità è in corso la cerimonia di premiazione del tradizionale concorso del “Bue Grasso”, c'è già chi carica indietro sul camion i bovini esposti (vedi foto) per ritornare a casa. C'è molta gente come al solito, ma non c'è la grande folla di curiosi, di scolaresche e soprattutto di addetti ai lavori che negli anni passati rendeva difficoltoso il solo camminare tra i capi in esposizione.
Colpiscono, soprattutto, i posteggi per il bestiame rimasti vuoti: centinaia di metri di funi collocate sulla aiuola spartitraffico in mezzo al viale senza che vi sia legato neanche un vitellino. Non si tratta di una novità, confrontando le edizioni più recenti, ma è sempre un triste vedere. Così triste che dopo qualche minuto decido di girare i tacchi ed andarmene via. Portandomi dietro la sensazione di una Fiera che vanta una tradizione plurisecolare ma che non riesce più a stare al passo coi tempi.
È il destino delle cose, seppure autentiche, che da antiche diventano anacronistiche: quello di cadere dalle stelle alle stalle.

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