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			La pandemia e i lockdown, passati e futuri, non fermano i progetti di espansione delle start up bassanesi del vino. Negli ultimi anni nel territorio della Pedemontana c’è stato un fiorire di nuove realtà vitivinicole che cercano di ritagliarsi uno spazio nel sempre più strategico mercato dei vini biologici, domestico e internazionale. 
A Romano d’Ezzelino sta entrando a pieno regime l’azienda agricola Cà Apollonio, creata sulle intuizioni di Maria Pia Viaro e di Massimo Vallotto. 
Una realtà che punta tutto sui vitigni resistenti, i cosiddetti “Piwi”, e sulla sostenibilità ambientale della filiera produttiva: dalla “chimica zero” all’attenzione per il consumo d’acqua, fino al monitoraggio del carburante utilizzato dai trattori che lavorano tra i vitigni. Rappresentano la più grande tenuta agricola europea di vitigni “Piwi”. Il 2019 è stato l’anno della prima “micro” vinificazione, con poco più di 300 bottiglie confezionate, per testare la qualità e capire le potenzialità delle diverse uve. «In queste settimane di grande incertezza stiamo pianificando il futuro per quando ritornerà “il bel tempo”. 
		
 
		
			Quest’anno il raccolto si attesta sui 140 quintali di uva, con una produzione di 12-14.000 bottiglie. In 2-3 anni contiamo di portare a 7 ettari la superficie vitata per una capacità produttiva di 60-70.000 bottiglie», spiega l’architetto Massimo Vallotto. La matrice che accomuna la nuova generazione di vignaioli bassanesi è l’attenzione spasmodica alla sostenibilità ambientale e i progetti ambiziosi di far conoscere il vino bassanese anche in giro per il mondo. 
«A giugno dell’anno prossimo presenteremo due vini bianchi fermi, a fine 2021 uscirà invece un rosso di cui siamo molto orgogliosi. Stiamo perfezionando i canali della rete distributiva, il nostro target non sarà la Gdo, abbiamo scelto di affidare il nostro marketing ai sommelier e ad alcuni testimonial del settore, tra cui il brand ambassador André Senoner». 
Per Cà Apollonio saranno mesi di consolidamento anche della parte prettamente enologica della cantina, grazie all’aiuto di Nicola Biasi, uno dei migliori professionisti del panorama italiano.  «Andremo a privilegiare, almeno per il 60%, la spumantizzazione: il vino sarà pronto tra due anni e mezzo, così facendo dovremmo “scavallare” la crisi economico-sanitaria del Covid». 
A Mussolente, al confine con il trevigiano, sta prendendo forma la “creatura bio” di Nicola Brunetti e della moglie Giulia Zanesco. L’azienda agricola Calalta, 5 ettari di vigneto, nasce in origine dalla passione del nonno di Nicola, il grande industriale del settore della plastica Sergio Brunetti. 
«Dopo aver piantato ex novo tutti i vigneti, la partenza vera e propria di Calalta è stata nel 2017, di fatto con i tempi del vino siamo ancora a tutti gli effetti una start up. La nostra filosofia è semplice: agricoltura sostenibile e pochissimo intervento umano. È stata una buona annata, 250 quintali di uva contro i 180 dello scorso anno, record per Cabernet Franc e Merlot», osserva Nicola Brunetti. 
Attualmente Calalta produce 15.000 bottiglie all’anno: nel 2019 ha esportato circa il 40% del fatturato all’estero, grazie ad una serie di contatti mirati in Canada e a New York negli States. I due vini “Mente Libera” e “Davvero” hanno estimatori anche nella Capitale: sono stati inseriti di recente nella carta vini di “Zia” a Trastevere, ristorante guidato dallo chef emergente Antonio Ziantoni. 
«La chiusura serale dei ristoranti sarà una mazzata, per fortuna abbiamo una serie di nuovi ordini dall’estero, in Europa ultimamente lavoriamo con l’Olanda e la Norvegia. L’export è determinante: mediamente ci garantisce ordini più rilevanti e pagamenti quasi immediati, e soprattutto conta meno la “geografia” e molto di più le caratteristiche organolettiche del vino». 
A Semonzo, in un contesto meraviglioso alle pendici del Grappa candidato a diventare “riserva della biosfera” sotto l’egida Unesco, l’azienda agricola Tenuta le Risere si sta ritagliando una nicchia importante nel segmento del prosecco “bio” di qualità. 
I cugini vignaioli Orfeo Cecchin e Nicola Cenere, con l’utilizzo della vendemmia manuale e senza nessun trattamento chimico, attualmente gestiscono una produzione di 15.000 bottiglie all’anno. «Contiamo di arrivare  - precisa Orfeo Cecchin - nell’arco di un triennio a 50.000 bottiglie, un volume che ci permetterà di cogliere le opportunità che ci sono fuori dal mercato italiano. Lavoriamo sul biologico, diciamo che siamo “tendenti” al biodinamico, non vogliamo trattamenti chimici durante la vinificazione e nemmeno prima dell’imbottigliamento. Oltre all’attenzione per la qualità dell’uva, in prospettiva ci concentreremo sempre di più sul versante “bio” della nostra piccola oasi naturale che ci ospita: il nostro fiore all’occhiello è lo specchio d’acqua in prossimità dei vigneti che favorisce una maggiore biodiversità di insetti e piante».		
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