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Alessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it
L'eru dito
La denuncia di Vittorio Sgarbi su Facebook: alla Gipsoteca di Canova a Possagno turista austriaco si siede sul gesso della Paolina Borghese per farsi un selfie e spezza le dita alla scultura
Pubblicato il 01-08-2020
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Questi sì che sono sgarbi all'arte, altro che capre e cavoli.
È accaduto al Museo e Gypsotheca (o Gipsoteca) Antonio Canova di Possagno.
Un turista austriaco ha voluto farsi un selfie con la Paolina Borghese, il modello in gesso dell'importante scultura in marmo conservata alla Galleria Borghese a Roma, si è seduto accanto alla celebre statua e le ha spezzato le dita del piede. L'episodio viene denunciato dal presidente della Fondazione Canova Onlus di Possagno Vittorio Sgarbi, tramite un comunicato diffuso dal suo ufficio stampa e pubblicato sulla sua pagina Facebook.
Il modello in gesso della Paolina Borghese al Museo e Gypsotheca Antonio Canova di Possagno. Foto Alessandro Tich - archivio Bassanonet
“Dopo la riapertura dei musei, e tra questi il Museo Gipsoteca di Possagno - racconta Sgarbi - si registra un episodio clamoroso, che non viene da visitatori italiani, né da extracomunitari, ma da un incosciente turista austriaco che ha ritenuto di mettersi in posa per una foto di opportunità sedendosi sulla Paolina Borghese, spezzandole le dita del piede.”
“Chiedo chiarezza e rigore alle forze dell’ordine e alla magistratura - attacca il presidente di Fondazione Canova - individuando con gli strumenti di sicurezza il vandalo incosciente, e non consentendogli di rimanere impunito e di rientrare in patria. Lo sfregio a Canova è inaccettabile”.
L'episodio è accaduto ieri, venerdì 31 luglio. Il turista straniero autore del gesto, una volta provocato il danno, è fuggito ma è stato immortalato dalle videocamere di sorveglianza del museo. Fin qui la notizia, che ha inevitabilmente suscitato clamore.
Stiamo parlando infatti di una delle più acclamate sculture di Canova, realizzata per il principe Camillo Borghese tra il 1804 e il 1808: Paolina Bonaparte Borghese, sorella di Napoleone e donna fascinosa dei suoi tempi, ritratta come Venere Vincitrice. Il modello in gesso della Paolina Borghese - realizzato negli anni 1804-1805 - è conservato a Possagno fin dal 1829, quando dopo la morte di Antonio Canova il fratellastro dell'artista mons. Giambattista Sartori Canova lo riportò nel paese natale del grande scultore direttamente dallo studio di Roma.
Nel corso della Prima Guerra Mondiale, a seguito del bombardamento (...austriaco) su Possagno del 26 dicembre 1917, come molte altre opere della Gipsoteca anche la Paolina Borghese non fu risparmiata dai danneggiamenti: decapitata di netto, privata della mano destra appoggiata sulla guancia, delle dita della mano sinistra e di parte del piede sinistro.
La Paolina di Possagno era rimasta decapitata e monca per ben 86 anni. E cioè fino all'autunno del 2003, quando - prima opera in gesso, in assoluto, in Italia - è stata restituita alla sua interezza e bellezza originaria grazie a un restauro integrativo basato sulle nuove tecnologie, con il sistema 3D e del reverse engineering. Attraverso una scansione informatizzata del marmo alla Galleria Borghese è stata effettuata la ricostruzione delle parti mancanti, procedendo poi alla loro reintegrazione. Una procedura - all'epoca avveniristica - resa possibile proprio grazie all'arte e al genio di Canova: non c'è infatti differenza tra gesso e marmo. L'artista, cioè, era capace di riprodurre esattamente sul marmo quello che era già perfetto nel modello di gesso.
Nel 2017, sotto la direzione del dottor Mario Guderzo, il Museo e Gypsotheca Antonio Canova di Possagno aveva inoltre dedicato una visitatissima mostra tematica alla “Divina Paolina” in occasione dell'inaugurazione del riallestimento della Sala degli Specchi, al cui centro era stata collocata la sensuale e straordinaria opera.
Adesso la Paolina di Possagno ritorna suo malgrado agli onori della cronaca per il primo caso nella storia di selfie-vandalismo su una scultura canoviana. Ma il destino del turista disattento è ormai segnato: perché chi di selfie ferisce, di Sgarbi perisce.
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