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Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
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Incontri

Poeti si nasce o si diventa?

Una riflessione al margine dell’incontro di ieri, venerdì 3 novembre, a Palazzo Roberti, dedicato alla poesia

Pubblicato il 04-11-2012
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Elena Pavan

L’occasione per proporre una riflessione su questo tema nasce dall’incontro con la poesia di Alessandra Pellizzari. Ieri, a Palazzo Roberti, l’autrice ha presentato la sua nuova raccolta di poesie intitolata Mutamenti, edita da Campanotto. Alessandra Pellizzari, storico dell’arte e insegnante vive a Venezia, ma ha lavorato a lungo a Bassano per la Biblioteca civica. In città qualche anno fa ha presentato la sua raccolta Lettere a cera persa, pubblicata nel 2006 da Lietocolle.
Introdotto da Giovanni Turra, a suo volta poeta, l’incontro ha avuto fin dall’esordio un taglio scelto appositamente per valorizzare il percorso di formazione che porta a produrre un componimento che si possa definire con merito “poetico”: Turra ha posto in evidenza le peculiarità del linguaggio della poesia, che chiede la mise en abîme di una scrittura che ha una sua grammatica codificata, che è in buona parte anche riscrittura (non può prescindere dall’appropriamento dei canoni e da una conoscenza profonda della poesia prodotta dai grandi autori) e che deve presentare necessariamente un margine di originalità. Praticare il mondo del “dire in poesia” senza mostrare di conoscere percorsi, passi e valichi, l’andamento morfologico del territorio che si va a esplorare, equivale a un sorvolo ad aliante che non può produrre alcun tratto topografico, perciò è un viaggio quasi mai degno di nota, e di storia, se non per chi l’ha compiuto. Il superamento del “già detto”, del “già fatto” è la sfida che si chiede di intraprendere al poeta, carte alla mano. Poeti quindi si diventa, ci si appropria attraverso lo studio, dizionari alla mano, di uno strumento, che è il linguaggio, il cui utilizzo non è scontato, perché non appartiene allo standard della pratica quotidiana.
Certo, esiste in tante persone una naturale predisposizione alla sintesi, al pensare per immagini, al cogliere sinestesie, tutte condizioni che insieme al temperamento possono indurre facilmente il desiderio di esprimersi in forma poetica: rispondere subito all’insorgere di questo desiderio scrivendo, e accantonando la volontà di esplorare e di conoscere la vita passata e presente di questa forma di linguaggio, senza sentire la necessità di indagarne i mutamenti, equivale a somministrarsi un’auto terapia, non ad amare la poesia. Al poeta colto, a colui che ha intrapreso invece le giuste strade della formazione e poi della sperimentazione, si chiede invece di non farsi irretire dai labirinti incantati della forma a scapito della comunicazione. Il lettore assiste volentieri al lavoro di chi sa tessere bene insieme le parole, e non guarda con sospetto i tratti giocosi, onanistici, che individua nell’opera se questa alla fine riesce a dirgli qualcosa di nuovo, o qualcosa di già pensato ma reso in un modo inedito, apprezzabile, mai espresso così prima. Al poeta si chiede di esprimere un pensiero operando per sottrazione, che il procedimento abbia una base elitaria è interessante ma non determina la qualità del risultato.

(foto L. Vicenzi)

Quello della poesia è uno scaffale spesso poco praticato dai lettori, di sicuro dagli acquirenti, la diffidenza è forse motivata dalla percezione di una distanza forzata del linguaggio poetico dalla realtà che vuole raccontare – in tanti prodotti editoriali è troppo percepibile l’architettura, la messa in scena, in altri l’assenza di fondamenta – ma sono innumerevoli le opere scritte in poesia che hanno rappresentato tappe fondamentali nell’evoluzione del pensiero umano, e in quella del linguaggio. A facilitare l’avvicinamento a questi bei libri contribuiscono anche le parole di tanti nuovi poeti.

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