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Una preziosa testimonianza rievoca le voci e le atmosfere di tempi passati, quando nei caffè e nelle osterie di Bassano, ricchi di calore umano, tra sfide a mora e un goto de quel bon, gente straordinaria si incontrava e si facevano affari

Pubblicato il 18-02-2014
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Ricordare è il più dolce piacere di chi è avanti con gli anni.
Ricordare, descrivere, raccontare e paragonare la nostra povera di risorse ma indimenticabile giovinezza con la realtà delle nuove generazioni tecnologiche e multimediali. E’ molto difficile, quasi impossibile, per i giovani di oggi comprendere cos’erano i modi di vita, le usanze, le tradizioni e i passatempi degli anni passati, quando non esistevano la televisione, l’informatica, i telefoni e i videogiochi, diffusi erano invece una grande indigenza economica e l'isolamento culturale.
La vita, allora, aveva ritmi obbligati, finalizzati al bisogno di stare assieme, di ritrovarsi e di creare relazioni. Quasi obbligatoria, per gli adulti, la domenica dopo la messa, una tappa all’osteria, dove si riunivano quasi tutti i capi-famiglia per un’ombra di quel bon.

Stampa storica di Bassano di Fulvio Bicego

Sullo sfondo di pettegolezzi e discorsi seri, si sentivano le grida e i colpi sul tavolo dei giocatori di mora, sfida tra gente del luogo e gente da fuori contrada.
Spesso, come gesto di cortesia e di solidarietà, si scambiavano la presa di tabacco, la polvere da naso che rappresentava l’unica spesa voluttuaria tollerata dalla parsimoniosa economia familiare.
Dopo qualche goto e magari la supéta de tripe, scoppiava tra il gruppo di avventori un’ispirazione canora e si intonavano, non sempre con risultati eccellenti, canti e stornelli che coinvolgevano gioiosamente quasi tutti i presenti.
Le osterie erano infatti dappertutto, in campagna come in una cittadina come Bassano, luoghi dove la gente si riversava, fumava, beveva vino, parlava, concludeva affari, ma, sopratutto, dove si esorcizzava la solitudine, perché da sempre bisogna comunicare per vivere bene.
Ricordo che a Bassano c’erano locali famosi dove si riuniva gente straordinaria e dove si assisteva ad un’autentica testimonianza della voglia di vivere e di socializzare, come L’antica osteria Longarone in via Roma, adiacente all’altra osteria famosa La croce bianca.
La ricordo perché qualche volta, da bambina, ci andavo con mio padre. Quando si entrava in questo locale, dove c’era una certa pretenziosità nelle sedie col sedile in paglia di Vienna attorno ai tavoli di ferro battuto, si era sopraffatti da un bancone altissimo di legno antico, sulla base di marmo del quale c’erano tutti gli stuzzichini possibili e immaginabili, denominati spuncioti, preparati dall’impareggiabile Romano.
Rivedo ancora le mezze uova sode con l’acciuga, i bovoletti, le fette di musetto con lo stuzzicadenti, le sarde fritte, le cipolline in agrodolce, peperoni, trippe, folpetti, baccalà ed ogni ben di Dio: tutto molto saporito, appositamente perché il bicchiere di vino sembrasse ancora più necessario e più buono.
Mio padre faceva preparare per me grissini con mortadella e gazosa. Mi piacevano i profumi del vino e quegli aromi di cibo di cui erano permeate le pareti, le tavole e perfino le persone. Mi piaceva guardare la mescolanza e di volti e figure della vita di ogni giorno, stretti assieme, sereni e compiaciuti.
Quanti affari si sono combinati così in questi luoghi fumosi ma ricchi di calore umano!
Invece in piassotto, ossia l’attuale Piazza Montevecchio, c’era un piccolo caffettino coi tavoli di marmo, le sedie attorno al muro, le travi vecchie, una porta che si apriva e chiudeva con il salterello, alcune stampe sbiadite e annerite dal fumo. Qui, nei giorni di mercato, si andava a bere il caffè corretto o il vin brulè: era il caffè da Marseto: piccolo, senza pretese, ma dove ci si sentiva come a casa propria.
Poco lontano, quasi di fronte, si contrapponeva quasi il caffè Pedrocchino, era anche questo un piccolo locale che aveva, però, una certa pretenziosità, sopratutto nell’arredamento. Si mormorava infatti, tra il serio e il faceto, che Parigi aveva il chez Maxim, Milano il Savini, Roma il Grand Hotel e Bassano il Pedrocchino, meta di artisti e di pittori, che completavano il campionario bassanese di tipi curiosissimi.
Nelle sere di domenica, una volta, la gente andava anche da Marcheto, un piccolo ritrovo di fronte al Tempio Ossario, dove ci si poteva anche sedere all’aperto e sentire un po’ di brezza portata dal vicino Brenta.
Ci andavo con i miei genitori e mio fratello a prendere la granatina o la cioccolata, la mamma trovava qualche conoscente con cui scambiare due chiacchiere, papà guardava i giocatori di carte o di dama e io e mio fratello correvamo a giocare nel praeto di fronte al caffè. Era un’isola verde con piante e cespugli e tanto prato dove i ragazzi delle contrade limitrofe convergevano. Quanti giochi, quanti scherzi, quanti litigi, quante gare e quanta gioia!

Ora tutto è cambiato, spazzato via dalle costruzioni, dalle strade e dai posteggi. Viviamo nel traffico, nel rumore, nell’inquinamento dell’aria, del suolo, dei valori essenziali. Abbiamo la televisione, i registratori, i DVD, le play station, i cinerama, le discoteche e tutto quanto possiamo immaginare.
Ma non si sente più nessuno cantare nei bar o per le strade, soffermarsi a scambiare qualche banale frase sul tempo o sulla vita di ogni giorno, non c’è nessuna spontaneità. Tutti hanno una grande premura, orologi e telefonini con l’agenda incorporata che suonano in continuazione, a ricordare impegni o appuntamenti. Una frenesia che coinvolge tutti, come un contagio.
Anche per questo ricordare è il più dolce piacere di chi è avanti con gli anni.

Annamaria Marcadella Serraiotto

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