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Il mio bel Giorno del Ricordo: incalzato dalle domande di due classi quarte dell’Istituto Parolini per raccontare l’Esodo giuliano-dalmata e della mia famiglia
Pubblicato il 10-02-2023
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Ci risiamo.
Ogni 10 febbraio, Giorno del Ricordo, in un modo o nell’altro mi tocca rievocare le tristi vicende dell’Esodo degli istriani, fiumani e dalmati. Un dramma a cui io, figlio di esuli da Fiume, sono direttamente legato per la storia della mia famiglia.
Ma questa volta la rievocazione di quell’abbandono di massa dalle terre natie, verificatosi principalmente tra il 1945 e il 1948, ha per me il sapore della novità.

Fonte immagine: toscanaoggi.it
Vengo infatti invitato a parlarne in una scuola. Si tratta della sede staccata dell’Istituto Statale di Istruzione Secondaria “Alberto Parolini”, in via Sonda a Bassano.
Ad accogliermi con grande attesa sono due classi quarte. Quindi ragazzi e ragazze di 17 anni, interessati a conoscere fatti accaduti oltre sessant’anni prima della loro nascita.
Prima di questo incontro gli studenti si sono preparati sull’argomento, hanno fatto sintesi delle nozioni apprese e hanno predisposto una serie di domande che mi rivolgeranno in classe. Domande che io non conosco in anticipo: il bello della diretta in versione scolastica.
Assieme agli alunni, delle classi 4AeT e 4FA, ci sono i loro prof, che li hanno guidati in questo percorso di studio: la prof.ssa Francesca Gnesotto e il prof. Gianluca Pietrosante, questa volta nella sua veste professionale di docente e non di esponente politico e amministrativo.
Sono qui, pronto a rispondere ai giovani interrogativi, e non a caso.
L’incontro è infatti finalizzato alla partecipazione delle due classi al concorso della Regione Veneto per la commemorazione del Giorno del Ricordo “Partire, restare, ritornare: storie d’Istria, Fiume e Dalmazia. Raccontare affinché il ricordo di questa storia non venga mai dimenticato”.
Vi partecipo volentieri anche perché è un’occasione per divulgare alla giovane generazione questa storia dimenticata e anzi volutamente rimossa dalla coscienza nazionale per tanti decenni e ancora oggi, per un becero e invincibile destino, fonte di letture e contrapposizioni ideologiche.
Il dialogo con gli studenti si svolge col format dell’intervista, che viene video registrata per essere poi inviata al concorso della Regione. Verba volant, ma nel momento in cui qualcuno ti registra anche le parole vanno pesate con l’opportuna dose di equilibrio, di distacco storico e per quanto mi riguarda soprattutto di sincerità.
Gli studenti si sono organizzati per realizzare un prodotto video degno di tale nome.
A fare le riprese per il concorso - dietro la reflex adibita a videocamera - c’è il bravissimo Steven, per metà italiano e per metà inglese, tifoso del West Ham. Sangue misto come il mio, che pur essendo italiano dalla nascita mi porto il retaggio di una terra adriatica che è stata da sempre un incrocio naturale di lingue e di popoli.
Per circa un’ora vengo incalzato dalle domande che, uno alla volta, i ragazzi e le ragazze mi pongono. Sono molto presi dall’intervista, si presentano prima con nome e cognome e tutti quanti in classe ascoltano fino alla fine con rispettosa concentrazione.
In questa sede non scrivo delle mie risposte. Il mio racconto e il mio pensiero sull’Esodo giuliano-dalmata è già noto, avendo avuto in questi anni più occasioni di esternarlo: in incontri pubblici, in video interviste per il web e anche con i miei articoli.
Sottolineo invece le domande che ho ricevuto, perché i veri protagonisti di questo incontro ravvicinato con la storia sono i giovani. Nessuna domanda banale o scontata, solo l’espressione di una attenta curiosità meritoria di altrettanta attenzione.
Ne cito qualcuna: “Come ha reagito quando ha scoperto la storia della sua famiglia?”, “È mai andato nella città natale dei suoi genitori? Se sì, che effetto le ha fatto?”, “La percezione del futuro nei racconti dei suoi genitori?”, "Quali sono le cose che gli esuli sono riusciti a portare via con loro?", “Secondo lei se ne dovrebbe parlare di più della Giornata del Ricordo?”.
Alcune questioni poste dai ragazzi sono davvero profonde e impegnative: “Emozioni e traumi che ha provato nel corso della sua maturità derivanti da questo passato? Che peso porta dentro?”, “Abbiamo approfondito che purtroppo ci sono voluti tanti anni per istituzionalizzare questo evento (legge 2004). Come mai prima non se ne è mai parlato e nei libri di storia nelle scuole, per tanti decenni, non ci fu traccia?”.
E soprattutto: “Quelle terre sono sempre state di confine. Ma lei si sente italiano o slavo?”.
A ciascuna domanda rispondo a braccio, a cuore aperto, senza remore.
Nelle mie repliche devo necessariamente ripercorrere anche alcuni passaggi storici per inquadrare propriamente la vicenda, mettendo a fuoco anche la figura del signor Tito o compagno Tito per i suoi aficionados, ma è soprattutto l’aspetto umano - quello che è stato vissuto dai miei familiari e da tutti i nostri connazionali trasformati dalla storia in profughi - che meglio di tutto racconta e chiarisce l’essenza di questo dramma.
Al termine dell’intervista il prof. Pietrosante mi riferisce che in preparazione all’incontro di oggi gli studenti, in conformità con il programma didattico delle quarte, hanno approfondito il tema del cambio antropologico con la nascita dello Stato nazionale nell’era della modernità, tra le cui conseguenze c’è anche la nascita della guerra etnica.
Poi è lui a farmi un’ultima domanda, chiedendomi cosa ne penso sulla proposta di legge votata in Regione martedì scorso circa il rimuovere dalla toponomastica, e cioè dalle intitolazioni delle vie, il nome di Josip Broz Tito e il revocare tutte le onorificenze di Stato conferite a Tito dalla Repubblica Italiana.
Qui la mia risposta invece la scrivo. “Non sapevo sinceramente che ci fossero vie o piazze intitolate a Tito - è la mia replica -. A Bassano discutiamo da anni se sia giusto che ci sia un piazzale intitolato a Cadorna, non vedo perché non si possa porre la questione anche per Tito.” “Dirò di più - aggiungo -. Sotto la Jugoslavia il meraviglioso lungomare della riviera di Abbazia, vicino a Fiume, si chiamava “Lungomare Maresciallo Tito”. Ora che quel territorio è in Croazia quel nome non esiste più e la passeggiata si chiama “Lungomare Francesco Giuseppe”. Penso che anche in Italia i tempi siano diventati maturi per rimuovere il nome di Tito laddove esista ancora e le onorificenze conferitegli.”
Per la serie: pane al pane e Tito al Tito.
Augurando in conclusione agli studenti delle due classi il mio in bocca al lupo per il concorso della Regione, dico loro che se non lo vinceranno sarà colpa mia, ma se lo vinceranno sarà merito loro.
Grazie ragazzi, grazie ragazze: le vostre domande mi hanno fatto capire che il rispetto del passato ha un futuro.
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