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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it

Il "Tich" nervoso

Il mio regno per un raviolo

Risposta al commento di Roberto Astuni, a nome del Gruppo Ristoratori Bassanesi, sul mio articolo “Soluzione Ponte”

Pubblicato il 24-07-2021
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Brassaï. L’occhio di Parigi

Nella mia ormai lunghissima carriera di giornalista, ne ho viste veramente di crude e di cotte. E non solo dal punto di vista gastronomico. Anzi, io di cucina e di eventi conviviali scrivo solo saltuariamente e solo se ne vale la pena. Non era così in altri anni, quando lavoravo in Tv e in più presentavo eventi: ho ad esempio all'attivo infinite serate dell'Asparago, ben oltre l'umana sazietà. Su Bassanonet mi occupo prevalentemente di attualità e di politica e in quanto tale ho trattato i temi più caldi e controversi della vita pubblica locale. La provocazione giornalistica - sempre dettagliata e documentata - è il mio mestiere, ma mai avrei pensato di scatenare una guerra per un raviolo.
Il riferimento, ovviamente, è al mio articolo “Soluzione Ponte” nel quale ho raccontato la Cena sul Ponte di giovedì scorso, organizzata come sempre dal Gruppo Ristoratori Bassanesi e trasferita al chiuso a Villa Rezzonico a causa del maltempo.
Ciò che ha surriscaldato le pentole del gruppo presieduto da Sergio Dussin sono state fondamentalmente due cose. La prima è stata la descrizione (che un mio affezionato lettore ha scherzosamente giudicato “degna di un reportage di guerra”) della mia scomoda e anche imbarazzante esperienza, condivisa anche dagli altri, relativa al tentativo di spezzettare con la sola forchetta il raviolo duro da tagliare, servito come primo piatto. La seconda è stata invece il fatto che ho riferito delle critiche del “MasterChef” Antonio Lorenzon, seduto al mio stesso tavolo della stampa, nei riguardi delle pietanze proposte. Le due cose - si badi bene - sono distinte e indipendenti: il racconto della mia “guerra col raviolo” è frutto delle mie sole annotazioni personali e non è stato in alcun modo influenzato - come ha pensato invece qualche dietrologo - dai giudizi del MasterChef de noialtri.

Il raviolo più famoso di Bassano. Foto Alessandro Tich

Ne scrivo perché sulla pagina Facebook di Bassanonet il membro dei Ristoratori Bassanesi Roberto Astuni ha pubblicato un commento all'articolo. Ma lo ha pubblicato aggiungendo in fondo e taggando anche i nomi degli altri suoi colleghi che hanno collaborato alla preparazione e alla gestione dell'evento conviviale: Sergio Dussin, Enrico Alpino (alias Enrico Zen), Alberta Bonotto, Olivo Brunello, Ristoranti Bassano. Si tratta quindi di una sorta di comunicato stampa mascherato da post.

Come ben sapete, io non intervengo mai e mai interverrò nelle discussioni sulla pagina Facebook di questo portale e nelle discussioni social in generale. Ho un'età sufficientemente matura per pensare di dedicare più utilmente il mio tempo ad altre cose.
Ma ogni tanto faccio un'eccezione alla regola e replico. Sempre solo se - come in questo caso - ne vale la pena. Ma lo faccio a modo mio e cioè attraverso i miei editoriali, come questo che state leggendo. Non posso infatti non rispondere a un post, scritto da un autorevole esponente della ristorazione bassanese, che inizia elegantemente così: “Caro direttore, in dialetto si direbbe “te ghe pestà una merda”.” Poi lo traduce in italiano: “articolo infelice e provocatorio che non serve proprio a nulla, neanche a soddisfare l'ego di qualcuno”. E l'ego in questione sarebbe quello di Antonio Lorenzon.
Ma andiamo con ordine. Innanzitutto, non so perché mai avrei “pestato una merda”. Probabilmente perchè ho toccato una categoria che qui a Bassano è intoccabile.
No problem: non è la prima volta che è successo e non sarà l'ultima. Astuni ha letto solo quello che ha voluto leggere e non fa alcun cenno alle osservazioni positive che nello stesso articolo ho rivolto ai ristoratori: in primis la loro capacità di trasferire a tempo di record l'intero impianto della cena dal Ponte Vecchio sferzato dalla pioggia al salone di Villa Rezzonico. Descrivendo la conclusione della serata, ho persino riferito degli “immancabili applausi per i cuochi e il personale di sala”: avrei potuto benissimo farne a meno.
Spiace inoltre che tra i sottoscrittori del post sia messo anche il nome del noto sommelier Olivo Brunello, visto che nell'articolo ho addirittura scritto che i vini sono stati serviti “da un team di sommelier davvero professionali”. Me ne ricorderò la prossima volta.

E veniamo all'ormai celeberrimo raviolone. Un argomento per il quale vengo praticamente accusato di lesa maestà. Il mio regno per un raviolo. Sulla cosa sono assai tranquillo perchè, come tutti, ho i miei difetti e i miei pregi e tra i pregi posso vantare l'onestà intellettuale.
Della mia critica diretta al gran raviolo su piatto fondo non smentisco pertanto una sola virgola: ritengo - e anzi confermo - che sia stata una scivolata nell'insieme del menù della serata. Probabilmente non l'unica, ma di certo la più eclatante.
Riguardo alla “poca praticità” della pietanza, Astuni afferma che “nessuno si è lamentato del disguido” e “tantomeno nessuno lo ha messo in evidenza”. Non è vero. È la mia parola contro la sua: vedete un po' voi a chi credere. Poi nello stesso post l'ex presidente degli albergatori rivela un retroscena col quale giustifica il poco efficace impiattamento: se il gran raviolo è stato servito in un piatto non consono e con la sola forchetta, è perché a causa del trasferimento in fretta e furia dal Ponte alla Villa causa pioggia “è stata “dimenticata” una cassa di coltelli e una di piatti”. No comment. E qui mi fermo, perché ormai 'sto raviolone mi è andato di traverso.

Infine Antonio Lorenzon. Astuni scrive: “Non lo ritengo un interlocutore all'altezza di giudicare (…) ma bensì un personaggio mediatico di qualche anno fa, tanto che è anche il volto ufficiale dell'Asparago”. E quindi la circostanza che io abbia riportato il fatto che abbia criticato le pietanze “sembra più un pettegolezzo da comari che il racconto di un cronista”. Sì, lo confermo: il mio è stato puro gossip, condito di tanto pepe.
E dirò di più: personalmente ho simpatia zero per gli chef televisivi, da Carlo Cracco in giù.
Li ritengo dei grandi coni di panna montata, con tanta apparenza e poca sostanza, molto più attenti a fare gli sboroni che a promuovere una vera cultura dell'arte culinaria.
Di questo presunto “gotha” più mediatico che gastronomico fa parte anche Lorenzon.
Non dimentichiamo la polemica nei suoi confronti - poi ufficialmente “rientrata” - proprio del Gruppo Ristoratori per la sua nomina, quest'anno, ad Ambassador dell'Asparago di Bassano DOP. Un altro atto di lesà maestà. Perché Lorenzon non è un cuoco, nel vero senso della parola, e non lo sarà mai: niente di più lontano dal sacro fuoco dei fornelli bassanesi.
È più che altro un “art director” prima di sé stesso e poi delle cose che fa.
Ma Lorenzon, che piaccia o meno, fa notizia. E sono certo che se proponesse una cena con la sua firma, a 150 o 200 euro a cranio, farebbe il tutto esaurito. Ne farà una a settembre a Villa Capra Bassani a Sarcedo: vedrete che avrò ragione. Perché è un figlio della televisione e dei social: due bestie contro le quali è assai arduo combattere. Per cui consiglio ad Astuni e al suo gruppo di non fossilizzarsi sul confronto con i “nuovi fenomeni” e, piuttosto, di fare un esame di coscienza su come rinnovare e dare nuova linfa al Gruppo Ristoratori, rimasto fino ad oggi sulla breccia prevalentemente grazie alla disponibilità totale e all'iperattivismo del presidente Sergio Dussin. Dove sono i volti giovani nel gruppo? Può esserci un ricambio di energie in una compagine che è sempre uguale a sé stessa? Come arricchire i contenuti della ristorazione bassanese con l'apporto di nuovi innesti e nuove idee?
Non è un raviolo il problema della categoria, ma il ripieno.

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