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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it

Il "Tich" nervoso

Covid Coffee

I nuovi riti dell’Era del Virus: piccolo viaggio attorno alle assurdità del caffè da asporto nella quotidianità bassanese

Pubblicato il 11-04-2021
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Brassaï. L’occhio di Parigi

Il Covid Coffee è l’inedita specialità che - ormai da molti mesi e a più riprese, a seconda dai vari Dpcm e successivamente dei vari colori - caratterizza le abitudini delle tantissime persone che, come chi vi scrive, non possono rinunciare ad almeno uno o due caffè al giorno. È un po’ come il Pocket Coffee, ma con un ripieno diverso: un ripieno di pazienza e di rassegnazione sia per chi lo serve che per chi lo consuma.
Mi riferisco ovviamente al caffè da asporto: uno dei nuovi riti imposti dall’Era del Virus, capace di trasformare una delle classiche brevi pause di piacere della giornata in un veloce Pit Stop ai box del GP (Giorno Pandemico) che stiamo correndo. Anzi: all’esterno dei box, visto che in questo momento dentro non si può rimanere.
Più che un rito, in realtà, il Covid Coffee spesso rappresenta una vera e propria impresa.

Fonte immagine: ilpost.it

Innanzitutto bisogna andare alla ricerca del posto dove trovarlo. Molti bar, a fronte delle restrizioni imposte dalle cosiddette norme vigenti, hanno preferito chiudere.
In centro storico a Bassano ci sono dei pubblici esercizi che, dopo aver chiuso i battenti in occasione della “zona arancione” dello scorso dicembre, non hanno ancora riaperto e non si sa se riapriranno. A Solagna, dove abito, dei tre bar che erano aperti nel centro del paese uno è fallito e sulla vetrina c’è scritto “affittasi”, un altro - che aveva un buon giro di clienti trovandosi sulla principale strada lungo il Brenta, zona di passaggio anche di molti ciclisti - ha chiuso lo scorso inverno e rimane tuttora sprangato senza avvisi o informazioni, il terzo infine dovrebbe essere ancora operativo ma i gestori lo hanno chiuso fino a quando, presumibilmente, non ritorneremo finalmente ad essere perlomeno in “zona gialla”.
Anche questi sono segni dei nostri tempi. Quindi, oltre che per lavoro, mi reco quasi tutti i giorni a Bassano anche per andare a prendere un caffè, benché non possa scriverlo nell’autocertificazione. Come tutti, anch’io ho i miei bar di riferimento, in mancanza dei quali bisogna aggirarsi per le vie del centro alla ricerca del primo pubblico esercizio con il fatidico avviso all’esterno, che sembra quasi un raffinato verso poetico: “Aperto solo per asporto”.

Analogamente a tutti i diktat di questo assurdo periodo, anche il Covid Coffee ha le sue ferree regole. Le conosciamo tutti e non serve che le ricordi. Ma anche le regole più restrittive hanno le loro varie interpretazioni nel momento in cui le si deve applicare.
In molti bar ti è concesso di entrare, stando sempre attenti al distanziamento sociale dai tuoi consimili, non dovendo oltrepassare il numero massimo di clienti concesso all’interno del locale e per il solo tempo necessario e sufficiente ad ordinare e a pagare la consumazione.
In altri locali - per evitare tutti questi problemi - il barista ti attende invece alla finestra, come l’operatore del casello dell’autostrada. Qui però non c’è Telepass, né corsia preferenziale: se devi attendere in coda, attendi e basta.
Poi arriva la variante del confezionamento del prodotto. Gli esercenti più inflessibili applicano l’opzione “cavoli tuoi”: bustina di zucchero, cucchiaino monouso di legno o di plastica incartato e caffè in bicchiere di cartone o di plastica chiuso dal coperchio con il forellino per bere. Grazie e arrivederci. Strano che questi professionisti della somministrazione di bevande non si ricordino che lo zucchero andrebbe messo e mescolato nel caffè prima di chiuderlo.
Mi è capitato di dover trovare un angolo di città all’esterno del bar dove appoggiare in qualche modo il bicchiere chiuso ancora caldo e togliere con una mano il coperchio ben conficcato sopra, con l’altra mano impegnata dalla bustina di zucchero ancora da svuotare e il cucchiaino ancora da scartare: un’operazione degna di Mission : Impossible.
Ma per fortuna c’è anche la situazione opposta e assai più customer-friendly: il Covid Coffee con servizio tutto compreso. Lo mettono in pratica i baristi appartenenti alla categoria “Com’è umano lei!”: bicchiere di caffè servito aperto, zucchero già messo dentro e addirittura direttamente mescolato dal banconiere. Una serie di attenzioni che ti fanno pagare con molta più gioia i 10 centesimi in più del costo del caffè per l’asporto.

Arriva infine l’atto conclusivo del rito del Covid Coffee: la ricerca di un posto dove poterlo bere. Nelle immediate vicinanze del bar non si può, bisogna quindi conquistarsi un angolo di tranquillità da qualche altra parte della piazza o della via. Dove c’è un po’ più di spazio sulla strada pubblica, come nelle piazze, nelle ore di punta della caffeina si formano gruppetti di consumatori reciprocamente distanziati e tutti inevitabilmente in piedi, all’aria aperta, come le colonie dei fenicotteri. Qualcun altro sceglie la via dell’eremitaggio, isolandosi con il suo bicchiere di caffè in qualche anfratto del tessuto urbano più lontano da occhi indiscreti.
In altri casi si sfrutta la composizione architettonica e di arredo urbano del circondario del bar prescelto: così facendo muretti, ringhiere, fioriere, davanzali di sottoportici e altri piani orizzontali di qualsiasi tipo diventano dei tavolini di fortuna per la consumazione on the road.
Ci sono poi anche le opportunità offerte al volo dalla situazione logistica.
In uno dei bar di Bassano dove vado io c’è una corte interna con i tavoli accatastati in un angolo perché in questo momento non utilizzabili: qui riesco a bere il mio caffè da asporto alla svelta, escluso alla visuale della via principale e clandestinamente, perché l’area fa parte del plateatico del locale e non si potrebbe. Ma non è un piacere, è una tristezza.
Morale della favola: non vedo l’ora che quello del caffè ritorni ad essere un rito normale, condiviso, tranquillo, nella sua bella tazzina d’ordinanza, in un bar dove posso stare al banco in santa pace o anche sedere al tavolo per chiacchierare piacevolmente con i miei amici, restandovi per tutto il tempo che ritengo di restarci e magari, ogni tanto, concedermi un piccolo bonus e chiedere al cameriere anche un goccetto di grappa, quanto basta per aggiungere il tocco finale di un rasentìch.

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