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Rinascimento in bianco e nero

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Rinascimento in bianco e nero

Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it

Attualità

A caval smontato

Altro che motosega. Intervista all'ex direttore del Museo Civico di Bassano, e oggi direttore della Gypsotheca e Museo Antonio Canova di Possagno, Mario Guderzo. “Vi racconto io la vera storia del cavallo di Canova smontato al Museo di Bassano”

Pubblicato il 16-06-2019
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Rinascimento in bianco e nero

Questa intervista, diversamente da tutte le altre, non nasce da una proposta dell'intervistatore ma da una richiesta dell'intervistato. Ovvero il dottor Mario Guderzo, per 15 anni (dal 1993 al 2008) alla guida della Cultura bassanese, prima come vicedirettore e poi indimenticato direttore del Museo Civico, quindi come responsabile dell'Unità Progetto Cultura del Comune di Bassano e oggi riconfermato direttore della Gypsotheca e Museo Antonio Canova di Possagno.
Della sua direzione del Museo Civico di Bassano si ricordano in particolare le mostre memorabili (tra queste: “Cinquecento veneto. Dipinti dall'Ermitage”, 65.000 visitatori; “Ezzelini”, 42.000 visitatori; “Il meraviglioso e la gloria”, 35.000 visitatori; “Canova”, 145.000 visitatori). Una capacità di organizzare eventi di grande contenuto e attrazione che in questi ultimi anni si è confermata a Possagno, dove si sono registrati e continuano a registrarsi numeri impressionanti di visite e presenze.
Va subito detto che Mario Guderzo non è solito richiedere di essere intervistato, con lui in tanti anni è la prima volta che mi accade. Ma l'eccezione alla regola è scaturita dalla “bomba”, con conseguenti polemiche, fatta scoppiare da un'intervista al Corriere della Sera dell'attuale direttore dei Musei Civici Chiara Casarin.

Il dottor Mario Guderzo (foto Alessandro Tich)

La quale, tra le altre cose, ha riesumato la vicenda del grande cavallo di gesso di Antonio Canova che era esposto in un salone del Museo Civico e che nel 1968 venne fatto smontare a pezzi dall'allora direttore del Museo Bruno Passamani, compianto e illustre storico dell'arte, con un curriculum di oltre 300 pubblicazioni, per dieci anni (dal 1966 al 1976) benemerito direttore del Museo bassanese, Premio Cultura Città di Bassano nel 2010.
Un fatto che la Casarin, nell'intervista, ha presentato così: “Uno dei miei predecessori, Bruno Passamani, fece a pezzi con la motosega un cavallo senza cavaliere, alto 4 metri e mezzo e lungo 5. Diceva che era troppo grande, che sembrava un esercizio di stile non particolarmente bello.” Musica per le orecchie dell'intervistatore del Corsera, che ha incalzato con domande quali “Che scopo aveva il gesto dissennato?” e “Mai sentito di un direttore di museo che disbosca l'arte”. Troppo, però, per le orecchie del già direttore del Museo Civico Mario Guderzo che in un impeto di indignazione ha chiesto di essere ascoltato dal vostro umile cronista per “dire come stanno realmente le cose” e “raccontare la vera storia del cavallo di Bassano”.

Dunque dott. Guderzo, innanzitutto perché si è sentito in dovere di rilasciare questa intervista?
“Perché secondo me è necessario esprimere una forma di precisazione su quello che è successo, relativamente a tutte le sculture di Canova. Quando il fratellastro di Canova, l'abate e poi vescovo Giovanni Battista Sartori Canova, decide di cambiare il testamento di Canova stesso, affiderà al suo paese natale e ad altre realtà delle opere che Canova aveva realizzato, oltre a distribuire anche il patrimonio economico che era composto da case, terreni e via dicendo. Allora dobbiamo pensare qual è stato il metodo per trasportare i gessi a Possagno, prima, poi a Bassano e prima ancora a Venezia. È molto semplice, perché esiste l'elenco delle casse all'interno delle quali erano sezionati, non “stuprati” e non “scempiati” come qualcuno dice, i gessi provenienti da Roma.
All'interno di ogni cassa c'è l'istruzione di rimontaggio, perché è normale pensare che un gesso come Ercole e Lica, gigantesco, o Teseo e il Centauro, gigantesco, che all'inizio erano stati lasciati a Venezia, non sono arrivati a Possagno su un treno o su un Tir, visto che non esistevano questi mezzi di trasporto. Ma dallo studio di Canova che era vicino al porto di Ripetta, quindi per poter navigare lungo il Tevere, erano stati portati a Civitavecchia, caricate queste casse su zattere che hanno fatto il giro della penisola e sono arrivate fino a Marghera. I gessi erano collocati tutti all'interno delle casse e l'elenco dice: tre teste assieme a due stele funerarie, il gesso tal dei tali smontato, eccetera.
Noi per esempio a Possagno conserviamo molti gessi che sono sezionati a metà perché poi nella stessa fase di costruzione del gesso Canova molto spesso realizzava le figure sezionate e poi le assemblava perché all'interno conservano dei perni capaci quindi di tenere insieme, con maschio e femmina, le opere stesse. Le teste anche e le strutture sporgenti potevano essere staccate, basta pensare a Dedalo e Icaro, le cui braccia sono staccate, i pugilatori sono sezionati a metà, George Washington ha il braccio e la testa staccati.”

E il grande cavallo, ovvero i due grandi cavalli perché uno è stato distrutto dalla guerra, del Museo di Bassano, come sono arrivati? Sempre così, e cioè a pezzi?
“Sicuramente così. Porto un altro esempio. Due giganti di Canova che oggi sono a Possagno, in origine erano stati lasciati alle Gallerie dell'Accademia di Venezia.
L'allora sovrintendente aveva provveduto a collocare il Teseo e il Centauro e Ercole e Lica nei saloni delle Gallerie dell'Accademia. Poi con l'andare del tempo è cambiato il modo espositivo di una logica museale o museografica. Hanno preso i gessi e li hanno spostati nel cortile delle Gallerie dell'Accademia. Alla fine della guerra, nel 1947, l'allora sovrintendente decide di prendere questi due giganti, di smontarli, e non quindi “segarli con la sega” ma smontarli così come erano stati rimontati quando sono arrivati, e portarli a Possagno. Perché nella sua logica riteneva che all'interno delle Gallerie dell'Accademia non c'era uno spazio degno per accogliere queste opere e addirittura aveva vantato i meriti di Stefano Serafin, l'allora custode del Museo di Possagno, che aveva operato egregiamente nella ricomposizione di tutti i gessi che erano stati rovinati dalla guerra. Allora, a fronte di questa situazione di danno, dice il sovrintendente, perché non prendiamo anche questi giganti e li portiamo a Possagno? Tant'è vero che a Possagno ci sono ben cinque opere di proprietà delle Gallerie dell'Accademia tra cui questi due giganti, lasciati e depositati a Possagno e collocati in un modo assolutamente degno all'interno dell'aula basilicale. Esistono le foto di questi due giganti smontati: un ammasso di frammenti che poi alla fine, piano piano, l'allora custode del Museo Stefano Serafin ha assemblato e rimesso assieme. Come è logico pensare sia successo ai due cavalli, uno con il cavaliere e uno senza, che si trovavano in origine al Museo di Bassano, arrivati là per volere di Sartori Canova ma anche per il legame che sussisteva con Stecchini e soprattutto con la volontà di far conoscere il patrimonio canoviano e distribuirlo in tanti altri luoghi.”

Veniamo alla famosa vicenda dello “smembramento”, chiamiamolo così, del cavallo al Museo di Bassano...
“Smontaggio. La parola corretta è “smontaggio”. Logicamente anche questi due cavalli sono arrivati da Roma smontati. Occorreva rimontarli, allora qualcuno li ha rimontati. Suppongo sia stato lo stesso Stefano Serafin, o il figlio Siro, che hanno lavorato a Bassano per rimettere in sesto queste due cose. Sta di fatto che io me lo ricordo il cavallo da solo, perché dobbiamo ricordare che quello col cavaliere, modello della statua equestre di piazza Plebiscito a Napoli, fu distrutto il 24 aprile 1945, il giorno prima della fine della guerra, con quella bomba che cadde nel Museo e che provocò centinaia di altri problemi.
Il cavallo io me lo ricordo da bambino, perché quando facevo le elementari mi avevano portato a vedere il Museo e questo cavallo l'ho visto. Me lo ricordo ancora meglio poi quando sono entrato a lavorare all'interno del Museo e ho presente una fotografia che fa vedere il cavallo sollevato dal pavimento del grande salone, montato su due putrelle, e quindi pronto per essere smontato. Che è la parola corretta. La memoria mi dice che in questa operazione non c'era solo l'egregio professor Passamani, al quale devo devozione assoluta per quello che mi ha insegnato, assieme ai direttori che sono arrivati dopo.
C'era anche un operatore che a mio avviso, per le memorie che ho, dovrebbe essere stato Danilo Andreose, scultore bassanese che ha prodotto gessi anche di grandi dimensioni.
E poi dovrebbe, uso il condizionale, esserci stato anche Carlo Compostella che è stato un po' l'architetto e nume tutelare del Museo stesso. Queste tre persone agiscono su autorizzazione di una Sovrintendenza e il senso mi porta a dire che sicuramente la Sovrintendenza avrà anche partecipato a questo smontaggio, che è stato poi collocato su casse come era arrivato da Roma.”

Perché il cavallo è stato smontato?
“Per quello che io ricordo, le motivazioni erano due. La pericolosità sul salone sopra alla Biblioteca, sotto c'era la sala di lettura, e il fatto che occupava uno spazio enorme. In questo discorso di trasformazione degli allestimenti museali presuppongo che abbiano valutato questa operazione. È stato smontato il cavallo in cerca di un sito più degno dove poterlo valorizzare.”

Quindi è stato messo in casse. E dopo?
“È stato smontato e collocato nelle casse, come quando era arrivato.
Torno indietro un momento: i due giganti che da Venezia arrivano a Possagno erano collocati in 24 casse, smontati, poi ci sono le fotografie che ce li fanno vedere prima di rimontarli e quindi assemblati. Prima che io arrivassi al Museo di Bassano nel novembre del 1993, queste casse con questi frammenti dello smontaggio del cavallo, ma con altre cose e con quello che rimaneva di altri gessi - perché tutti i gessi del Museo di Bassano sono stati ricostruiti, con la certosina pazienza dei collaboratori del Museo -, erano collocate nei depositi. Poi il cavallo, nel '92, era stato portato nel deposito prestato da Brunello Salumi, perché dovevano assolutamente svuotare il Museo per fare i lavori di preparazione per l'allestimento della grande mostra su Jacopo Bassano. Perciò tutto quel materiale, anche alcuni grandi dipinti, furono portati nel magazzino di Brunello.
Quando arrivai io la mostra era già finita, dovevamo riportare a casa tutte le cose e coi collaboratori del Museo abbiamo piano piano portato molte di queste casse a Palazzo Sturm dove c'era spazio. Tra queste c'era anche la cassa con dentro la testa del cavallo e ricordo che al mio primo San Bassiano il prof. Fernando Rigon, che allora lavorava all'interno del Museo come consulente e mi aiutava ad entrare dentro questi meccanismi, volle collocare al centro dell'ottagono superiore del Museo una cassa, piena di paglia, con la testa del cavallo che usciva, come una sorpresa. Nel senso di dire: vogliamo che in qualche modo questo soggetto possa essere resuscitato. Questo è quello che tanti altri hanno tentato di portare alla ribalta.”

Lei le casse le ha viste e quindi presumo che questo cavallo non sia stato “segato”.
C'è stato un criterio di smontaggio?

“È lo stesso del montaggio. Quando il cavallo è arrivato era sezionato e mi pare che esista anche un'incisione, o un disegno, che fa vedere tutte le parti del cavallo con i numeri per la ricomposizione. Il cavallo era stato smontato seguendo quella logica di quando a Roma lo smontarono per metterlo nelle casse. Anche sui miei gessi, che sono nel Museo di Possagno, se li guardiamo bene vediamo tutte le tracce delle parti che dopo vengono messe insieme con l'utilizzo di altro gesso.”

Quindi è possibile rimontarlo?
“È possibile rimontarlo sì, e se mancano frammenti è possibile ricostruirlo.
Perché è un gesso, non è un marmo. Ora non capisco tutta questa violenza nei confronti di questa operazione ma soprattutto mi dispiace che siano state portate alla ribalta delle persone che non ci sono più e che non possono rispondere e che comunque hanno fatto del Museo di Bassano assolutamente una gloria. Quello che va detto poi è: ricostruiamo il cavallo? Ne facciamo un altro di bronzo? Ma dove lo mettiamo, che nessuno ha fatto la riflessione di dove va collocato? Lo piazziamo in piazzotto Montevecchio, dentro una scatola di plexiglass, come voleva il prof. Pegoraro, quando lanciò la sua idea in occasione della mostra del Canova del 2003? Mi pare che prima di arrivare a situazioni del genere la riflessione debba essere molto più profonda. C'è anche il gossip che gli americani volevano comprarselo, questo cavallo. Questo sottolinea il fatto che l'opera ha un valore, oggi ancora di più per l'attenzione che c'è nei confronti di Canova.”

Quindi, in due parole, il messaggio qual è?
“Il messaggio è valutare, con curiosità prima, sicurezza poi, certificazioni in terza istanza e infine conoscenza, su come i gessi di Canova da Roma sono arrivati nelle destinazioni dove dovevano andare e poi sono stati ricomposti. Perché la Gypsotheca di Possagno è l'esempio più eclatante di questa cosa. Perché tutti i gessi che sono a Possagno sono stati tutti smontati, inseriti in casse e portati al Museo, costruito appositamente per quello.”

Ultima domanda fuori tema. Lei sarebbe stato disponibile a fare l'assessore alla Cultura a Bassano?
“Sono stato incuriosito, delle volte nella storia sono stato anche tentato, però l'assessore a Bassano, un assessore che deve ricostruire tutto quello che con il tempo, per quanto riguarda la Cultura, è stato distrutto, ha un compito che non è facile.
Non so se sarei stato capace di portare a termine queste cose. Certo è che avrei concentrato la mia attenzione sul valore di quel Museo, il Museo di Bassano, che è un Museo di arte antica. Ed è una tale fucina di contenuti che meriterebbe un'attenzione molto più profonda. Capisco la buona volontà dell'attuale direttore di ragionare sulla contemporaneità, però per arrivare a questa contemporaneità dobbiamo sottolineare il fatto che nella cultura cittadina c'è un buco enorme che è costituito dall'arte dell'800 fino al contemporaneo. E là in mezzo c'è molta confusione. E io non so se sia sufficiente frequentare, da parte dei bassanesi, le Biennali d'arte per andare ad accrescere la loro cultura. Però aggiungo anche un'altra cosa: ricordiamoci che il buon Bruno Passamani, il grande Bruno Passamani, a Bassano è stato quello che ha portato arte contemporanea, perché ha cercato in qualche modo di educare i bassanesi a fronte di tutto quello che succedeva di quei tempi. Credo rimanga come grande memoria la mostra su Depero, che lui ha portato allestendola a Palazzo Sturm e che tutti ricordano ancora.”

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