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Quando una serie è più efficace della realtà
E se la deriva più scriteriata del rock fosse arroccata nella ridente cittadina del nordest di Schio? Sembra essere questo il caso degli Eterea Postbong Band, un ensemble musicale che negli ultimi anni ha riscosso successi in tutta la penisola, con performance intense e stravaganti (non si può non citare l'Operazione Salsa Bianca, in cui i quattro musicisti hanno infilato in una notte una serie di concerti di 45 secondi davanti ai chioschi di panini tra Verona e Venezia). Da qualche mese è uscito Epyks 1.0, album che conferma le mille facce della band e la sua attitudine sperimentale. Abbiamo chiacchierato con i quattro ragazzi (il tastierista Gg Funcis, i due chitarristi Pol de Lay e LeleSd, e il chitarrista Rigon) via skype per un'ora circa.
Sulle prime battute, è stato naturale concentrarsi sulla particolarità assoluta del loro genere musicale, tuttora indefinito e indefinibile, che pare aver mandato in totale confusione mezza critica musicale italiana: “solitamente si ha a che fare con gruppi molto derivativi, di cui è semplice trovare riferimenti. Per noi è invece molto difficile, siamo liberi stilisticamente. L'epiteto postbong è un tentativo dissacrante di mettere in luce questa cosa. L'unica derivazione è quella dalle scimmie, per gli evoluzionisti, o da Dio, per i credenti”. Sul palco e fuori, gli Eterea sono portatori sanissimi e contagiosi di ironia. Questo non tocca minimamente, però, l'alta qualità del prodotto artistico, sempre sul crinale tra improvvisazione e cervello. E infatti la modalità di scrittura dei pezzi lo testimonia: “tutto parte dall'improvvisazione, che registriamo e riascoltiamo. Da lì prestiamo particolare attenzione ad alcuni riff, che poi curiamo e sviluppiamo. Va poi aggiunto che c'è sempre un ragionamento a priori su quello che è il tema dell'album. È insomma un procedimento totalmente bidirezionale, in cui la libertà creativa viene convogliata da alcune idee ben definite”.
Di fronte ad un progetto di questo tipo, viene da chiedersi quali altre direzioni possano prendere i quattro musicisti scledensi: “futuro? Per noi è difficile parlare di futuro. Un po' per quella difficoltà a catalogarci, che ci porta lontano da qualsiasi filone, un po' perché abbiamo sempre suonato prima di tutto per divertirci, e ci frega poco di quello che succederà domani. Forse, però, abbiamo voglia di esportare quello che facciamo, di andare aldilà delle alpi. Vedremo”.

Eterea Postbong Band.
Schio è città altamente industrializzata, storico simbolo della produttività senza limiti della provincia nordestina. È questo che si nasconde dietro all'approccio creativo degli Eterea? C'è una qualche frustrazione al fondo degli stimoli dei quattro? “In realtà gli stimoli dovrebbero venire dalla propria interiorità, o comunque da contesti più stretti, microsociali. Certo, nella periferia – come può essere quella in cui viviamo – sei più libero. A Milano, troveresti una scena più standardizzata, già decodificata. In provincia, invece, non c'è niente: e devi ugualmente divertirti. Per noi sta tutto qui: facciamo i coglioni, e facciamo sì che questo sublimi in una qualche ricerca artistica”.
Gli Eterea sono uno dei nomi più interessanti dell'indie italiana, tra gli esempi più lampanti di come le produzioni indipendenti abbiano ancora uno spazio importante in Italia, a maggior ragione in tempi di crisi del mercato discografico: “si, il mainstream è sempre quello, riconoscibile. L'underground, anche grazie alla rivoluzione di Internet, si è spappolato in milioni di microscene. Il fatto è che, comunque, si farà sempre fatica a trovare un pubblico trasversale che valga per più gruppi”. E il pubblico degli Eterea, da chi è composto? Indefinibile come il loro genere? “In un certo senso è così, è molto variegato. L'apice c'è stato con il boom dei social network: eravamo davvero molto seguiti. Ma dal vivo, l'entusiasmo è sempre il solito. Alla fine di una delle serate di quest'anno, a Roma, un ragazzo è venuto e ci ha detto, estasiato: aoh, è stato come vede' Biancaneve ar cinema 'a prima vorta!”
E, a tutto dire, il concerto degli Eterea è un'esperienza singolare e davvero godibile. Nonostante la presenza dell'elettronica, tutto è rigorosamente suonato, e si alternano gag a esecuzioni tesissime e nevrotiche. “Per noi l'elettronica è un mezzo, come tutti gli altri. Non è preponderante, siamo un gruppo che ha due chitarre e che le fa sentire. Ci sono le drum machine e i synth, che comunque suoniamo in tutto e per tutto. Se poi ci sono degli errori di sincronizzazione, li camuffiamo fingendo di scherzare”. La musica elettronica è tra gli ascolti più importanti degli Eterea, che hanno collaborato anche con il dj Ricky L. “La tendenza, per molti gruppi, appena scoperta l'elettronica, è stata quella di appiccicarla al rock, miscelandola nella maniera più semplice: clic e basi. In realtà è molto più interessante il suo utilizzo puro, come può essere stato per gli anni gloriosi della stagione Warp, con Aphex Twin e Autechre, oppure per le tamarrate dei primi Prodigy. D'altro canto, il dj è a tutti gli effetti un musicista, nel momento in cui sa stimolare i clitoridi collettivi con il mix giusto. Lo abbiamo potuto vedere in un djset di Ricky, con il quale abbiamo lavorato in Cavalcata. Certo, è più difficile perché se non lo si sa fare bene, la gente se ne accorge molto più clamorosamente rispetto ad un gruppo rock”.
Entro l'anno, vedrà la luce Epyks 2.0, sul quale i quattro ragazzi di Schio mantengono la giusta dose di mistero. Nessun mistero, invece, per il tour, che li vedrà su molti palchi e festival italiani durante tutta l'estate.
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