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Rinascimento in bianco e nero

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Rinascimento in bianco e nero

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Teatro

Vizi e vizietti sempreverdi, al Caffè

Martedì 1 febbraio, Michele Placido diretto da Paolo Valerio ha portato in scena al Remondini il secondo spettacolo di È ora di Teatro! facendo rivivere la celebre bottega del caffè di Goldoni

Pubblicato il 03-02-2022
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Rinascimento in bianco e nero

Martedì 1 febbraio, è andato in scena al Teatro Remondini il secondo spettacolo della rassegna “È ora di Teatro!”, che ha portato sul palcoscenico bassanese una celebre commedia di Carlo Goldoni, La bottega del caffè, in una rappresentazione diretta da Paolo Valerio.
Interpretata con il ruolo di protagonista da Michele Placido, la produzione, firmata Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Fondazione Teatro della Toscana e Goldenart Production, ha visto impegnati nella ricostruzione della vita settecentesca ma in realtà senza tempo che scorre nella piazzetta di una Venezia resa immortale da Goldoni un gruppo affiatato di attori a fare da comprimari al famoso Don Marzio: in ordine alfabetico, Luca Altavilla (Trappola), Emanuele Fortunati (Eugenio), Ester Galazzi (Vittoria), Anna Gargano (Lisaura), Vito Lopriore (Pandolfo), Francesco Migliaccio (Ridolfo), Michelangelo Placido (figlio di Michele, Flaminio-Conte Leandro), Maria Grazia Plos (la pellegrina Placida).
All’apertura del sipario si staglia sul fondale un enorme stabile dalla foggia veneziana un po’ casa di bambola, con la quarta parete aperta che consente di guardare-spiare cosa avviene all’interno. Senza separazione dunque anche negli oggetti di scena il pubblico e il privato. Il primo, antenato di un moderno dehor, accoglie i tavolini della bottega del caffè del commerciante Ridolfo, custodita in malo modo dal servitore Trappola (un nome, una garanzia per il garzone).

La bottega del caffè, diretto da Paolo Valerio

In realtà con diversi esiti prosperano altre botteghe nel campiello: oltre alla bottega del caffè un po’ in difficoltà, c’è la casa del barbiere dall’economia sempreverde e poi quella del gioco, dal profitto fiorente; ai piani alti stanno le stanze della bella ballerina Lisaura, incipriate e profumate di ambiguità per il sospetto di facili costumi che macchia la reputazione della giovane. Nel coro di questo inno al commercio prospera anche la bottega senza insegna del Don Marzio “napolitano”, così Goldoni. Placido gli toglie la patina partenopea e impersona un signore avanti con l’età e con l’orologio un po’ “tocco” che per passatempo si occupa della vendita di pettegolezzi e maldicenze, un’impresa in proprio di fake news, si direbbe al giorno d’oggi.
Lo spettacolo si apre con gli attori in abiti settecenteschi (a cura di Stefano Nicolao), che indossano sul volto la celebre bauta, un vero e proprio costume essa stessa, come tradisce il nome, che da una parte protegge chi la porta da sguardi indiscreti, dall’altra dichiara la maschera che tutti, personaggi goldoniani in scena o meno, quando siamo in società rappresentiamo. Il breve quadro, quasi un’istantanea, si ripeterà altre due volte, a spaziare i tre atti che qui diventano un atto unico suddiviso in tre momenti. L’intermezzo con il calare delle luci e la sottolineatura musicale getta un’ombra drammatica per niente in attrito con le risate suscitate dalle note battute, perché il dramma c’è in questa commedia, e neanche tanto nascosto.
Tutti qui mercanteggiano e mirano al proprio vantaggio, anche chi finge di aiutare, biscazzieri e ballerine, mercanti e pellegrine, garzoni e mogli gelose: non è che il pettegolo Don Marzio, che sarà quello condannato all’unanimità sulla pubblica piazza, sia in fondo il migliore tra tutti loro, pare dirci Goldoni?
Michele Placido nella sua interpretazione regala un po’ di ingenuità in più al personaggio, ne fa un impiccione bugiardo il cui comportamento non suscita mai indignazione, piuttosto la benevolenza posticcia e noncurante che a volte si destina ai vecchi. Gli altri personaggi che nel copione originale sono carichi di ambiguità qui sono impersonati dagli attori attraverso la cifra del gioco e divertono il pubblico, che finisce per associare “la porta di dietro” destinata a traffici e malaffare solo alla dimora della bella ballerina che balla per conquistare il già conquistato Conte Leandro (solo perché è Conte, ovvio). Migliaccio ha caratterizzato un Ridolfo che in un parallelo automatico con il presente ha evocato le lamentazioni di tanti commercianti in difficoltà ma ben troppo “ristorati”, è stato applaudito caldamente nel finale. Non sono mancati un paio di inserti-omaggio da parte della Compagnia al pubblico bassanese con citazioni fuori programma, anche dell’immancabile “grappa”, spot davvero non necessari ma che paiono sempre graditi agli spettatori.
A fine spettacolo, Placido e il suo gruppo hanno chiesto un applauso in ricordo dell’attore Paolo Graziosi, appena morto per Covid al San Bortolo di Vicenza.

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